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 2005  novembre 21 Lunedì calendario

Maria Gabriella. La Stampa 21/11/2005. Sfogliare le 200 pagine del volume «Vita di corte in Casa Savoia», (Electa editore) illustrate con molte fotografie inedite di manti di corte, cerimonie, documenti, raffinati menù, ordini di precedenza, tavole imbandite, scritto da Maria Gabriella di Savoia e Stefano Papi, è festoso

Maria Gabriella. La Stampa 21/11/2005. Sfogliare le 200 pagine del volume «Vita di corte in Casa Savoia», (Electa editore) illustrate con molte fotografie inedite di manti di corte, cerimonie, documenti, raffinati menù, ordini di precedenza, tavole imbandite, scritto da Maria Gabriella di Savoia e Stefano Papi, è festoso. La vita di corte è raccontata attraverso il ruolo svolto dalle tre regine: Margherita, Elena e Maria José, dalla terzogenita degli ultimi sovrani d’Italia. Maria Gabriella dedica questo lavoro alla memoria di suo padre re Umberto II: «per ricordarlo come testimone di tanti momenti importanti della storia del nostro paese». Nella prefazione Maria Pia di Savoia scrive: «Impressi nella mia memoria, tuttavia, rimangono alcuni momenti importanti della nostra vita nel palazzo del Quirinale». Buona parte del materiale proviene dalla Fondazione Umberto II e Maria José fondata nel 1986 e presieduta da Maria Gabriella. «Per tanti anni ho accompagnato mio padre in giro per l’Europa a visitare librai ed antiquari da Lisbona, Madrid, Parigi o Ginevra alla ricerca di oggetti, stampe e quadri riguardanti Casa Savoia. Così pian piano l’interesse è diventato passione e perseguendo il sogno di mio padre, che avrebbe voluto creare un vero e proprio museo di storia sabauda, dopo la sua morte, ho deciso di realizzare questo suo desiderio creando la fondazione con il preciso intento di istituire un centro di raccolta e ricerca storica di Casa Savoia». Com’è nata l’idea di scrivere questo libro? «Avevo trovato molto materiale per un libro sulla vita di corte, un tema poco conosciuto. Ho visto come viveva la monarchia con le tre regine che avevano molti impegni di rappresentanza e dai gioielli all’abito fino alla punta delle scarpe dovevano essere vestite secondo la moda o l’etichetta: con il manto corto, lungo o lunghissimo. Il manto grande si metteva nelle cerimonie solenni, quello più corto per i pranzi e i ricevimenti al Quirinale». Dove ha trovato i manti che sono fotografati nel libro? «Ne avevo sette in fondazione, oggi ce ne sono undici. Abbiamo fatto vedere la fotografia di mia madre che indossava il vestito e il vestito da solo perché mia madre mi ha regalato tutti i suoi vestiti. Erano in un baule pieno di naftalina e carte velina e sono molto belli». Quali erano gli oggetti che Re Umberto, suo padre, amava collezionare? Soprattutto stampe. Era un grande esperto di stampe e iconografie sabaude a tal punto che venivano a Cascais gli studiosi della biblioteca nazionale di Parigi a vedere il materiale». La collezione di stampe sulla Sacra Sindone è andata distrutta come mai? «Mio padre, all’inizio della guerra, ebbe la terribile idea di mettere la collezione al sicuro nell’Abbazia di Monte Cassino che poi è stata bombardate e la collezione distrutta dalle fiamme. Ricominciò a cercare in tutta Europa stampe e quadri che avessero per tema la Sacra Sindone, e spesso lo accompagnavo. Mi raccontò che aveva trovato, per caso, una stampa molto rara in un negozio di porcellane a Copenaghen. Diceva che spesso entrava in un negozio perché gli sembrava che li dentro c’era qualcuno della famiglia. Chiese al venditore di porcellane antiche se non aveva qualche stampa. Rispose di si, e mio padre guardò in una cartella, nel mucchio trovò la stampa, rara, di una delle battaglie del Principe Eugenio». Studiando il materiale della fondazione che idea si è fatta della vita di corte? «Quella vita era assai pesante e la rappresentanza condizionava le persone. A me piace essere libera, ho avuto qualche proposta di matrimonio reale e ho preferito non accettare perché la vita di corte, di rappresentanza, come moglie di capo di stato è sempre gravosa. Ma c’è a chi piace. Margherita aveva ripreso le tradizioni della corte di Torino, le ha cambiate, migliorate, arricchite. L’etichetta era più o meno uguale a quella delle altre monarchie europee». Che ricordi ha della vita di corte? «Ho vissuto molto poco quella vita, sono nata nel 1940 e avevo 6 anni quando sono partita. L’ho vissuta soprattutto alla corte belga dove andavo spesso