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 2005  novembre 22 Martedì calendario

Viaggiare nel tempo non è difficile. Basta salire a bordo di una vecchia DeLorean, attrezzata con un Flusso canalizzatore e in grado di raggiungere le 88 miglia orarie

Viaggiare nel tempo non è difficile. Basta salire a bordo di una vecchia DeLorean, attrezzata con un Flusso canalizzatore e in grado di raggiungere le 88 miglia orarie. Impostare l’orologio digitale (settando, nell’ordine, il tempo attuale e il tempo di destinazione), premere sull’acceleratore e via. D’accordo, in Ritorno al futuro Marty MacFly ed Emmet Doc Brown la facevano davvero semplice. Ma più che tentar di capire come vi riuscissero, è senz’altro più divertente gustarsi le avventure in cui finivano, spesso loro malgrado. Perché giocare con il tempo, soprattutto quando viaggiarvi attraverso è quasi una passeggiata, può costare caro. Pericoli del tutto immaginari, dicono molti scienziati. Andarsene a passeggio nel passato e nel futuro non è assolutamente possibile, quindi inutile preoccuparsi. Errore, affermano altri. Spostarsi nel tempo è possibile. E adesso vi diciamo come, grazie a due guide d’eccezione. La prima è Alberto Cappi, 43 anni, astrofisico reggiano dell’Osservatorio Astronomico di Bologna, profondo conoscitore della struttura dell’Universo, nonché appassionato di cosmologia (anche fantastica) e dell’opera di Edgar Allan Poe. La seconda guida è un ospite davvero eccezionale, che ha rilasciato un’intervista sul viaggio temporale in esclusiva per Macchina del Tempo: Paul Davies, uno dei più celebri scienziati del nostro secolo, noto in tutto il mondo per le sue ricerche nel campo dei buchi neri, della cosmologia e della teoria quantistica. Ha 59 anni, è nato a Londra ma dal 1990 vive e lavora in Australia, a Adelaide, dove la locale università ha ”inventato”, apposta per lui, la cattedra di Filosofia naturale. Paul Davies crede fermamente nei viaggi nel tempo, Alberto Cappi un pò meno e, sotto sotto, neppure li auspicherebbe... Insomma, assieme a loro non rischieremo di annoiarci. Quando si parte per un viaggio, la cosa più importante non è la destinazione, ma le condizioni della strada: è asfaltata o tutta buche e sassi? Così, anche per imbarcarci nella nostra avventura, è indispensabile comprendere qualcosa di più sul sentiero che percorreremo: il tempo. Del tempo si è detto di tutto e di più. Ma un astrofisico che cosa ne pensa? «Sono diversi i modi in cui un astrofisico può considerare il tempo», risponde Alberto Cappi (nella foto). «Vi è un tempo cosmico, con cui si misura l’evoluzione dell’universo. Ad esempio, sappiamo che il cosmo è nato circa 14 miliardi di anni fa, il sole un po’ più di 4 miliardi e mezzo di anni fa. Ma il tempo dipende dal moto dell’osservatore e dalla presenza di campi gravitazionali».  la gran lezione di Einstein e della sua teoria della relatività: contrariamente a quanto credesse Isaac Newton, fondatore della fisica classica, non esiste un tempo assoluto (così come non esiste uno spazio assoluto), perché la velocità o la gravità possono modificarlo. Naturalmente, occorrono velocità o gravità molto elevate, se vogliamo che gli effetti siano percepibili sensibilmente. Se sono su un’astronave che viaggia a una velocità prossima a quella della luce (300 mila km il secondo), a un osservatore esterno il mio tempo parrà scorrere molto lentamente. A me sembrerà scorrere troppo velocemente il suo. «Identica cosa per la gravità», puntualizza Cappi. «Se immaginiamo di osservare da lontano un astronauta in caduta su un buco nero - che possiede una forza gravitazionale inimmaginabile - il suo tempo ci apparirà sempre più rallentato, fino ad arrestarsi». E prosegue: «Vi è inoltre una manifestazione diretta e affascinante del legame fra spazio e tempo. Dato che la velocità della luce è finita (non può aumentare o diminuire), più una stella è lontana da noi, più tempo ha impiegato la sua luce a raggiungerci. Le stelle che vediamo in cielo sono a distanze diverse, dunque le osserviamo come erano in diversi momenti del passato. Ad esempio, oggi noi ammiriamo Sirio come era 8 anni e mezzo fa, 61 Vega come era 26 anni fa e Deneb almeno 1.600 anni fa. Per non parlare delle galassie lontane, la cui luce arriva dopo un viaggio di diversi miliardi di anni. così che l’astronomia ci permette di esplorare il passato dell’Universo: noi astronomi