MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2005, 23 novembre 2005
Come già Roosevelt, Truman ed Eisenhower, anche Kennedy, Johnson e Nixon perseguirono la stabilità politica dell’Indocina
Come già Roosevelt, Truman ed Eisenhower, anche Kennedy, Johnson e Nixon perseguirono la stabilità politica dell’Indocina. John Kennedy fu il primo a inviare aiuti militari ai sudvietnamiti per contenere l’avanzata comunista nella regione. Il suo successore Lyndon B. Johnson fu il vero artefice dell’escalation militare (delegata operativamente al generale William Westmoreland), che portò all’invio di 700 mila soldati e a bombardare il Vietnam del Nord con il doppio degli ordigni sganciati in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale (piano Rolling Thunder). Costretto a non ricandidarsi dalle polemiche interne, fu sostituito dal più prudente Richard Nixon che, prima di essere messo fuori gioco dallo scandalo Watergate a guerra non ancora finita, puntò alla ”vietnamizzazione” del conflitto, riducendo l’impegno americano attraverso la creazione di contingenti sudvietnamiti destinati a sostituire gradualmente le forze Usa. Dice Massimo Teodori: «Bisogna sfatare un luogo comune, cioè che i presidenti repubblicani siano gli imperialisti, mentre i democratici siano i buoni. In realtà nella storia americana l’interventismo internazionale è tipico dei democratici, e così è stato in Vietnam, con Kennedy e Johnson. Nixon invece, consigliato dal suo ideologo Kissinger, era favorevole al mantenimento dello status quo: «Mettiamoci d’accordo con l’altra parte nella spartizione del mondo secondo gli equilibri esistenti e non muoviamo nessuna pedina». Sono Kennedy e Johnson che prendono l’iniziativa, anche se per ”contenere” l’altro blocco. Sicuramente la politica estera di Johnson è stata maldestra, ma una grossa responsabilità va attribuita al segretario della difesa McNamara e alla sua teoria della ”risposta flessibile”, che prevedeva una reazione militare diversificata, da attuare in base alla gravità dell’attacco nemico e all’importanza strategica dei luoghi presi di mira. L’escalation bellica avrebbe portato, nel caso più grave, all’impiego di armi nucleari. Probabilmente in quest’occasione è entrata in crisi una visione tecnocratica della guerra, cioè la possibilità di dominare la guerra attraverso la tecnologia dei sistemi complessi, cosa che invece non poteva funzionare con la guerriglia».