a trovare mia nonna Elisabetta alla quale volevo molto bene. Era una persona colta, affascinante perché aveva vissuto anche la prima parte del secolo e la raccontava. Aveva viaggiato, era stata in Egitto dove aveva assistito all’apertura della tomba di Tutankhamon. In Belgio c’era una etichetta rigorosa l’ho vissuta anche all’epoca di re Baldovino. La vita di corte sabauda ha permesso di arredare palazzi, raccogliere oggetti d’arte, mobili importanti, quadri, arazzi, argenterie, porcellane. Ha lasciato un stile, che ha creato la regina Margherita. E’ lei la persona chiave di queste tre regine. E’ lei che ha fatto quasi tutto: Monza l’ha arredata portando mobili dal palazzo reale di Torino, adesso sono stati riportati». Quando Margherita di Savoia è arrivata al Quirinale, aveva vent’anni, come ha fatto? «Un palazzo, già pontificio, di circa duemila stanze da arredare, un bambino di un anno, Vittorio Emanuele. Ho letto delle lettere che ho trovato pochi giorni fa in mezzo alle carte lasciatemi da un amico, dove raccontava alla sua dama di compagnia la marchesa di Villamarino di Montereno: ”Oggi è il giorno di Natale, ho fatto l’albero, il bebè era molto contento però adesso è andato a dormire e io mi trovo sola, perché mio marito è andato con il padre il re a caccia a Castelporziano, tenuta che ha in mente di comprare”. Ha però reagito dicendo sono sola, il mio matrimonio è di convenienza, lui è mio cugino, quasi come un fratello dunque io mi dedico allo splendore della corona della dinastia sabauda. Ha creato le sale del Quirinale che sono ancora li. Ha ancora spostato mobili: dal palazzo reale di Torino sono arrivati i mobile costruiti e firmati dal Piffetti, un famoso ebanista dell’epoca. Creò un "circolo della principessa", poi "della regina" dove riuniva, tutti i mercoledì, per un scambio di idee personaggi come Emilio Broglio, il barone Giuseppe Baracco, Ruggero Borghi, il ministro Marco Minghetti, suo insegnante di latino e consigliere delle letture. Sono stata a Villa Savoia e ho guardato la biblioteca, la maggior parte dei libri veniva dalla villa reale di Monza. Margherita era eclettica, leggeva molto e un po’ di tutto, c’era una miscellanea interessante» In che modo la regina Elena, sua nonna era diversa? «E’ nata in una famiglia dove l’antenato principe Vescovo Njegos era considerato il Dante Alighieri locale. Elena Petrovic Njegos è stata educata con sei sorelle e due fratelli a vedere le molte guerre del Montenegro. Era la figlioccia dello zar Alessandro III e con le sorelle è stata mandata allo Smolny di San Pietroburgo che era la scuola per ragazze nobili. Nonna era una bravissima cuoca, dipingeva e parlava tutte le lingue. Era più donna di casa. Pensava agli altri, aveva sempre un regalino per noi. Non era intellettuale ma conosceva la botanica ed era portata per la medicina, aveva delle doti di guaritrice e lo sapeva». Sua madre è stata regina per 27 giorni e Principessa di Piemonte dal 1930, come era la sua vita di corte? «Viveva molto nel suo mondo, nella musica e nella storia. Seguiva mio padre organizzava i ricevimenti, le cerimonie commemorative, oppure le feste perché era un dovere. Lei aveva il suo salotto dove preferiva parlare direttamente con Benedetto Croce, con Umberto Zanotti Bianco, antifascista e quando il regime volle togliergli la sua associazione di ricerche archeologiche, Maria José gli disse di cambiare nome e chiamarla Maria di Piemonte. E così è stata protetta?». Perché Maria di Piemonte? «Maria perché Mussolini non voleva il nome straniero, e allora mia madre disse Giuseppina mai. Io voglio firmare Maria José. Le fu detto di no, allora lei optò per Maria e basta». Le tre regine erano diverse, in che modo? «Margherita si è realizzate in tutti i sensi perché aveva modo di farlo, aveva campo libero. Forse non ha saputo dare l’affetto materno al figlio Vittorio Emanuele ma allora non si usava occuparsi dei figli. Elena invece era una delle prime ad occuparsi personalmente dei suoi cinque bambini: li curava, li seguiva. Una regina dedita ad opere di bene. Nel 1918 trasformò il Quirinale in ospedale, tolse i mobili e fece delle corsie. Quanto hanno viaggiato i mobili, i quadri e i libri! Maria José era intellettuale ma anche crocerossina, aveva accompagnato la regina sua madre sui campi di battaglia in Belgio ad assistere i feriti. Non si interessava di arredi le bastavano una sedie, un tavolo dove scrivere i suoi libri, una poltrona dove leggere. E un pianoforte». Ludina Barzini