siamo già abituati, in un certo senso, a viaggiare nel tempo». Tempi diversi, che mutano secondo la velocità a cui si viaggia o al campo gravitazionale in cui si risiede. Detta così, un certo tipo di viaggio nel tempo sembra abbastanza ipotizzabile. Facciamo un esempio classico, piuttosto noto. Due gemelli, Mario e Piero, sono astronauti. Nel 2011, Mario sperimenta un veivolo che viaggia a una velocità prossima al 99,9 per cento quella della luce, mentre Piero resta a casa. Mario parte, raggiunge una stella a circa 5 anni-luce dalla Terra e torna indietro. Per effetto della velocità, però, il tempo di Mario si è enormemente rallentato. Tra andata e ritorno, per lui sono trascorsi solo 6 mesi, mentre per Piero (e per tutta la Terra) ben 10 anni! Mario, insomma, ha fatto un balzo nel futuro. «Andare avanti nel tempo è quindi possibile: basta muoversi a velocità molto elevate» rileva Cappi. «Ad esempio, si conoscono particelle (i muoni) che decadono in altre particelle dopo un paio di milionesimi di secondo. Quando però sono accelerate a velocità prossime a quelle della luce, sopravvivono per un tempo molto più lungo. Viaggiando nello spazio su un’astronave veloce come un muone negli acceleratori, al nostro ritorno potremmo ritrovarci anche a milioni di anni nel futuro (più la velocità si avvicina a quella della luce, maggiore è la differenza fra il tempo misurato a bordo dell’astronave e quello misurato a Terra). Però non si può tornare indietro: il biglietto è di sola andata. Inoltre, per raggiungere le velocità necessarie a un significativo viaggio nel futuro ci vorrebbe una quantità d’energia enorme: si tratta dunque di un’impresa tecnologicamente irrealizzabile». Ma la fantasia ha spesso una vista più acuta della scienza. «Herbert George Wells, scrivendo il suo famoso libro La Macchina del tempo», dice Paul Davies, «affermò che il tempo altro non era che una dimensione ”flessibile”, e questo una decina d’anni prima che Einstein pubblicasse la sua teoria della relatività ristretta. Anche sul viaggio del tempo vero e proprio le cose andarono allo stesso modo. Questa volta il protagonista fu Carl Sagan, il grande astronomo e scrittore scomparso nel 1996. Nel suo romanzo Contact immaginò un’apparecchiatura aliena che apriva una specie di ”cunicolo” nello spazio-tempo, trasportando gli astronauti dalla Terra alla stella Vega in pochi attimi. L’idea non era nuova. Il concetto di wormhole (cunicolo di tarlo) l’aveva già scovato, una quarantina d’anni prima, il fisico americano John Archibald Wheeler (che coniò, inoltre, anche il termine black hole, buco nero): si tratterebbe di un tunnel che unisce due diversi tipi d’universo. L’idea di Sagan era che potessero esistere cunicoli che collegassero due diverse zone del medesimo universo, creando in pratica una scorciatoia». Sagan, incuriosito dalla sua stessa intuizione, chiese all’amico Kip S. Thorne, fisico teorico al California Institute of Tecnology, se un tale wormhole fosse almeno teoricamente possibile. Thorne ci pensò sopra e alla fine affermò che sì, non c’è nulla che c’impedisca di credere a una tale ipotesi. La bella notizia, però, è che un cunicolo spaziotemporale non è soltanto una scorciatoia per le stelle, ma anche un passaggio da un punto all’altro del tempo. Io posso entrare in un’imboccatura del cunicolo che s’apre sul mio spaziotempo attuale, qui sulla Terra, uscire in un’altra parte nello spaziotempo di dieci anni fa, magari nell’orbita di una stella lontana, tornare molto velocemente e per la strada ”lunga” al punto di partenza e ritrovarmi sulla Terra prima di essere partito! Certo, è un pò complicato, però è plausibile, finalmente. Ora occorre soltanto trovare un wormhole. E questa è la brutta notizia. «Già, perché è più facile a dirsi che a farsi», replica Cappi. «In realtà non conosciamo i processi naturali che creerebbero i wormhole: dovremmo costruirceli noi». Oh, no! Che delusione! E adesso? Ma la speranza non muore mai. Paul Davies c’indica che un modo per costruire un wormhole personale esiste, grazie a una ”fabbrica” composta di quattro ”officine”: un collisore, un dispositivo d’implosione, un dilatatore e un differenziatore. Vediamole una per una. IL COLLISORE Provocare un’immane catastrofe per aprire un buco nero nel sistema solare è piuttosto controproducente. Meglio seguire un’altra strada. Per esempio gettando uno sguardo al cosiddetto ”vuoto