La Stampa TtL 19/11/2005, pag.3 Mario Baudino, 19 novembre 2005
Keats: una ribellione assoluta, metafisica, all’Inghilterra bigotta. TtL La Stampa 19/11/2005. Lord Gordon Byron fu particolarmente maligno: «Comunque, uno che muore per un articolo di una rivista sarebbe morto per qualcosa di altrettanto futile», scrisse al suo editore commentando sarcasticamente la scomparsa di John Keats, e la tesi di Percy Bysshe Shelley secondo cui a stroncare la vita del poeta era stato un ignobile attacco della «Quarterly Review»
Keats: una ribellione assoluta, metafisica, all’Inghilterra bigotta. TtL La Stampa 19/11/2005. Lord Gordon Byron fu particolarmente maligno: «Comunque, uno che muore per un articolo di una rivista sarebbe morto per qualcosa di altrettanto futile», scrisse al suo editore commentando sarcasticamente la scomparsa di John Keats, e la tesi di Percy Bysshe Shelley secondo cui a stroncare la vita del poeta era stato un ignobile attacco della «Quarterly Review». Lo immortalò nel «Don Juan», ancora una volta non senza un sarcasmo venato di malinconia. Ma i tre poeti che in vita si erano più o meno ambiguamente apprezzati, erano affratellati proprio dalla morte. Keats era stato sepolto nel 1821 a Roma, dove nel cimitero protestante volle fosse incisa la celebre lapide: «Qui giace un uomo il cui nome fu scritto sull’acqua». Shelley naufragò al largo di Viareggio nel ’22; Byron fu ucciso da una febbre reumatica due anni dopo, a Missolungi dove combatteva per l’indipendenza greca. I tre grandi romantici si spensero giovani e belli, all’altezza della loro leggenda, che non sembra pur tra alti bassi avere mai dato in due secoli evidenti segni di stanchezza. Ora è forte più che mai. Ed è interessante notare come fra la primavera e l’autunno due di loro abbiano suscitato l’interesse partecipe di altrettanti scrittori italiani, che li hanno avvicinati con un atteggiamento non dissimile. Giuseppe Conte ha dedicato al naufragio di Shelley La casa delle onde (Longanesi), strutturato come un vero romanzo storico. Ora Elido Fazi, l’editore, pubblica L’amore della luna, una biografia romanzata di John Keats, incentrata sull’anno cruciale, il ’19, in cui scrisse la sua celeberrima «Ode all’autunno». Romanzata forse non è la parola giusta: in realtà Fazi non inventa nulla, ma ricrea il poeta attraverso le sue opere e le sue lettere - e la sterminata bibliografia in proposito -; gli dà insomma lo statuto di personaggio letterario. E’ curioso come in entrambi i libri sia proprio il rapporto tra il poeta e la sua poesia quello che interessa all’autore, il cuore della ricerca e della ricreazione. In L’amore della luna la breve, febbrile esistenza di Keats (morto a 26 anni) sfugge alle trappole di una facile angeologia grazie a uno sguardo nello stesso tempo infinitamente partecipe e moderno, laico. Fazi sa raccontare, combinando il passo del biografo con quello del romanziere, ma anche con quello del lettore di poesia. I debiti, gli amori (in particolare quello con Fanny Browne, sofferto e tumultuoso, «totale», tanto da essere sentito come una minaccia per la stessa possibilità di scrivere), le puttane e le vicende famigliari, la provocazione culturale e politica di un ateo - o di un pagano - nell’Inghilterra bigotta, il senso del destino e la devozione totale alla letteratura, al «suo» Shakespeare, ci narrano la storia di una ribellione assoluta, per certi aspetti «metafisica». Keats pur senza vivere le avventure dei suoi «fratelli» romantici, si ribella radicalmente a tutto. Non solo allo status quo politico e sociale, ma anche alla stessa esistenza, ai limiti della vita. Il cuore di questo gesto estremo è la poesia, l’unico modo per decidere se si è vivi o morti, per affacciarsi tremanti sulla vertigine dell’esistere. Così nella pagina che dà il titolo al libro, dove Keats, in un campo notturno, fissando la luna ha come una percezione dell’«infinito del tempo», in una sorta di identificazione erotica tra l’anima e quella luce celeste, pare di cogliere il senso del libro, la voce dell’autore che al di là della biografia, montata con grande tecnica «romanzesca», deflagra nel personaggio e ne fa il tramite oltre che il simbolo, forse, del proprio viaggio nei territori lunari di quella poesia. Mario Baudino