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 2005  novembre 19 Sabato calendario

Quanto è brutto dire Racaille. La Stampa 19/11/2005. Un po’ di filologia rasserena. Conoscevo la parola in questione, subito mondializzata per averla pronunciata all’inizio delle rivolte delle periferie Nicolas Sarkozy, ma non ci avevo mai speso ricerche di senso e di etimo

Quanto è brutto dire Racaille. La Stampa 19/11/2005. Un po’ di filologia rasserena. Conoscevo la parola in questione, subito mondializzata per averla pronunciata all’inizio delle rivolte delle periferie Nicolas Sarkozy, ma non ci avevo mai speso ricerche di senso e di etimo. Per aver definito racaille i giovani incendiari Sarkozy ha ricevuto più biasimi degli stessi rivoltosi: dunque è da vedere in che misura e perché racaille sia brutto, tanto da raddoppiare la collera degli anonimi denominati. Littré dà racaille come «la parte più vile del popolaccio» e lo dà come termine più fortemente spregiativo di canaille. Ma è racaille anche qualsiasi cosa che faccia schifo e da buttar via. L’origine probabile, secondo il fenomenale linguista del XIX, potrebbe venire dal Vangelo di Matteo, V, 22: «E io vi dico (cito a memoria) che chiunque dirà al suo fratello raca sarà trascinato davanti al sinedrio». Dotto e pieno di fascino, e mi fa drizzare l’orecchio di semitista in pensione: ma se l’etimo fosse questo Sarkozy non meriterebbe, da parte di contemporanei, il minimo biasimo. Raca è una parola aramaica, corrente nella Giudea di Pilato, che non ci fa neppure il solletico: modestamente significa zucca vuota, sciocco, imbecille, e Gesù certamente sapeva trattarsi di un’ingiuria leggera e perfino scherzosa; resta enigmatico (e anche di più è quel che segue) perché debba finire davanti al tribunale religioso chi ne faccia uso in famiglia. E’ un paradosso evangelico, i teologi avranno una loro spiegazione. E’ curioso però che in francese (che io sappia non ci sono altri esempi nelle romanze) raca sia entrato nell’uso moderno col senso di ingiuria (severa perché punita da Gesù, inesplicabilmente): crier raca vale coprire di contumelie, inveire contro qualcuno. Una certa analogia con raclure, feccia, ha indotto molti a tradurre in italiano racaille con feccia, ovviamente feccia sociale, metaforica. Non è inesatto: l’hanno usato i nostri migliori commentatori e anch’io avrei tradotto così. Non è inesatto, è ben trovato e naturale: tuttavia non è combaciante, non soddisfa del tutto. Un ministro italiano che usasse pubblicamente senza sorvegliarsi troppo feccia in un caso simile, se la passerebbe molto più liscia di Sarkozy. Da noi è metafora debole, appena un po’ più forte di raca all’epoca di Gesù. Beh, consiglio di provare. Abbiamo dati più certi, dal momento che rascaille è nel francese arcaico fin dal XII secolo, mille anni di vita proba, con derivazione quasi infallibile da rasche (dal basso latino, peccato non avere in casa il meraviglioso Du Cange, ma me lo potrà consultare Carlo Carena: rasicare, grattare). E quel che si gratta di più, nella lingua figurata, è la ROGNA. Infatti rasche vale rogna, scabbia, ulcera, piaga infetta e purulenta, e qui teniamo, mi pare, il senso di profondità di racaille (e la sua superiorità scongiuratrice su canaille): piaga immonda, piaga sociale se lo si vuole applicare oggi secondo l’etimo più verosimile. E chi si sente definire così ha certamente, impigliato nelle antenne interiori, nel lobo intuitivo, dove sopravvivono gli strati più remoti, nel ventre oscuro dell’anima, la percezione del senso originario dell’insulto, e ha reazioni istintive di furore, non vuole identificarsi con una realtà fisica così repulsiva. Se l’Autorità, il Ministro che a un fischio può far accorrere mille gendarmi (e la funzione dell’autorità, in Francia, è molto più temuta e imponente che da noi) mi vede come un’ulcera sifilitica, un pus vomitato dai cementi abitativi, un lebbroso, io, non potendogli spaccare la faccia, mi metto a spaccare di buona lena tutto. Casseur non si nasce, non è nell’uovo; tanti fattori contribuiscono a formarlo come a disfarlo. In italiano non possiamo tradurre racaille con piaga: però è indubbiamente vero che i giovani stipati nei quartieri-dormitorio e abbeverati di violenza sono piaga (rogna, rasche). Uscito dal suo strano sonno, Chirac si è premurato di versare unguento sulla piaga, e ha magicamente trasformato la racaille di Sarkozy in «figlie e figli della Repubblica». Ecco là: la Repubblica come Gran Madre tricolore, apparizione di Lourdes, grande Madonna della Misericordia dal mantello azzurro. Nella persuasione religiosa che nessuno potrebbe resistere a una simile musica. Espressione non esportabile: in Italia nessuno penserebbe di chiamare «figli della Repubblica» dei giovani delinquenti, perché non siamo una repubblica di religione laica giacobina. Aver avuto nella propria storia l’Ottantanove, seme di miti, discesa messianica, vuol pur dire qualcosa! Guido Ceronetti