quantistico”. La meccanica quantistica (che regola l’universo delle particelle su scala atomica) possiede una caratteristica alquanto curiosa: è il regno dell’indeterminazione e dell’incertezza. come se, riconoscendo un amico per strada, mi si cancellassero dalla mente tutte le cose che so di lui (quanti anni ha, se sta bene o male, dove sta andando, se è in auto o a piedi...). Invece, quando mi capita di aver ben chiare tutte queste informazioni, non so mai dove si trovi davvero il mio amico: se dietro l’angolo, al mio fianco o in Polinesia... un mondo davvero strano, che somiglia un po’ al Paese delle Meraviglie di Alice. Però queste stranezze possono tornare utili, come in questo caso. Prendiamo l’energia. Su brevi intervalli di tempo, l’energia di una particella (per esempio, un elettrone) è incerta, il che significa che il suo valore può variare in maniera imprevedibile. Questo è dovuto al fatto che la particella in questione può ”chiedere un prestito” energetico alla natura, con l’impegno di restituirlo immediatamente dopo (un decimilionesimo di trilionesimo di trilionesimo di trilionesimo di secondo dopo!). Ora, può capitare che il prestito sia così ingente da modificare la struttura dello spaziotempo, proprio come fa, su scala macroscopica, un buco nero. Peccato che l’effetto duri poco. Però, se si riuscisse a individuare - in mezzo a tutta questa ”schiuma quantistica” - una tale singolarità, bloccandola prima che scompaia e magari allargandola, potremmo ritrovarci tra le mani un minuscolo buco nero. E c’è soltanto un modo per farla durare nel tempo: restituire alla natura, di tasca nostra, l’energia che il nostro elettrone ha preso in prestito. «Il collisore costituisce il primo passo per impartire l’energia necessaria alla schiuma spaziotemporale», afferma Davies. «Consisterebbe in un acceleratore di ioni pesanti: si prendono nuclei d’oro o d’uranio, li si accelera, li si organizza in due fasci opposti e li si fa scontrare. La collisione è così violenta da ricreare per un istante le condizioni che esistevano un microsecondo dopo il Big Bang, quando la temperatura era di ben 13 trilioni di gradi. Si chiama ”fusione del vuoto quantistico”. Fantascienza? No. La si ottiene normalmente al Brookhaven national laboratory di Long Island, New York». IL DISPOSITIVO D’IMPLOSIONE Questa ”bolla di plasma” è ricchissima d’energia, ma per i nostri scopi ancora non basta. Ne abbiamo bisogno di più, per poter influire sulla schiuma spaziotemporale. Dovremmo quindi comprimerla per un fattore pari a un miliardo di miliardi di volte e concentrarla sul nostro buco nero virtuale. Stranamente, l’energia non è un problema. «Basterebbe quella prodotta in qualche secondo da una normale centrale elettrica», afferma Davies. Il problema è concentrarla su un oggetto così piccolo. Si potrebbero usare campi elettromagnetici, ma dovrebbero essere così potenti che oggi neppure si riesce a immaginare come produrli. E qui dobbiamo fare un atto di fede: se (incrociando le dita) un giorno si riuscirà a risolvere la faccenda della concentrazione, si potrà ottenere finalmente un buco nero o un wormhole da cui partire per la nostra macchina del tempo. Adesso, però, dobbiamo dilatarlo: se no come ci passiamo attraverso? IL DILATATORE Il problema di qualsiasi wormhole (grande o piccolo che sia) è che la gravità, al centro esatto fra le due estremità, è tanto forte da ”strangolarlo”. Dunque, devo ficcarci dentro qualcosa che la contrasti. Non solo: quest’esotica materia dalle proprietà antigravitazionali spingerebbe in fuori la ”gola” del mio minuscolo cunicolo, allargandola. Ma che cosa bisognerebbe usare? Sappiamo che la gravità è data dalla massa e che la massa (ce l’ha rivelato Einstein) è energia. Quindi, per produrre antigravità, basterebbe produrre ”antienergia”. O, meglio, ”energia negativa” (che, attenzione, non è la sua assenza. L’assenza di energia è zero, non -1). Potrà sembrare incredibile, ma metodi per produrre energia negativa si conoscono già, anche se - all’attuale stadio della tecnologia - sono alquanto inefficienti per il nostro scopo. Però, in attesa che il progresso avanzi, la natura arriva in soccorso. «Nel 1974, Stephen Hawking formulò la teoria che un buco nero dovesse risplendere debolmente di radiazione termica», svela Davies. «L’energia irradiata deve provenire da qualche parte e, poiché nulla (neppure l’energia) può uscire da