Sorrisi e canzoni n.03 2003, 22 novembre 2005
Sorrisi Salute settimanale: Reflusso gastroesofageo. Ne soffre 40% degli occidentali, un italiano su tre, e può dipendere semplicemente da qualche errata abitudine
Sorrisi Salute settimanale: Reflusso gastroesofageo. Ne soffre 40% degli occidentali, un italiano su tre, e può dipendere semplicemente da qualche errata abitudine. A volte, però, il reflusso gastroesofageo ha conseguenze serie ed è per questo che bisogna imparare a riconoscerlo per tempo. Il rischio di soffrirne cresce con l’età: le persone più esposte hanno tra i 55 e i 64 anni. Ma può colpire anche in seguito a pasto troppo abbondante, o per essersi sdraiati subito dopo mangiato, o per aver bevuto troppi alcolici... o per l’aver fatto tutte queste cose insieme, magari durante le ultime feste. "Il reflusso gastroesofageo dipende dal cattivo funzionamento della valvola che separa l’esofago dallo stomaco", dice Dino Vaira, professore associato di medicina interna all’Università di Bologna. "Quando si mangia, questa valvola si apre per far passare il cibo nello stomaco, e si chiude subito dopo. Se non funziona come dovrebbe, il cibo può tornare nell’esofago, portando con sé gli acidi che si trovano nello stomaco. Questi aggrediscono le pareti esofagee provocando bruciori, infiammazioni e in alcuni casi piccole ferite". Il disturbo può essere occasionale o cronico e in questo caso viene chiamato MRGE, malattia da reflusso gastroesofageo. Come riconoscerne i sintomi? "Il più diffuso è una sensazione di bruciore nella zona subito dietro lo sterno", dice Vaira. Di solito, il fastidio si avverte nell’arco della prima ora successiva al pasto e può durare anche diverse ore. "Molto frequente anche il rigurgito acido, che può estendere il bruciore alla gola, causando un’ipersalivazione". In casi più seri, si verificano anche problemi respiratori (asma, bronchite, tosse cronica) dovuti al contatto degli acidi con le vie respiratorie. Una volta riconosciuti i sintomi, occorre rivolgersi subito al proprio medico, l’unico in grado di capire se si tratta di un fenomeno passeggero o se c’è bisogno di esami più approfonditi (come l’endoscopia). "Per risolvere i casi non gravi basta un breve periodo (1 mese) di trattamento con un dosaggio minimo di farmaci a base di esometazolo, che inibisce la produzione di acidi gastrici. Ma occorre anche rivedere la propria alimentazione", dice Vaira. Ad esempio evitando di mangiare cibi (come cioccolata, cipolla e cibi grassi) che rendono più debole la valvola tra stomaco ed esofago o quelli (come caffè, agrumi e pomodori) che aumentano l’acidità nello stomaco. "Nei casi in cui invece siano presenti complicazioni (come l’esofagite, un’infiammazione cronica dell’esofago) si ricorre a terapie più lunghe (6 mesi, con alti dosaggi di esometazolo), a cui segue una terapia di mantenimento per evitare ricadute", conclude Vaira. Per conoscere i centri specializzati nella cura di questo disturbo, visitate il sito Internet www.reflusso.net