MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2005, 22 novembre 2005
Incredibile: viviamo in mezzo agli uccelli da quando siamo apparsi sulla Terra - sono molto più antichi di noi dato che discendono dai dinosauri - e non abbiamo decifrato una sola delle loro parole
Incredibile: viviamo in mezzo agli uccelli da quando siamo apparsi sulla Terra - sono molto più antichi di noi dato che discendono dai dinosauri - e non abbiamo decifrato una sola delle loro parole. Secondo la Bibbia ci riusciva soltanto re Salomone, il saggio tra i saggi. Doveva la propria sapienza a un anello-sigillo dotato di enormi poteri, sul quale era incisa la stella a sei punte che poi sarebbe diventata il simbolo del popolo eletto. Anche Pitagora, si dice, parlava con i pennuti, anzi con tutti gli animali, e non dimentichiamo san Francesco che agli uccelli teneva addirittura dei comizi, mentre loro ascoltavano interessatissimi, facendo di tanto in tanto qualche pio commento. Quanti biologi da allora hanno perso anni a cercare di comunicare con gli uccelli e interpretare gli innumerevoli dialetti e le complesse cantate dei più bravi come gli usignoli, i codoni, le capinere e così via, ma purtroppo non sono venuti a capo di nulla. Dicono che cantino per proteggere il territorio e attirare i partner. Questo è vero per molte specie, ma non sempre. Davidh Rothemberg, 43 anni, clarinettista, compositore e ornitologo dilettante, gira il mondo per fare musica con gli uccelli e per capire la ragione dei loro canti (vedi box nella pagina accanto). Da questa esperienza è nato il libro Why Birds Sing, dove l’autore formula la sua teoria: gli uccelli cantano anche quando non ne hanno bisogno, per il semplice motivo che apprezzano la bellezza. Il grande biologo francese Rèmy Chauvin ha riferito l’affascinante esperimento del musicologo ungherese Szöke, il quale nel 1962 ha avuto un’idea geniale: poiché il tempo’ degli uccelli gli sembrava troppo accelerato, ha registrato e poi rallentato da 16 a 32 volte i canti di oltre cinquanta specie diverse, facendo una scoperta sconvolgente. Quelle musiche si sono rivelate inaspettatamente composizioni di una bellezza incredibile, che non aveva nulla da invidiare ai nostri pezzi più celebri. C’era un tale arricchimento della melodia, arriva a dire Chauvin, che ho finito per chiedermi se gli uccelli se ne rendano veramente conto. Insomma, secondo la scienza, anche la più illuminata, i poverini si sgolerebbero senza neppure accorgersi dei capolavori che compongono. Già Beethoven nella VI Sinfonia ”Pastorale” (una delle più conosciute, usata perfino da Walt Disney in Fantasia) e Messiaen in Catalogue d’oiseaux si erano serviti dei cinguettii degli uccelli come fonte di ispirazione, ma questo era del tutto diverso. Era come scoprire che in quel canto c’è un messaggio segreto, anche se non riusciamo a decifrarlo. Chauvin, per fare una controprova, ha pregato un’amica musicologa di ascoltare una di quelle registrazioni rallentate, senza spiegarle di che cosa si trattasse. Alla fine ella, colpita, ha detto che la sonata era magnifica, ma non capiva chi l’avesse scritta né con quale strumento fosse stata eseguita. Ha aggiunto che le sarebbe piaciuto sentirla per flauto. Il messaggio ora è lì, evidente. Ma come interpretarlo? Eppure, chissà quante cose potremmo imparare, dagli uccelli. L’abbiamo chiesto al professor Francesco Petretti, che è docente di gestione delle risorse animali presso l’Università di Camerino e fra l’altro è l’ornitologo ufficiale della trasmissione di Raitre ”Geo”, quindi lo vediamo spesso in televisione. Professor Petretti, è mai stata tradotta una parola, almeno una, ”detta” da un uccello che canta? Tradotta nel senso letterale del termine no, ma ormai sappiamo