MACCHINA DEL TEMPO OTTOBRE 2004, 21 novembre 2005
Le bellissime dai colori smaglianti o sono velenose o sono truffatrici, anche se a volte non misurano più di un centimetro e abitano nella corolla di un fiore come minuscole fate
Le bellissime dai colori smaglianti o sono velenose o sono truffatrici, anche se a volte non misurano più di un centimetro e abitano nella corolla di un fiore come minuscole fate. Ma sono solo alcune delle circa 4.300 specie di rane descritte finora dagli studiosi. In gran parte sono inoffensive e perfino utili perché mangiano mosche, moscerini della frutta, zanzare, lumache, vermi e così via. Sembra che grazie a loro in agricoltura si risparmino ettolitri di insetticidi. In qualche caso però hanno creato problemi, come le grandi Bullfrog verde-argento, importate negli Stati Uniti più di un secolo fa per allevarle e venderle ai ristoranti. L’impresa è fallita ma loro si sono vendicate riproducendosi freneticamente e divorando uccelli, pesci e le modeste rane indigene. Questi anuri (anfibi senza coda) sono personaggi da non sottovalutare, sia per il loro stile di vita sia per la loro varietà. Infatti nell’American Museum of Natural History di New York l’erpetologo Christopher J. Raxworthy ha allestito una mostra vivarium dedicata a loro: Rane, un coro di colori, che resterà aperta fino al 9 gennaio e che è visitata ogni mese da ottomila ricercatori. I gioielli del vivarium sono le rane dalle stupende livree, come i dendrobatidi americani, i cui colori vanno dal rosso al blu attraverso tutto lo spettro e c’è perfino chi porta sulla pelle l’intero arcobaleno. Cautela, però: se incontriamo questi capolavori allo stato libero è bene guardarli e non toccarli perché i più vistosi sono proprio quelli che secernono dalla cute le più potenti sostanze tossiche. Non possiedono armi, la pelle è sottile, vulnerabile e l’unica loro difesa è chiudersi in una tutina velenosa, secreta dalla ghiandola parotide. In duecento milioni di anni di evoluzione hanno messo a punto l’arte di sbandierare i colori detti ”di avvertimento”, che in parole umane suonano così: «Attenzione, non sono commestibile, state alla larga». I predatori hanno appreso la lezione a proprie spese, perché nei casi in cui li hanno mangiati sono stati costretti a sputarli torcendosi dal bruciore. La piccola Dendrobates leucomelas, ad esempio, ha le stesse bande gialle e nere della vespa, noto segnale di pericolo tra gli animali. Le più tossiche sono di colore uniforme: giallo, arancio o verde. Si chiamano Phyllobates terribilis e il loro veleno è molto più attivo del curaro. Agli indios della Colombia una rana basta per avvelenare trenta punte. Dopo aver visto che gli aggressori quando le incontrano cambiano strada, altre specie del tutto innocue si sono vestite come loro per scampare ai pericoli. Gli anuri radunati nel Museo sono nati in cattività, figli di ospiti precedenti. Il Museo infatti ha allevato alcuni esemplari per anni e i dati sono stati raccolti grazie ad alcuni Dendrobates tricolor che si accoppiavano tre o quattro volte al mese. Anche mettendoci il massimo impegno, la femmina non riusciva a deporre più di 600 uova l’anno, ossia da 10 a 30 ogni decina di giorni. Le rane vivono ovunque, dalle pianure umide delle zone pluviali ai deserti, dalle montagne alle rive del mare dove rubano le tane ai granchi; dall’Artico all’Equatore; dai calici dei fiori agli alberi altissimi dove trovano un po’ d’acqua nelle cosiddette ”ascelle” delle bromeliacee. Molte, avendo le dita palmate, sanno anche scendere a volo dalle cime. Solo i pinguini dell’Antartide non le conoscono. Secondo i paleontologi il loro capostipite era lungo quattro metri e poteva competere con gli ultimi dinosauri. Noi oggi conosciamo soprattutto le piccole rane verdastre che si trovano negli stagni e fra i canneti di palude, ma anche loro sono da rivalutare. Non bisogna credere, per esempio, che tra gli animali solo i castori sappiano fare le dighe, perché la raganella maschio è un ottimo ingegnere idraulico. Ai margini dei corsi d’acqua costruisce laghetti larghi una trentina di centimetri, dove la sposa, quando verrà, potrà deporre le uova. Inoltre, possiedono uno straordinario senso d’orientamento e ritrovano la via di casa anche quando si spingono lontano. Si regolano sulla posizione di sole, luna e stelle, usano l’udito e l’odorato, leggono le indicazioni di rotta nella luce polarizzata del cielo. Del campo magnetico terrestre avvertono l’intensità, l’inclinazione e perfino le grandezze vettoriali. Nei congressi se ne parla molto, anche perché le rane sono maestre nell’ibernarsi e la criobiologia è una scienza che affascina i ricercatori. Il loro numero purtroppo va assottigliandosi. Dipende dal clima mutato, dall’inquinamento, dai collezionisti, dai mangiatori di rane, dalle epidemie. Per fortuna i più spietati tra i predatori, gli esseri umani, hanno le armi da fuoco e usano meno le frecce intinte nel veleno. Per conoscere la nostra crudeltà, è bene raccontare che le piccole dendrobatidi vengono impalate e lasciate a dibattersi così che prima di morire, soffrendo, schiumino dalla pelle più veleno possibile. Le frecce oggi sono diminuite, ma avanzano gli studi sulle tossine, per vedere come e se si possa sintetizzarle e utilizzarle nella ricerca biomedica. L’inquinamento e la riduzione della parte di ozono dell’atmosfera che neutralizza i raggi ultravioletti hanno prodotto macromutazioni tra le rane. Nascono con una o due gambe in meno, con un occhio solo, senza gambe. Un rospo trovato, vivo, in Canada porta gli occhi dentro la bocca, e per vedere deve tenerla aperta. E pensare che l’unico fastidio che le rane ci hanno dato nei secoli è il gracidio della sera. Ormai i concerti sono sempre più rari per mancanza di pozze d’acqua dove radunarsi per chiamare i partner. Così sta diventando difficile riprodursi perché i concerti erano i preludi agli incontri sessuali. Strani incontri, quelli degli anuri. I maschi, sempre pazzi d’amore fino al punto di battersi a morte con i rivali – a calci sul muso, e stando magari in bilico su una foglia di ninfea – in realtà non si accoppiano mai: la copula per loro non esiste. Si limitano a stringere le femmine con tutte le forze (e a volte accade che le ”ragazze” siano uccise da tanto ardore) e le tengono strette per giorni finché hanno emesso tutte le uova, che poi i maschi vanno a fecondare, con un certo comodo. Beh, contenti loro.