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 2005  novembre 21 Lunedì calendario

Ebbene sì, anche Pablo Picasso, l’uomo col cappello bianco che nella foto stringe sorridendo tra le braccia la procace ballerina in bikini, era dislessico

Ebbene sì, anche Pablo Picasso, l’uomo col cappello bianco che nella foto stringe sorridendo tra le braccia la procace ballerina in bikini, era dislessico. E come lui, tanti altri uomini e donne (poche) di talento, nell’arte, nella musica, nelle scienze e nelle lettere: Hans Christian Handersen, Gustave Flaubert, Agatha Christie, Mark Twain, Walt Disney, Charles Darwin, Albert Einstein, Raffaello, Van Gogh, Mozart, Beethoven e così via. A volerci vedere per forza un legame, sembrerebbe quasi che la dislessia s’accompagni spesso a una qualche forma di genialità. S’aggiunga poi che anche molti scienziati del famoso Mit di Boston sono affetti da questo disturbo. E che nell’ambiente medico americano gira il detto: «Se devi farti operare, accertati prima che il tuo chirurgo non sappia fare lo spelling!». Insomma, non è che la dislessia più che un handicap sia un dono?  stato un libro scritto qualche anno fa da Thomas G. West (In the mind’s eye, Prometheus Books, 1997), dislessico e con due figli dislessici pure loro, a cambiare il punto di vista che molti hanno su questa disabilità. West sostiene che la dislessia «è un disturbo che si lega, in un’alta percentuale di casi, a particolari qualità e intelligenze molto vive: è una strana miscela di difficoltà e spiccati talenti». «Spesso i dislessici» spiega infatti West «hanno un modo di pensare più visivo, procedono per associazioni di immagini e mostrano un approccio più globale ai problemi con particolari abilità nel comprendere i sistemi complessi negli affari economici e nelle scienze». Di certo a saltare più agli occhi, almeno all’inizio, sono le difficoltà. Enrico Ghidoni, neurologo e presidente dell’Associazione Italiana Dislessia, sa bene come sia dura affrontare il problema, soprattutto in Italia: «Come al solito, nel nostro Paese soffriamo di un ritardo culturale. In America la prima associazione che si occupa di dislessia è nata nel 1949; in Inghilterra nel 1973: noi abbiamo iniziato le nostre attività solo sette anni fa. Oggi abbiamo 2.500 soci, tra medici, psicologi, terapisti, genitori, insegnanti e adulti colpiti. Ma siamo ancora indietro, spesso vengono fatte diagnosi sbagliate e il disturbo viene scambiato semplicemente per svogliatezza, poca attenzione quando non per un vero e proprio deficit d’intelligenza». Spesso i bambini affetti da questo disturbo, che dovrebbe essere diagnosticato in età scolare, si mostrano irrequieti, magari disattenti, poco interessati alle lezioni. Ma è una conseguenza, non la causa stessa della dislessia. «Si tratta» spiega Ghidoni «di un disturbo dell’apprendimento di natura neurobiologica, che riguarda cioè i meccanismi cerebrali in grado di automatizzare le relazioni tra lettere e suoni. Nel momento in cui il bambino deve imparare a leggere e scrivere, manifesta delle difficoltà nell’elaborazione delle informazioni verbali: non riesce a collegare il simbolo scritto con il suono che dovrebbe avere. Ma nel suo cervello, il bambino dislessico ha tutto ben chiaro: il suo è semplicemente un problema nell’automatismo dei collegamenti». Ecco perché torna a casa senza aver segnato i compiti sul diario: la maestra, poco prima del suono della campanella, li avrà scritti di fretta e in corsivo (che per un dislessico è molto più difficile dello stampatello). Ecco perché non riesce a risolvere un problema di matematica impostato sulla lavagna: probabilmente ha speso il tempo a disposizione nel tentativo di ricopiarlo sul suo quaderno. Eppure, sarà in grado di ricordare, meglio degli altri, quello che viene detto in classe. come se il cervello, per supplire a una debolezza, acuisse altre capacità. Grazie a una serie di esami, quali la risonanza magnetica funzionale e la tomografia a emissione di positroni (Pet), è stato possibile studiare il funzionamento del cervello di persone dislessiche. Ricercatori dell’Università dell’Insubria di Varese e del San Raffaele di Milano sono giunti alla conclusione che alcune aree della corteccia cerebrale sono più sottili del normale, sia nel lobo temporale dell’emisfero destro sia nel cervelletto, regioni coinvolte nel meccanismo della lettura. Una caratteristica, questa, che porterebbe al cattivo collegamento tra le varie aree e quindi a una difficoltà nell’associare ciascun simbolo al suo suono. «Noi italiani, poi» precisa Ghidoni «siamo fortunati. La nostra lingua infatti è molto regolare e quindi relativamente facile per un dislessico. Peggio sarebbe se fossimo in Gran Bretagna: l’inglese, con ogni lettera che si legge in modo diverso a seconda dei casi, è un incubo per chi soffre di questo disturbo. Meglio di noi, c’è solo il finlandese!». Tant’è vero che mentre in Italia i dislessici sono circa un milione e mezzo (3-5 per cento della popolazione), in America sono più del doppio. E sono soprattutto uomini: fino a qualche anno fa si pensava che il rapporto fosse di 4 maschi per ogni donna, oggi sappiamo che è un pò meno. Ma non è certo un caso se nel nostro elenco di famosi l’unica donna è Agatha Christie.