La Stampa 19/11/2005, pag.24 Maurizio Assalto, 19 novembre 2005
Grecia-Persia 5 a 1 il trionfo del contropiede. La Stampa 19/11/2005. Quando Anghelos Charisteas - il centravanti della Grecia che ha nel nome il presentimento della vittoria, alata come gli angeli, e nel cognome la promessa del favore divino - volava nell’area portoghese, al 12’ del secondo tempo, per incornare il pallone che avrebbe deciso la finale degli ultimi Europei di calcio, probabilmente non sapeva da quali sedimentate riserve patrie stesse attingendo
Grecia-Persia 5 a 1 il trionfo del contropiede. La Stampa 19/11/2005. Quando Anghelos Charisteas - il centravanti della Grecia che ha nel nome il presentimento della vittoria, alata come gli angeli, e nel cognome la promessa del favore divino - volava nell’area portoghese, al 12’ del secondo tempo, per incornare il pallone che avrebbe deciso la finale degli ultimi Europei di calcio, probabilmente non sapeva da quali sedimentate riserve patrie stesse attingendo. Nella marcia trionfale e pazzesca della sua squadra si replicava, 2484 anni dopo - su un terreno per fortuna diverso e con diversi nemici, ma con le identiche modalità - un’altra grande affermazione della grecità. La più grande di tutte. Il 4 luglio 2004 a.d. come il 25 settembre del 480 a.C., il giorno dei giorni: la battaglia navale di Salamina contro la superpotenza persiana. Anche allora fu una vittoria della tattica, della strategia, della rapidità di pensiero e di esecuzione. Del gioco in contropiede. L’eterna vicenda di Davide contro Golia, che in terra ellenica riberbera lo scintillio dell’intelligenza astuta di Ulisse dai mille espedienti. Alla battaglia di Salamina, ricostruita con un moderno approccio pluridisciplinare e in costante riferimento alle fonti antiche, è dedicato un libro avvincente come un romanzo - sia pure con qualche eccessiva ricerca dell’effetto. Lo ha scritto Barry Strauss, classicista alla Cornell University di Ithaca, New York, poco prima che Charisteas e compagni sconvolgessero il mondo (del calcio), e ora esce in traduzione con il titolo La forza e l’astuzia (Laterza, pp. 358, e22), senz’altro più appropriato dell’enfatico originale The Battle of Salamis. The Naval Encounter That Saved Greece - and Western Civilization. Lasciamo da parte la retorica sulla salvezza della civiltà occidentale, quale pure è suggerita dall’elaborazione ideologica dell’epoca - chissà come sarebbero davvero andate le cose se avessero vinto i persiani, magari alla lunga il germe rissoso della libertà ellenica avrebbe contagiato anche loro. Lo scontro fra la modesta e litigiosa coalizione dei greci e la straripante armata multinazionale di Serse è prima di tutto il confronto, in termini di efficienza, di due opposti modelli organizzativi, di due diverse (in genere disgiunte) risorse umane. Spesso, lo sapeva Pindaro, «l’astuzia del più debole ha sorpreso e sconfitto il più forte». Torniamo alla Grecia del pallone. Quarti di finale, semifinale, finale. Dalla Francia campione uscente, alla Repubblica ceca del Pallone d’oro Pavel Nedved, al Portogallo padrone di casa, tre partite contro avversari chiaramente più dotati: tutte vinte, tutte per 1 a 0. L’allenatore «meteco» Otto Rehhagel come lo stratega ateniese Temistocle, che pochi anni dopo il trionfo sarà ostracizzato dai concittadini, per finire malinconicamente i suoi giorni alle dipendenze degli ex nemici. In quel principio d’autunno del 480, però, è ben saldo al suo posto, ed è lui a pianificare la Battaglia Perfetta. Ai primi di settembre Atene è stata evacuata e i suoi abitanti trasferiti nella prospiciente isola di Salamina. I barbari (come li chiamano i greci, per via della loro parlata intessuta di incomprensibili «bar-bar») prendono la Focide, la Beozia, invadono l’Attica. Il 23 settembre l’Acropoli di Atene è espugnata, i suoi templi dati alle fiamme. Lo stesso giorno il consiglio di guerra dei greci decide ai voti che la flotta, radunata a Salamina dopo l’efficace resistenza al Capo Artemisio, si ritiri presso l’Istmo di Corinto. Tutto sembra precipitare. Ma qui interviene il genio di Temistocle, fatale incarnazione dell’eterno Ulisse. Con l’appoggio del comandante spartano Euribiade riesce a far cambiare il piano: la battaglia della vita si combatterà a Salamina. Temistocle sa quel fa. Lo scontro coinvolge più di 200 mila uomini su un migliao di triremi, le navi da guerra a tre ordini di rematori che per un paio di secoli dominarono il Mediterraneo: 378 (secondo Erodoto; Tucidide dice 400) fanno capo alla coalizione ellenica, e quasi metà sono ateniesi, tutte le altre appartengono agli assalitori. Inoltre le imbarcazioni persiane (in realtà