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 2005  novembre 21 Lunedì calendario

Paolo Villaggio e l’ipocondria

E’ il parafulmine degli infelici l’ipocondria secondo Paolo Villaggio, 72 anni, malato immaginario con 5 ricoveri per infarti fasulli all’attivo. Tutti con mano sul petto a indicare la fitta e scossone notturno alla moglie Maura che puntualmente non crede a quello che le dice il marito moribondo. «In Corsica, andai a piedi all’ospedale, in piena notte, pensando: ”Eccolo, ci siamo”. L’unico reparto di turno era ginecologia e il medico, di fronte al mio enorme ventrone, non credette all’infarto e voleva ricoverarmi per gravidanza isterica maschile... sono scappato!». Ma perché parla di persone infelici? «Perché l’ipocondriaco si rifugia nella paura, s’impossessa dei sintomi della malattia e incanala così l’infelicità, cercando (e trovando) un buon motivo per star male». Quando è iniziata la paura di star male? «Da bambino, con quella del buio. I miei ospitarono a casa una bambina che s’ammalò di poliomielite. Io e mio fratello gemello eravamo terrorizzati. Dormivamo insieme e per non farci stare al buio ci misero una di quelle lucette da veglia. Andò peggio, comparivano mostri e ombre sinistre». Ipocondriaci in famiglia? «Mio padre, molto più di me. Io stesso ho assistito a questa scena: Mussolini in visita a Genova, era il 1938. Mio padre: sahariana nera, incedere deciso, sguardo impenetrabile. Lo avvicinò un signorotto che salutandolo con una stretta di mano disse timidamente: ”Ma sa che lei potrebbe avere la sindrome di...” e pronunciò un nome strano in francese. Mio padre sbiancò e svenne rovinosamente a terra». Per la serie ipocondriaci insospettabili... «Sono i più divertenti: quando si ha la fobia e si tenta di far finta di nulla. Il più grande di tutti era il regista Marco Ferreri. Se qualcuno faceva cenno a un male o alla sofferenza fisica, lui prima fingeva distacco, subito dopo s’allontanava facendo versi da cavallo. Aveva una paura fottuta di soffrire». Villaggio, Ferreri, e poi le fobie di Verdone, Haber... «Aggiungiamo pure Fellini, noto fifone. Ma non è una questione di cinema, piuttosto ha a che vedere con le coscienze ipertrofiche. Chi pensa troppo, insomma». Sento un certo distacco... «Non sono più ipocondriaco, purtroppo». Ha detto purtroppo? «Sì, quando ti passa ne senti un po’ la mancanza. Per me è stata una lunga parentesi che s’è chiusa con la vecchiaia». Le sue paure di adesso? «I miei amici che non ci sono più. Il problema ora è la solitudine. Con la vecchiaia poi arriva la paura, egoista anche quella, di perdere le persone a cui vuoi bene: mia nipote, mia moglie. Un caso a parte mio fratello. A 70 anni tra gemelli s’insinua il terrore di sopravvivere all’altro. Così mi chiama una volta al giorno chiedendomi se son vivo. Io rispondo di sì e poi attacchiamo». Due anni fa nel suo libro Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda (Mondadori) aveva promesso che sarebbe morto nella notte tra il 14 e il 15 dicembre del 2002 a Bonifacio in Corsica. Dov’era quella notte? «A Bonifacio. Dopo cena mi addormentai come sempre davanti alla tv. Poi, insonne come molti vecchi, passai la notte guardando dalla finestra il mare». Il tutto senza morire. «Sì. Ma sarà per ipocondria o forse per il mio peso che qualche volta, a Bonifacio, mentre sono in casa, ho paura di precipitare di sotto con tutta la casa che si distrugge a picco sul mare». Villaggio, meno male che era guarito...