con molta precisione che cosa significhino nel linguaggio degli uccelli determinate vocalizzazioni: soprattutto allarme, paura, amore, sollecitudine verso la prole. Sembra che le tradizioni canore fossero più conosciute tre secoli fa che oggi. Immanuel Kant in Pedagogia (1803) racconta di avere tolto metà delle uova a un canarino sostituendole con uova di passero. I nuovi nati cantavano i motivi della famiglia adottiva, non quelli dei suoi parenti, diceva Kant. Il cinguettio dunque è qualcosa che si apprende? Non viene dall’istinto? Esiste una base innata ereditaria, ma poi l’uccello deve perfezionarla con l’ascolto. Secondo gli studi più recenti i pulcini ascoltano i genitori e durante il sonno sognano, cioè rielaborano il canto e lo fissano. Dal momento che gli uccelli in genere vivono fra i boschi, devono comunicare soprattutto con segnali acustici e un po’ meno con quelli visivi, no? Che cosa comunicano? Di tutto. Ogni specie ha un ampio repertorio di vocalizzazioni di cui il canto pieno è solo una. Possono comunicare ansietà, allarme per vari tipi di minacce, ad esempio un falco, un serpente, una volpe.... E poi vocalizzare serve da contatto con la prole o i genitori, ma si comunicano anche l’ira e il desiderio sessuale. I tipi di canto cambiano a seconda delle emozioni? Certo, ma anche la stessa vocalizzazione viene modulata in modo differente, naturalmente in relazione al contesto ambientale e sociale in cui viene emessa. Si può dire che esistano dialetti, anche tra conspecifici che però vivono in zone diverse? Assolutamente vero. Anche i canti, come molti comportamenti a base parzialmente ereditaria, sono soggetti alle leggi dell’evoluzione e quindi della speciazione: ossia una popolazione geografica fissa un proprio canto. L’orecchio umano ben allenato è in grado di distinguere una cinciallegra sarda da una toscana. Gli uccelli copiano canti di altri per chiamare aiuto? Sì, molte specie hanno ottime capacità mimiche. Poliglotta eccezionale è la ghiandaia che imita il canto della poiana per comunicare allarme. Se è vero, come scrive per esempio l’etologo Wolfgang Wickler, che alcuni chiamano il loro partner con un nome, di quali uccelli si tratta? Non sono sicuro che ciò sia vero, ma dobbiamo dire che ogni individuo ha un timbro di voce caratteristico che permette la sua identificazione a livello personale. Naturalmente solo gli uccelli sono in grado di riconoscere la voce del proprio partner in mezzo a mille voci di conspecifici. Grazie alla biologa Irene Pepperberg, sappiamo che certi pappagalli capiscono quello che dicono e che se ci copiano lo fanno per giocare. Tutti i pappagalli hanno questi passatempi? Il pappagallo cenerino è forse il più evoluto tra tutti. Non tutte le specie hanno simili attitudini. Le hanno cacatua e are, amazzoni e cenerini, mentre non le hanno lori e roselle. E le gracule che spesso salutano dicendo ”Come stai?”’ con voce umana, sanno quel che dicono? Credo di no. vero che i canti degli uccelli tessitori si alternano? Una strofa lei, una lui, della stessa canzone? Sì, è un modo di sincronizzare le attività e di migliorare l’affiatamento di coppia. In fondo tutta la vita di una coppia è un mirabile esercizio di affiatamento e anche nel canto si esercitano e lo verificano. Sono state fatte scoperte nuove sul loro canto? Quella del sogno-sonno come momento di rielaborazione del canto ascoltato dai nidiacei. Quali sono le specie più canterine, tra nostrane ed estere? Fra le specie italiane io metto al primo posto la capinera, poi il merlo e l’usignolo che è bello soprattutto perché canta di notte quasi da solo. Fra le specie esotiche metterei alcuni scriccioli, la strolaga col suo canto malinconico assai struggente e alcuni parulidi americani.