MACCHINA DEL TEMPO OTTOBRE 2004, 21 novembre 2005
Siete stati capaci di riconoscere i 100 volti qui sopra? Probabilmente no (la soluzione, per i più curiosi, è a pagina 95)
Siete stati capaci di riconoscere i 100 volti qui sopra? Probabilmente no (la soluzione, per i più curiosi, è a pagina 95). Eppure ognuno di questi personaggi ha fatto qualcosa per meritarsi la notorietà. Il test dei volti famosi, usato da oltre vent’anni in neurologia per mettere alla prova memoria e attenzione di chi lo esegue, anche nella nostra versione rivela che è praticamente impossibile identificare su due piedi così tanti personaggi, dimostrando quanto delicata sia la capacità mnemonica. Ci sono naturalmente delle eccezioni, ed esistono individui che sono veri campioni di memoria. Qualche esempio? L’inglese Dominic O’Brien, capace di ricordare l’ordine di un mazzo di carte in 32,8 secondi. Ken Jennings, protagonista del quiz tv ”Jeopardy”, che ha risposto a più di mille domande e vinto oltre un milione di dollari. E l’italiana Giuliana Longari, campionessa di ”Rischiatutto” negli anni 70, che a forza di risposte azzeccate si portò a casa 13 milioni in gettoni d’oro. Ma il cervello dei campioni della memoria è forse diverso da quello dei comuni mortali? O si tratta di semplice allenamento? Giacomo Koch, del laboratorio di neurologia clinica e comportamentale dell’Istituto Santa Lucia di Roma, spiega: «S’ipotizza che i campioni di memoria abbiano, rispetto agli altri, un’area cerebrale più sviluppata: l’ippocampo. Lo suggerisce uno studio dell’University College di Londra condotto nel 2000 sui conducenti di taxi. In queste persone è superiore alla norma il volume occupato dalla parte anteriore dell’ippocampo, indispensabile per orientarsi perché raccoglie le memorie viso-spaziali, cioè legate alle immagini e al nostro modo di rapportarci ai luoghi». Secondo i ricercatori i tassisti svilupperebbero questa particolare conformazione cerebrale perché hanno bisogno di ricordare molte strade, più di quanto non accada agli altri. Più in generale, lo studio fa ipotizzare che le aree cerebrali si sviluppino in modo diverso a seconda dell’uso che se ne fa. Con un pò d’allenamento potremmo tutti diventare supercampioni? «Purtroppo no» ammette Koch. «Esiste una predisposizione naturale che non si può imitare. Si può però migliorare la memoria mantenendo il cervello in attività: sono utili i passatempi che stimolano i circuiti cerebrali, dalle carte ai giochi mnemonici». «Accumulare ricordi», aggiunge poi Koch, «non significa essere in grado d’utilizzarli quando servono. A questo scopo serve la capacità di richiamare alla memoria le informazioni accumulate: il recall, svolto dai lobi frontali del cervello». Spesso i grandi mnemonisti, per non dimenticare, usano un trucco: fanno collaborare la memoria semantica (il ricordo delle nozioni) con quella viso-spaziale (il ricordo d’immagini). Il ventisettenne Gianni Golfera di Lugo di Ravenna, ritenuto il più grande mnemonista d’Europa, divide il suo cervello in cento stanze, che riempie di immagini ed emozioni invece che di nozioni. Ma la ricerca di tecniche per affinare la memoria risale ai greci e ai romani. All’oratore Cicerone si deve il perfezionamento della mnemotecnica detta metodo dei loci, cioè dei luoghi, tutt’oggi usata da chi parla in pubblico. Questa tecnica consiste nel collocare informazioni in luoghi diversi di un’ipotetica mappa mentale. Per non perdere il filo basta visitare mentalmente i luoghi, seguendo un percorso prefissato. Il potere delle immagini visive di fissarsi nella memoria era ben noto nel Cinquecento anche a Ignazio di Loyola. Il fondatore dei Gesuiti negli Esercizi spirituali invitava i fedeli a fuggire il peccato immaginando i tormenti dell’inferno. Nel Novecento fu eclatante il caso del russo Solomon Serasevskij. La sua mente, grazie a una formidabile capacità immaginativa, riusciva a ricordare tutto. E dopo un po’ si manifestò il problema contrario: non riusciva a dimenticare. Il suo caso fu studiato da Aleksandr Romanovic Lurija, il precursore della neuropsicologia. Racconta Giorgio Celli, docente