Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 22 Martedì calendario

Ai confini del mondo, intorno al Circolo polare artico, esposto a condizioni climatiche estreme e immerso in un ambiente ostile, da tempo l’uomo combatte una delle sue più importanti sfide contro la natura

Ai confini del mondo, intorno al Circolo polare artico, esposto a condizioni climatiche estreme e immerso in un ambiente ostile, da tempo l’uomo combatte una delle sue più importanti sfide contro la natura. Oggi ci sono circa 400 mila persone, appartenenti a diverse popolazioni tra cui Lapponi, Iacuti, Aleuti e Inuit, che conducono la loro vita in questi luoghi proibitivi, dove per gran parte dell’anno il sole non tramonta mai e le temperature sono sempre rigide, con punte minime che giungono fino a -60°C. Nell’immaginario collettivo questo universo è spesso soltanto igloo, gelo, qualche buco nella banchisa per pescare e poco altro. «In realtà», spiega Gabriella Massa, archeologa italo-canadese, esperta di popolazioni artiche e curatrice della mostra sui popoli del ghiaccio, che si terrà a Torino dal 2 dicembre prossimo, «la cultura Inuit è una cultura di pace, tolleranza, profondo rispetto per le persone e per l’ambiente, valori che il cosiddetto mondo civilizzato sembra avere dimenticato». Per millenni gli Inuit, ”uomini” in lingua Inuktitut, come loro stessi amano definirsi, ma forse meglio conosciuti come ”esquimesi”, parola indiana del popolo Cree che significa ”mangiatori di carne cruda” e dunque poco gradita agli Inuit perché usata in senso dispregiativo, hanno vissuto in un isolamento quasi totale e in modo primitivo. La società era ampiamente egualitaria, senza gerarchie o autorità formali e si fondava principalmente sulla cooperazione. All’interno delle famiglie esisteva una netta ripartizione dei ruoli. L’uomo si occupava della ricerca del cibo, della produzione di armi e utensili, della costruzione del qajaq, il canotto monoposto da caccia, e dell’umiaq, un battello di dimensioni maggiori per i grandi spostamenti, e della fabbricazione del caratteristico igloo. La donna, invece, aveva la responsabilità di tutti i doveri domestici: la preparazione e la ripartizione del cibo, la cura dei bambini, la confezione e la pulizia dei vestiti e delle calzature e la fabbricazione delle tende di foca usate per il campo estivo. Nei villaggi la persona più importante era l’angaqut, lo sciamano, una sorta di guaritore, considerato l’intermediario con il mondo occulto. Intorno agli anni Sessanta, la struttura sociale di questo popolo si è profondamente modificata. In breve tempo gli Inuit hanno fatto un percorso storico che la nostra civiltà ha compiuto in circa 7.000 anni, passando dalla cultura preistorica all’alta tecnologia. Oggi gli Inuit sono stanziali, vivono in calde e comode case, hanno accesso alle cure mediche, all’educazione scolastica ed esercitano professioni prima praticate esclusivamente dei qallunat, termine con il quale gli Inuit chiamano i bianchi, che letteralmente significa ”uomini dalle sopracciglia cespugliose”. Questa repentina evoluzione è stata in parte la conseguenza delle enormi variazioni climatiche che negli ultimi anni hanno interessato l’intero pianeta. Dal 1970 a oggi la banchisa polare è diminuita del 20 per cento, perdita che aumenta in modo esponenziale, e nel corso degli anni lo spessore medio del ghiaccio è passato da 7 a 3 metri. Dunque quella che potrebbe apparire un’evoluzione positiva delle condizioni di vita degli Inuit in realtà non lo è completamente, non solo perché frutto di sconvolgimenti climatici preoccupanti, ma anche per il disorientamento che ne è scaturito. Oggi la sfida per la sopravvivenza degli Inuit annovera molti più nemici di un tempo: all’inospitalità del territorio si sono aggiunte la perdita d’identità e dei punti di riferimento che consentivano a questa popolazione di prevedere l’arrivo della pioggia o del vento e di stabilire i rapporti gerarchici tra le famiglie semplicemente sulla base della distribuzione degli igloo. Alcolismo, tossicodipendenza e suicidio sono alcune delle piaghe che attanagliano questo popolo. Un popolo che, nonostante i problemi e i disagi, tuttavia continua a lottare con grande dignità per la sopravvivenza.