un buco nero, sembrava che l’unica spiegazione possibile fosse questa: ci deve essere un flusso d’energia negativa che penetra nel buco nero stesso. L’anno seguente, William Unruh, Stephen Fulling e io lo confermammo, calcolando l’energia in prossimità di un buco nero nel contesto di un modello matematico semplificato bidimensionale. Trovammo che effettivamente c’è un flusso d’energia negativa, che entra nel buco con un ritmo che compensa esattamente la radiazione termica che ne proviene. Che cosa significa? Che un campo gravitazionale genera dal vuoto quantistico un’energia quantistica negativa. Insomma, creo il wormhole, il suo campo gravitazionale estrae energia negativa dal vuoto quantistico, io la prendo e gliela caccio in gola, ampliandolo. Un piccolo cunicolo di tarlo potrebbe quindi allargarsi da solo, spontaneamente, con un pizzico di regolazione da parte degli ingegneri dell’impianto di dilatazione» IL DIFFERENZIATORE Partire sì, ma dove? Perché il mio wormhole diventi una macchina del tempo, devo stabilire tra le sue estremità una differenza temporale permanente. Un sistema c’è, e neppure complicato. Abbiamo detto che il tempo è influenzato dalla velocità o dalla gravità. Usiamo la prima. Innanzi tutto, quando è ancora molto piccolo (tipo particella subatomica) fornisco al cunicolo una carica elettrica (ad esempio, ci sparo dentro degli elettroni). Immetto una delle imboccature in un normale acceleratore di particelle e la faccio girare a una velocità prossima a quella della luce. Gli elettroni immessi se la ”trascinano” dietro, mentre l’altra imboccatura sta ferma, fuori dall’acceleratore. Così facendo, tra le due estremità si crea una discrepanza temporale, proprio come era successo, all’inizio di questo capitolo, tra i due gemelli Mario e Piero. Poniamo che mandi avanti il processo per dieci anni. A causa di ciò che già abbiamo visto, per l’estremità ”ferma” sono trascorsi dieci anni, per l’estremità ”accelerata” soltanto pochi secondi (il tempo, con la velocità, rallenta). Fermo l’acceleratore, ingrandisco il wormhole (tenendolo il più ”corto” possibile), avvicino le due estremità e adesso, entrando in quella rimasta ferma, posso uscire da quella ”accelerata” circa dieci anni indietro nel tempo, ritrovandomi più o meno all’epoca in cui ho cominciato il processo. Posso usare anche un campo gravitazionale fortissimo, magari quello di una stella a neutroni o di un buco nero. Vi parcheggio nelle vicinanze (dove il tempo si rallenta fin quasi a fermarsi) una delle due estremità e l’altra la lascio sulla Terra (dove il tempo scorre alla velocità a cui siamo abituati). Aspetto i miei 10 anni e riporto nel Sistema solare l’estremità ”parcheggiata”. Avvicino le due parti ed ecco il mio biglietto per il passato. La macchina del tempo è bell’e pronta. «Naturalmente, se si costruisse una macchina del tempo grazie a un wormhole artificiale», ammette Davies, «Un problema c’è: non si può risalire nel passato oltre la data d’inizio progetto». Vediamo perché. Comincio l’operazione nel 2005. Rallento il tempo fin quasi a fermarlo nell’estremità A (con la velocità o con la gravità, è uguale). Lascio passare, poniamo, 10 anni, che trascorrono integralmente per me e anche per l’imboccatura B, che sta nel mio tempo normale. Nel 2015 avvicino le due estremità ed entro in B per uscire in A, quella in cui ho quasi bloccato il tempo all’inizio dell’esperimento (cioè nel 2005). In che anno mi trovo? Ma nel 2005, è ovvio! Più indietro non posso andare. «Per questo motivo, forse», aggiunge Davies, «non siamo sommersi da ”turisti temporali”. Se nel futuro qualcuno realizzerà questa macchina, non potrà tornare indietro prima della sua realizzazione. Quindi non può venire a trovarci». Soltanto se si scoprissero wormhole naturali, magari creati in vari momenti della storia del cosmo, si potrebbe avere un bel po’ di epoche a cui tornare. In caso contrario, meglio accontentarsi. «In fin dei conti», conclude Alberto Cappi, «Non mi dispiace l’idea che una macchina del tempo vera e propria non si possa costruire. Potrebbe costituire una delle più pericolose invenzioni dell’umanità (si pensi a una ”guerra preventiva” combattuta alterando il passato del nemico). Al posto di una macchina del tempo, mi piacerebbe invece disporre di un ”cronoscopio”, con cui osservare il passato. Cosa che ci permetterebbe di conoscerlo meglio e di non dimenticarlo».