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 2005  novembre 22 Martedì calendario

Silombria Marco

• Nato a Savona nell’agosto 1936. Artista. «La domanda - ”esiste un’arte gay?” - è tanto oziosa e sciocca che vale proprio la pena di porsela con serio impegno. Dunque: esiste un’arte specificamente gay? E l’essere gay dell’autore influenza - e se sì, quanto - le forme della sua arte? Ci son quelli che - erre moscia, polso slogato e occhio truce - strillano indignati: ma-come-si-permette?- Io-sono-un-artista-tout-court-efinita- qui.-Ecche-c’entra-il-fatto-di-scopare- con-un-uomo-con-quel-che-mettosulla- pagina-o-sulla-tela-o-sulla-pellicola? Sono gli stessi che ti dicono che loro ”amano le persone” e guarda caso poi le persone che amano sono sempre di sesso maschile. Grazie al cielo ve ne sono poi tanti altri più rilassati, venuti a ragionevole compromesso con le proprie ansie e paure, che invece si fanno una bella risata e ti rispondono placidi come fanciullini: certo che esite l’arte gay, certo che il mio essere gay ha influenzato enormemente i miei quadri, le mie fotografie, i miei film, i miei libri. Certo che la mia smania di guardare e ammirare e scopare uomini mi ha portato a pensarli e ritrarli con una distinguibile convinzione ed emozione che sicuramente non avrei avuto se avessi guardato, ammirato e scopato delle signore. questo ciò che più o meno fa capire Marco Silombria, già pubblicitario, già membro del Fuori (il primo movimento gay della storia italica), già illustratore della prima rivista di quel primo movimento, ora artista affermato e affermativo. Molta opera del quale è ora riunita in un poderoso libro (Dionysus in Love, Casa Editrice Tutti i Santi) curato da Peter Weiermair che a sua volta fu direttore della Galleria d’Arte Moderna di Bologna e come curatore vanta al suo attivo nientepopodimeno che quattrocento mostre ma che è anche scrittore, critico, saggista e un sacco di altre cose importanti che non lasciano dubbi sulla sua essenza: uno che se ne intende. Uno che poi ha preso in mano l’opera del torinese Silombria, l’ha distesa, vivisezionata, guardata con occhio indagatore e quindi ricomposta scientificamente e poeticamente nel testo di cui sopra. quella una monografia non banale, non celebrativa e non tronfia. Più che l’illustrazione è il racconto di un boschetto dove si incontrano un sacco di ragazzoni nudi e seminudi, alcuni allusivi e altri più che espliciti, con piselli adornati da verzure, custoditi da foglie di vite, nascosti tra la frutta, confusi con le salsicce, impiastricciati da sugosi spaghetti al dente. E anche ritratti di amici (Enzo Cucco e Enzo Francone, Gianni Farinetti e Angelo Pezzana e Aldo Busi tra gli altri). E anche gustosissimi ”d’après” inseguendo, imitando, deridendo e ammirando Manet, Goya e Michelangelo in versione molto, ma molto gaia. Poi ci sono angeli che ballano il can can e una serie di preservativi fantasiosi con il cappello di Napoleone o le orecchione di Topolino, bizzarrie dionisiache, orfiche, vasi, cocci, fotografie, stampe digitali su banner, e chi più ne ha - se ci riesce - più ne metta. Marco Silombria ha uno studio in via Garibaldi, che è una strada pedonale nel cuoricino di Torino, un cuore che batte e si ferma, un cuore che viene dimenticato e poi improvvisamente ricordato o per banalità della cronaca (la coca che gira) o per auguste cerimonie (le Olimpiadi d’inverno). Il suo è uno spazio ampio con una marea di opere catalogate. Silombria è un uomo paffuto e sempre ilare ma mai squittente. ottimista e gioviale. Insomma, non è un dannato. Direi che non lo sia mai stato. Ha una dote che si riconosce e di cui va fiero, quel gusto per il sorriso, per il gioco senza che questo ne faccia uno scimunito. Allora, Silombria, esiste o no ’st’arte gay? ”La domanda è di quelle da un milione di dollari. Francamente lascerei il punto interrogativo perché l’argomento è molto dibattuto