La Stampa 19/11/2005, pag.23 Sandro Cappelletto, 19 novembre 2005
Scelsi, l’italiano che anticipò la new age. La Stampa 19/11/2005. Gli amici dicono che abbia proprio scelto il giorno in cui uccidersi e trasfigurarsi
Scelsi, l’italiano che anticipò la new age. La Stampa 19/11/2005. Gli amici dicono che abbia proprio scelto il giorno in cui uccidersi e trasfigurarsi. Che quel mattino infuocato dell’estate 1988, lasciata la sua casa in Via San Teodoro, con vista sui Fori, abbia preso il trenino per andare a Ostia e, a 83 anni, sia rimasto fino a sera in spiaggia, a ubriacarsi di sole, a testa nuda. Non era un giorno qualsiasi, ma il «suo» giorno, atteso da sempre: 8 agosto 1988, 8-8-88, il trionfo del segno dell’infinito, dello spazio senza tempo, senza ieri, senza domani. L’apoteosi del sole, il cerchio con cui amava firmarsi, tirando, sotto, una riga dritta: la terra, da dove noi osserviamo l’immensità dell’universo. Tornò a casa, iniziò la breve agonia; il Sole lo aveva accolto. Giacinto Scelsi, il caso musicale dell’anno. Roma lo celebra, tra riconoscimenti e ancora polemiche. Roma, la città dove, lui spezzino, nato nel 1905, aveva scelto di abitare perché lì passa la linea che separa e unisce Oriente e Occidente: non un’immagine, non una metafora, ma una precisa convinzione geografica e spirituale. Quella linea percorre i Fori, li attraversa e il fascino della metropoli «caput mundi» sta in questa sua identità anfibia, che - diceva - si può perfino «vedere», osservando e meditando sulla palma alta e sottile che svetta fino al cielo partendo dal cortile di un palazzo rinascimentale. Un grande musicista, anticipatore della «new age», padre di una concezione del tempo figlia del grande «vuoto» Zen, che la musica europea del Novecento, preoccupata di trovare regole nuove, logiche e organizzazione formale ferree, non poteva condividere.Musicisti americani a parte, perché il «suono rotondo» e incantatorio che Scelsi cercava viveva già nelle riflessioni di John Cage e dei minimalisti, da Terry Riley a Philip Glass. E naturalmente nella pratica musicale indiana: nel 1958, invitato da una fondazione italo-americana di cui Scelsi faceva parte, Ravi Shankar arriva per la prima volta in Italia, con il sitar, i tabla, la ciclicità infinita dei «raga». Al suono, alla sua onda, alla sua energia bisogna abbandonarsi: «Non pensare, lascia pensare coloro che hanno bisogno di pensare», diceva. E il problema del tempo lo risolveva nell’attimo: «Scopo dell’artista è cristallizzare un momento della durata e proiettarlo nella materia. Questo scopo non ha bisogno di tecnica, ma di lucida passività. La luce: dobbiamo dare peso alla luce». L’artista, e il compositore, come veicolo dell’unità indivisibile dell’essere, che parla, come sua lingua universale, attraverso il potere del suono. Era un uomo ricco, che pur di vedere pubblicata ed eseguita la sua musica, pagava editori ed esecutori. Non è possibile definirlo un «compositore», dicono i suoi detrattori, primo fra tutti Roman Vlad: «Non si possono chiamare composizioni i suoi schizzi, che affidava poi a dei giovani - loro sì - compositori, perché li trasformassero in partiture», dichiarò il maestro qualche anno fa, quando la «riabilitazione» di Scelsi stava muovendo i primi passi. Ora, è rimasto della stessa idea? «Non è un’idea, è un fatto». Ma non si procede così anche in molte altre arti, ribattono i «scelsiani»? Un architetto disegna il progetto, che poi viene sviluppato dalle competenze tecniche di tanti collaboratori, senza che la paternità dell’idea originale venga messa in discussione. E nella storia della pittura, e anche della musica, non è da sempre diffusa la tradizione della «bottega», cioé degli assistenti che completano le indicazioni dei maestri? «E’ stato un compositore vero e grandissimo», replica Nicola Sani, direttore artistico del Festival e compositore. « vero che le sue partiture non svelano tutto quello che la musica contiene, ma questo lo accomuna ad altri compositori del nostro tempo: fondamentale era il lavoro con l’interprete». I brani di Scelsi hanno titoli allusivi, arcani; Voyage, Bot-Ba, To the Master, Aitsi, Riti: i funerali di Achille. La sua casa - dove hanno sede la Fondazione a lui dedicata e l’archivio - ospita strumenti musicali di ogni parte del mondo, ma in prevalenza asiatici: paesi che ha visitato, assimilato, durante un fondamentale viaggio di formazione, compiuto da giovane, quando ancora quei territori geografici e spirituali restavano molto distanti dalle frequentazioni europee. «Nelle cliniche ci sono sempre dei piccoli pianoforti nascosti, che quasi nessuno suona. Un giorno mi misi a suonare: do, do, re, re, re. Mentre suonavo, ribattendo la stessa nota, qualcuno disse: ”Quello è più pazzo di noi”! Vi assicuro che il suono contiene un intero universo, il suono riempie il luogo in cui vi trovate, vi accerchia, potete nuotarci dentro», raccontava. Cercava l’organismo sonoro primigenio, il Logos-Verbo-Grido che, come raccontano diverse religioni, ha "partorito" l’Universo. 8-8-88: anche il Kamasutra è diviso in 8 sezioni, e ciascuna delle 8 contiene 8 racconti. La perfezione del cerchio che racchiude l’uomo e la donna, l’eros e la ragione che ne comprende la vastità. Delirio o arcana verità? Sandro Cappelletto