MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2005, 23 novembre 2005
I giovani americani figli del baby boom erano anche adepti del Dio Televisore e, ancora prima di arrivare in università, sapevano già tutto sul Vietnam
I giovani americani figli del baby boom erano anche adepti del Dio Televisore e, ancora prima di arrivare in università, sapevano già tutto sul Vietnam. Così, già nel 1964 nei campus si era sviluppata un’opposizione alla guerra su piccola scala, favorita da un periodo senza precedenti di attivismo politico studentesco di sinistra. Fino ad allora solo una piccola parte degli uomini in età di leva era stata effettivamente chiamata alle armi, anche perché gli uffici del sistema di reclutamento non disponevano di regole precise in base alle quali selezionare i potenziali soldati e ricorrevano talvolta alle ”lotterie di leva”, dove si veniva arruolati per sorteggio. Con l’estensione del conflitto, il rischio di finire al fronte crebbe enormemente e, pur di evitarlo, si ricorreva a ogni espediente: alcuni ottenevano un rinvio studentesco frequentando l’università (con l’obbligo di rimanerci fino a 26 anni); altri si sposavano (motivo di esenzione per tutto il corso della guerra); altri ancora ottennevano l’esenzione ”4F” (inadeguatezza mentale) grazie a medici compiacenti. Qualcuno si unì alla Guardia Nazionale o ai Corpi della Pace, qualche altro si dichiarò omosessuale (altra ragione che impediva l’arruolamento), mentre qualche migliaio scelse l’auto-esilio in Canada o in Svezia piuttosto che rischiare la coscrizione. Così a partire per il fronte toccò spesso ai poveri o a quelli che non avevano appoggi, mentre gli arruolati stessi iniziarono a protestare, come il 15 ottobre 1965, quando l’organizzazione studentesca Comitato di coordinamento nazionale per la fine della guerra in Vietnam, inscenò la prima manifestazione pubblica negli USA, in cui vennero bruciate le cartoline di leva. Se parte della popolazione riteneva quella guerra giusta e nobile, molti altri si opposero al conflitto per questioni morali, considerandolo distruttivo dell’indipendenza vietnamita, o come un’ingerenza in una guerra civile straniera (un paio di pacifisti arrivarono perfino a darsi fuoco di fronte ai palazzi del potere). Il crescente movimento, sempre più appoggiato anche a livello internazionale, trovò nell’attrice Jane Fonda (nella foto) un’esponente-simbolo, impegnata in recital-comizi per tutta l’America e all’estero. La sua visita in Vietnam, dove si fece fotografare su una mitragliera vietcong, fece scandalo e le valse il soprannome di Hanoi Jane. Allarmato dalle numerose manifestazioni anti-militariste, il governo statunitense arrivò ad autorizzare le indagini su pacifisti americani che erano sospettati di aiutare i Vietcong, con l’intenzione di introdurre una legislazione che rendesse queste attività illegali.