all’Istituto di Entomologia ”Guido Grandi” dell’Università di Bologna: «La risorsa e insieme la maledizione di Serasevskij era proprio quella di non poter dimenticare. Come il protagonista del racconto di Luis Borges Funes o della memoria, Serasevskij poteva ricostruire sin nel minimo dettaglio le esperienze passate. Riusciva a ricordare esattamente numeri e cifre visualizzandoli come su una lavagna, ma aveva difficoltà a cogliere il significato di una frase perché ogni parola gli richiamava alla memoria mille immagini che lo distraevano da ciò che stava facendo». Le straordinarie abilità mnemoniche di Serasevskij erano legate a un potenziamento anomalo della condizione nota come «sinestesia», la capacità d’associare percezioni sensoriali di diverso tipo. Sentire i colori, vedere i suoni, collegare memorie agli odori, abilità comuni nei bambini e che in genere diminuiscono crescendo. Ma non del tutto, come dimostra una ricerca pubblicata su ”Neuron” dall’équipe di Jay Gottfried dell’University College di Londra. Gli studiosi hanno provato quello che Marcel Proust già scriveva nella Recherche a proposito della famosa «madeleine»: le memorie associate agli odori sono particolarmente resistenti anche negli adulti (nel caso di Proust era il profumo del biscotto). Non solo: uno stimolo visivo riesce a innescare i ricordi olfattivi associati alla stessa situazione. Questo accade perché l’ippocampo, che controlla e coordina i diversi aspetti sensoriali del ricordo anche se distribuiti in aree distinte della corteccia cerebrale, al momento opportuno è in grado di ricostruire l’intera situazione. «I ricordi dell’infanzia», aggiunge Koch, «sono tra le memorie più stabili, anche se non è ancora chiaro perché. Forse si fissano in modo profondo perché durante la vita ci accade di richiamarli più spesso rispetto agli altri o forse perché sono fondamentali nella costruzione dell’identità individuale». A voler essere precisi, esistono due tipi di memoria. Spiega Koch: «Accanto a una memoria a lungo termine che trattiene i ricordi per anni, addirittura per tutta la vita, ne esiste una a breve termine, la ”memoria di lavoro”, dove conserviamo informazioni verbali e visive per 20-30 secondi. Così siamo in grado di comporre un numero telefonico dopo che ci è stato suggerito a voce, anche se difficilmente lo rammenteremo nei minuti successivi». «I ricordi di lunga durata», prosegue il neurologo, «sono distribuiti nelle aree della corteccia cerebrale e poi recuperati dall’ippocampo». Ma non tutte le informazioni vengono immagazzinate in modo permanente. I processi a breve termine sono regolati dall’attivazione della corteccia cerebrale; per quelli a lungo termine sono fondamentali l’ippocampo e l’area del paraippocampo. Per fissare i ricordi interviene un neurotrasmettitore, l’acetilcolina, capace di modificare le connessioni cerebrali in modo da immagazzinare le nuove informazioni. «Esistono poi circostanze in cui la mente è più propensa a immagazzinare ricordi», aggiunge Lamberto Maffei, direttore dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr. «Le nozioni apprese la sera prima d’andare a letto restano fissate nella memoria con più facilità perché durante la notte il cervello non comunica con gli altri e ha tempo per immagazzinare i nuovi dati». Lo conferma lo studio di Sidarta Ribeiro, della Duke University di Durham (Usa). Durante le fasi di sonno profondo, cervello anteriore e ippocampo cooperano per fissare i ricordi; durante le fasi di sonno Rem s’attivano geni che stimolano la memoria. Maffei mette in guardia anche dai farmaci: «Per ricordare meglio, se non ci sono alterazioni del sistema nervoso, le medicine non servono. E gli integratori non danno risultati più d’uno stile di vita sano». E poi aggiunge: «Migliorare la memoria non è facile, peggiorarla sì». Droghe, farmaci per curare schizofrenia e malattie mentali, ma anche i più comuni tranquillanti possono compromettere la capacità di ricordare. Ma il vero nemico della memoria rimane lo stress: manda il cervello in tilt e provoca alterazioni chimiche. Una vera minaccia per i meccanismi del ricordo.