Varie, 22 novembre 2005
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Sachs Jeffrey
• David Detroit (Stati Uniti) 5 novembre 1954. Economista • «[...] uno di quegli economisti che ha il dono di trasformare il freddo linguaggio dei numeri in realtà. Nei villaggi sperduti del Malawi o del Bangladesh c’è stato sul serio: ha visto con i propri occhi i bambini piegati dalla malaria e gli anziani accudire a fatica i nipotini orfani dell’Aids; ha visto i malati sistemati in tre in un letto, in ospedali che servono solo ad aspettare la morte, dove non ci sono né medicine né niente. E allora per forza di cose le sue statistiche hanno un altro sapore. [...] Dice che ogni mattina i nostri giornali potrebbero scrivere: “Ieri oltre 20 mila persone sono morte a causa della povertà estrema”. Aggiunge che gli articoli potrebbero scendere più in dettaglio: 8 mila bambini vanno all’altro mondo per la malaria, 5 mila madri e padri di tubercolosi, 7 mila giovani per l’Aids e migliaia per la dissenteria. [...] dirige l’Hearth Institute della Colombia University e ha speso anni a studiare i paesi poveri, dopo aver lavorato al fianco di capi di stato, ministri o semplici cittadini di queste nazioni afflitte dalla fame e dalle malattie, è convinto che ogni angolo del pianeta ha la possibilità di raggiungere una condizione di prosperità. A maggior ragione anche il Sud del mondo, dove 1,1 miliardo di persone vive — meglio, sopravvive — come meno di 1 dollaro al giorno, costretto dalla propria indigenza a restare impigliato nella trappola della povertà estrema, vittima di una spirale perversa di impoverimento, fame, malattie. Nella sua visione, mettere la parola fine alla povertà estrema entro il 2025 è una possibilità realistica ed è una sfida della nostra generazione. [...] Sachs è convinto che gli americani non hanno capito la lezione dell’11 settembre. Nella sua teoria, la lotta al terrore fine a se stessa non ha senso perché è sbagliato pensare che la potenza militare possa garantire la sicurezza degli Stati Uniti in un mondo instabile. Nei suoi scenari, i terroristi possono essere ricchi, poveri o della classe media ma le loro aree di reclutamento e le loro basi operative si trovano in società instabili, afflitte da povertà, disoccupazione, rapida crescita della popolazione, fame e mancanza di speranze. “Se non si eliminano le cause di fondo dell’instabilità ben poco si potrà ottenere dalla lotta al terrorismo”. Un numero spiega più di tante parole: nel 2004 gli Usa hanno affrontato spese militari per 450 miliardi di dollari contro 15 per l’assistenza all’estero. Alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale viene rimproverato di muoversi per schemi prefissati, obbligando a stringere la cinghia anche chi non dispone di una cinghia perché troppo povero. Sachs propone un nuovo metodo, da lui ribattezzato di “economia clinica”, che ha imparato nella casa di cura pediatrica della moglie Sonia. In sintesi: di fronte alla crisi di un paese bisognerebbe comportarsi come i medici che, prima di avviare una cura, pensano alle conseguenze, elaborano una diagnosi differenziata, verificano prima le condizioni più probabili, poi quelle più complesse. Gli economisti insomma dovrebbero fare come dicono i dottori: “Se senti rumore di zoccoli, prima pensa a un cavallo e poi a una zebra”. Per riuscire a vincere la sfida della povertà estrema — basterebbe un dollaro al giorno — c’è bisogno degli Stati Uniti. E c’è bisogno di rafforzare Fmi e Banca mondiale che hanno accumulato negli anni una certa esperienza. Sachs vorrebbe affiancargli anche le Nazioni Unite. Serve una “concezione illuminata” del proprio interesse, come avvenne per il Piano Marshall» (Elena Polidori, “la Repubblica” 22/11/2005).