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 2005  novembre 21 Lunedì calendario

Mentre ne parla riesce anche a riderci su. Ma, nel periodo più difficile della sua vita, l’ironia non è bastata a vincere le paure che la ossessionavano

Mentre ne parla riesce anche a riderci su. Ma, nel periodo più difficile della sua vita, l’ironia non è bastata a vincere le paure che la ossessionavano. Liliana, che oggi ha 42 anni, un impiego e due figlie adolescenti, racconta la sua avventura da ipocondriaca col piacere liberatorio di chi descrive i dettagli di un brutto sogno. Di tutti i referti medici che ha collezionato, tra lastre, ecografie e analisi del sangue, non è mai riuscita a disfarsi: ogni tanto li tira fuori e li esibisce con un pizzico di vanità, come a dire ”ecco da cosa sono riuscita a guarire”. A quando risalgono i primi sintomi del suo malessere? «La paura delle malattie è scattata 10 anni fa, dopo la morte di mio padre: allora ho cominciato a essere ossessionata dalle mie condizioni di salute. Se mi veniva mal di testa ero convinta d’aver un tumore al cervello e facevo una serie interminabile di esami. L’esito ovviamente era negativo, ma non mi fidavo mai della risposta. Ero sicura che quei disturbi fossero il sintomo di qualche grave malattia difficile da diagnosticare e ripartivo alla ricerca della fantomatica causa». Come poteva affrontare la vita di tutti i giorni? «Era difficilissimo, persino prendere l’autobus diventava un problema. Avevo paura d’infettarmi toccando le parti su cui altri avevano poggiato le mani, per cui indossavo sempre dei guanti, anche d’estate. Al supermercato guardavo con sospetto chiunque sfiorasse i prodotti vicini a quelli che dovevo comprare. Per non parlare poi delle insidie nascoste nel cibo: le uova erano fonte sicura di infezione da salmonella, per cui furono bandite dalla nostra tavola per un bel pò. Insomma un vero inferno sia per me che per chi mi stava accanto». Ha consultato dei medici? «Dopo aver passato in rassegna tutte le malattie, dal diabete alla sclerosi, ero convinta d’essere stata colpita dalla forma giovanile del morbo di Parkinson. Ne avevo sentito parlare da un amico che aveva raccontato di una sua parente che ne era affetta. Dopo giorni d’angoscia in cui tremori e rigidità degli arti, che inevitabilmente sopraggiunsero, mi sembravano segni inequivocabili della malattia, ho preso appuntamento con un neurologo: certo che il mio problema fosse di altra natura, lui mi ha indirizzato a uno psichiatra». Che le ha trovato la cura giusta... «Neanche per idea. Mi ha riempito di farmaci senza considerare che la lettura dei foglietti illustrativi mi scatenava tutti gli effetti collaterali che trovavo elencati. Così ero sempre con le due dita della mano destra fisse sul polso sinistro per monitorare le pulsazione cardiachi e il misuratore della pressione a portata di mano. Provai con la psicoanalisi, ma quelle interminabili sedute in cui non facevamo altro che rivangare il passato, avevano un pessimo effetto». Con la medicina non ha funzionato, con la psicoanalisi nemmeno, ma a sentirla così serena sembra tutto finito... «Ho letto per caso su un giornale la pubblicità di un centro di pronto ascolto di un istituto di Roma. Ho chiamato, ho preso appuntamento con una psicologa e ho iniziato gli incontri dopo essermi assicurata che non avremmo affrontato il mio passato. Grazie a tecniche di rilassamento, training autogeno ed esercizi fisici, in meno di un anno sono guarita». Quando si è accorta di esserne veramente fuori? «Due episodi hanno segnato l’inizio di un nuovo modo d’affrontare la vita. Il primo è stato quando ho varcato la porta di una clinica per andare a fare visita a un’amica. Non ero mai riuscita a entrare in un ospedale prima. Certo, avevo i sudori freddi, ma non sono scappata via in preda al solito attacco di panico. Sono entrata nella stanza e ho detto semplicemente: ”fa un po’ caldo qui”. Il secondo segno l’ho avuto quando nella cassetta della posta ho trovato la tessera di socio onorario donatami, per la fiducia dimostrata, dall’associazione di medici di pronto intervento che facevo venire a casa per le emergenze più disparate. Quando ho aperto la busta mi è venuto da ridere. Lì ho capito di avercela fatta».