e abbastanza contestato. Mi viene da dire che per me, per quel che riguarda il mio lavoro esiste eccome. Mi chiedo che cosa sarebbe stata la mia storia se non fossi stato gay. Di sicuro so che l’approccio verso il mio lavoro sarebbe stato diverso”. Ti stai riferendo al tuo lavoro artistico, immagino. ”Non solo. Fino all’85 ero pubblicitario e affrontavo quel lavoro con lo stesso spirito, tanto che sono stato spesso censurato perché non andava bene”. Ma mi spieghi cosa distingue un artista gay da uno etero? ”L’ironia. A volte”. A volte, appunto. [...] sappiamo bene che ci sono un sacco di artisti finocchi che l’ironia non sanno nemmeno dove stia di casa. Tutti seriosi, tutti compunti. Noiosi come un giorno di pioggia. ”E’ un modo speciale di guardare la sessualità. [...] All’inizio degli anni Settanta passeggiavo per Torino e su un ponte del Po vidi una scritta alta due metri per venti che diceva: ’Omosessuale è bello’. Ne rimasi scioccato, non credevo ai miei occhi. Poi Angelo Pezzana mi bloccò sulla porta della sua libreria e mi chiese di curare la grafica del giornale del Fuori. Ero già impegnato nel Partito radicale per il quale più tardi disegnai il manifesto in favore dell’aborto: una silhouette nera su sfondo bianco di una donna incinta e incatenata. Il mio studio, tra l’altro, era anche la sede del partito”. Insomma, un artista organico. [...] ”[...] Negli anni Ottanta avevo un agenzia di pubblicità insieme ad altri due soci, uno di destra e uno di estrema sinistra mentre io ero in mezzo. Da un lato c’era il dato che nel lavoro pubblicitario non puoi essere una persona con un campo visivo chiuso altrimenti non funzioni. Il fatto che parlassi liberamente di omosessualità non creava alcun imbarazzo. In agenzia, per esempio, avevamo fatto lavori per gli spettacoli di Alfredo Cohen. Allora del resto era molto trendy lavorare per i radicali, per gli omosessuali. Ero dunque molto facilitato. Le cose però a un certo punto si sono guastate [...] Quando è scoppiata l’epidemia dell’Aids. All’inizio degli anni Ottanta ero andato a Washington con Angelo Pezzana ed Enzo Cucco. Avevamo girato per bar, saune, discoteche, i luoghi deputati... Lì di Aids già ci si ammalava e già si moriva. Quando tornai in Italia i media cominciarono a parlarne. In un’intervista dissi apertamente, anzi ribadii di essere omosessuale. Apriti cielo! I miei soci erano... come dire... allarmati. Mi dissero che stavo danneggiando l’agenzia, che non volevano avere problemi con i clienti. Io, da parte mia, avevo una paura terribile di essermi beccato l’Aids e non me ne fregava niente di tutto il resto. Mi dicevo: se te lo sei preso, fra un anno non ci sarai più e allora tanto vale vivere fino in fondo. Senza finzioni. Senza bugie. Divenni ancora più duro. In ogni caso avevo deciso già di mollare l’agenzia e quelle tensioni non fecero altro che accelerare le cose. Se fino a quel momento i miei due soci avevano fatto di tutto per trattenermi, da quel momento in poi mi dissero: vai pure [...] Ho avuto sempre molta attenzione per il corpo maschile ma in Italia certi temi è meglio non toccarli [...] La monografia che mi riguarda, questa curata da Weiermair ha venduto più negli Usa e in Europa che da noi. I galleristi, che sono dei commercianti, vogliono un prodotto di qualità ma facile da vendere [...] Un gay spesso si fa scrupolo di appendere un quadro con un nudo maschile in salotto o in camera da letto. Non sia mai che la donna di servizio capisca che è un culattone!... [...] Il mio lavoro fa molto riferimento alla cultura pop. Marilyn Monroe, Rita Hayworth, Marlon Brando: tutte icone della cultura gay riproposte però in modo non plateale. Per dirla brutalmente mi sono autocensurato. Come quel quadro con una foto porno di due uomini che scopano ma che sono coperti da un pezzo di carta stropicciata e che ho chiamato appunto ’autocensura’ [...]”» (Daniele Scalise, ”Il Foglio” 19/11/2005).