fornite dai popoli soggetti), pur ospitando un maggior numero di uomini di fanti e di arcieri (circa 40 contro 10) a parità di rematori (170), sono più leggere e veloci. Per il Gran Re, una superiorità schiacciante. Temistocle applica senza saperlo il sommo insegnamento che all’altro capo del mondo, pochi anni prima, il cinese Sun Tzu dispensava al suo imperatore: in una guerra non conta la superiorità di uomini e di mezzi, vince chi, con mosse indirette e inattese, sa trasformare in svantaggi i vantaggi del nemico e in punti di forza i propri limiti. Nello spazio angusto del canale che separa Salamina dalla costa Attica, largo in qualche punto poco più di un chilometro, il vantaggio della maggiore velocità è per le navi persiane irrilevante, mentre il superiore peso di quelle elleniche diventa micidiale nelle manovre di speronamento. Fra prodigi naturali di ogni tipo, all’alba i greci salpano in fila indiana, freschi e riposati dopo la notte a terra. I persiani invece sono in mare da molte ore, decisi a penetrare nello stretto per inseguire i nemici che credono in rotta. Per confermarli nella loro illusione, un contingente corinzio fa vela verso l’Istmo. la trappola: lo stratagemma tipico di quella forma di intelligenza pragmatica e infinitamente flessibile che i greci chiamavano mêtis, investigata a fondo da Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant e rivelata anni fa in un libro imprescindibile, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia. Lo stesso trucco di tanti animali astuti, come la volpe che, racconta Oppiano (II sec. d.C.), quando avvista uno stormo di uccelli si sdraia su un fianco fingendosi morta, e non appena quelli le sono addosso per becchettarla si gira di colpo e li ghermisce. Questo capovolgimento improvviso (epístrepsis) è ciò che nel calcio si chiama contropiede: l’azione fulminea con cui una squadra, di solito la meno forte, dopo avere attirato l’avversario in avanti, e dopo averlo lasciato sfogare, lo colpisce di rimessa. Come ha fatto la Grecia di Charisteas. Come accadde anche a Canne, quando Annibale schierò in prima linea le truppe più scarse, per attirare in avanti i romani e poi colpirli lanciando al contrattacco le ali. Come avvenne a Salamina. Quando furono penetrati nello Stretto, i persiani trovarono la flotta nemica già schierata. Ma i greci aspettavano ad attaccare. Temistocle aveva parlato con i pescatori del luogo, conosceva le correnti, sapeva che da un momento all’altro si sarebbe levata l’aura. Quando la brezza mattutina cominciò a soffiare, «il vento e le onde», come riferisce Plutarco, «si abbatterono sulle navi persiane, offrendole di fianco ai colpi dei greci». I primi contingenti investiti furono quelli dei fenici e degli ioni, gli elleni d’Oriente assoggettati da Serse. Sotto gli occhi del Gran Re, che contemplava la battaglia da una collina della costa attica, seduto su un trono d’oro, le loro navi incalzate e accerchiate da quelle greche affondavano, ripiegavano, si urtavano e venivano urtate dalle triremi amiche che continuavano a sopraggiungere. Una scena descritta efficacemente da Eschilo, che fu testimone oculare: «Quando la moltitudine di navi si affollò nello stretto, le navi non poterono aiutarsi, ma si colpirono coi loro stessi speroni di bronzo, e l’intera armata remigante prese a disfarsi». Troppe imbarcazioni in uno spazio troppo esiguo: il vantaggio diventa uno svantaggio. E all’uscita dal canale gli egineti appostati dietro la penisola di Cinosura provvedevano a completare l’opera di distruzione. La mattanza continuò fino a sera. I persiani avevano una struttura rigidamente gerarchica che in caso di difficoltà rallentava le contromosse, mentre il pilota delle navi greche disponeva di ampi margini di improvvisazione, dipendendo unicamente dalla sua esperienza, dal colpo d’occhio, dalla rapidità, dalla capacità di assumere decisioni autonome: tutte qualità coltivate dalla democrazia ateniese. Alla fine il bilancio fu di almeno 200 triremi perdute da Serse, contro una quarantina da parte greca: un rapporto di 5 a 1 a favore dei padroni di casa. Da 12 mila a 20 mila le vittime tra gli invasori. Il contropiede ordito dalla volpe Temistocle era stato devastante. Una lezione da tramandare nei tempi. Mezzo secolo dopo, le due città capofila della resistenza antipersiana, Atene e Sparta, cominciarono a dilaniarsi in una guerra che alla lunga ne avrebbe consumato le energie. Due anni dopo gli Europei, la Grecia campione ha mancato la qualificazione agli imminenti Mondiali di Germania. Dal campo di battaglia al campo di calcio, durano poco i frutti della vittoria. Ma questo è un altro discorso. Maurizio Assalto