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 2005  novembre 21 Lunedì calendario

Una scarica improvvisa e violentissima che dura pochi millesimi di secondo. Parte da una nuvola nera, magari nel bel mezzo di un temporale, fende l’aria dirigendosi al suolo e si esaurisce colpendo la prima cosa che incontra

Una scarica improvvisa e violentissima che dura pochi millesimi di secondo. Parte da una nuvola nera, magari nel bel mezzo di un temporale, fende l’aria dirigendosi al suolo e si esaurisce colpendo la prima cosa che incontra. Che sia una persona, un albero, una centrale elettrica o un palazzo è solo questione di fortuna, perché non è possibile prevedere un fulmine né tanto meno è facile intuire dove andrà ad abbattersi. I danni lasciati sono però perfettamente calcolabili. E allora, per difendersi dal pericolo cui sono esposti città ed esseri umani, perché non provare ad attrarli, prima che colpiscano qualcosa? Il primo a pensarci fu l’americano Benjamin Franklin, intorno alla metà del 1700. Affascinato dall’elettricità, si era persuaso, a ragione, che i fulmini fossero scariche elettriche. Una sera, mentre un forte temporale accendeva il cielo di lampi, Franklin fece volare un aquilone in aria. Il filo era cosparso di uno strato di metallo e a un’estremità vi era appesa una chiave. Franklin la impugnava e, mentre nel pieno della tempesta la punta dell’aquilone si caricava di elettricità, sentì le scintille percorrere il filo, passare per la chiave e quindi attraverso il suo corpo. Un’esperienza pericolosa, dettata dall’inconsapevolezza che l’intensità di corrente di un fulmine poteva costargli la vita. Ma dimostrò di avere ragione. I fulmini sono elettricità e Franklin e il suo aquilone erano stati il primo parafulmine della storia. Fu così che Franklin ideò un sistema per proteggere gli edifici dalle scariche elettriche atmosferiche, basato sullo stesso principio sperimentato sulla propria pelle, ma meno rischioso e più pratico. Un’asta metallica posta sul tetto, che attira i fulmini, cattura la loro energia e la riversa a terra evitando che possa provocare danni al palazzo o agli inquilini. «I fulmini si scaricano seguendo il percorso a minore resistenza» spiega Claudia Adamo, fisico dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Roma. «Una punta che si alza al di sopra degli oggetti circostanti diventerà, con buona probabilità, la via preferenziale scelta dal fulmine per arrivare al suolo». La versione moderna del parafulmine si chiama laser. Da qualche anno alcuni ricercatori della New Mexico University sperimentano in laboratorio la possibilità di usare raggi laser infrarossi e ultravioletti per deviare il percorso dei fulmini. Il fine è lo stesso: attirare le scariche del cielo. I raggi laser hanno infatti il potere di ionizzare il mezzo che attraversano: cioè, rendendo cariche elettricamente le particelle nell’atmosfera, creano dei binari guida in grado di incanalare i fulmini lontano dai luoghi a rischio e fuori dai centri abitati. Usando i laser come mezzo di protezione si potrebbero evitare le perdite dovute agli incendi, che in America ad esempio contano 150 morti ogni anno e 139 milioni di dollari di danni. «L’idea è salvarsi dalla casualità dei fulmini, prevenendoli» ha commentato Adamo. Gli esperimenti condotti in laboratorio hanno dato risultati che fanno ben sperare. Attraverso elettrodi ad alto voltaggio, poco distanti l’uno dall’altro, si ricreano fulmini artificiali, come piccole scariche elettriche. In presenza di un raggio laser sparato tra i due elettrodi, la scarica non procede più a zig zag, ma segue il fascio luminoso, lungo la linea retta. Il testimone della staffetta contro i fulmini è poi passato al progetto ”Teramobile”, nato dalla collaborazione tra il Centre national de la recherche scientifique (il Cnrs francese) e il Deutsche forschungs gemeinschaft tedesco. L’intenzione è mettere a punto un prototipo di sistema laser della potenza di un teraWatt, ovvero mille miliardi di Watt. Anche se i ricercatori non dispongono ancora di un metodo definitivo per controllare i fulmini, hanno tuttavia ben compreso con cosa hanno a che fare. La spiegazione scientifica di uno dei fenomeni della natura tra i più sconvolgenti, da sempre in grado di suscitare fascino e paura, si potrebbe concentrare in una frase: gli opposti si attraggono. I fulmini sono scariche di elettricità dovute all’attrazione di cariche di segno opposto. «Solo in alcuni tipi di nube possono formarsi i fulmini: i cumulonembi, in media distanti tra i 4-5 chilometri dal suolo. Si distinguono dalle nubi stratiformi, perché sono nuvoloni che si ingrossano via via, fino a scoppiare in una violenta precipitazione» spiega Claudia Adamo. «In queste nubi si originano dei moti convettivi (moti ascensionali e discensionali) delle particelle che compongono la nube, le idrometeore. Nelle correnti si verificano degli urti tra i cristalli di ghiaccio che salgono verso la parte alta della nube, perché più leggeri, e le particelle più pesanti, i grauper, che sono portate verso il basso. Le idrometeore si scambiano carica elettrica: i cristalli di ghiaccio si caricano positivamente, i grauper si caricano negativamente». Il tutto avviene a una temperatura tra i ”5 °C e i ”25 °C. Nella nube si formano due strati di cariche (come in un condensatore), si stabilisce una differenza di potenziale tra la parte alta e la parte bassa, e quindi un campo elettrico. La terra, per induzione, si carica a sua volta. La situazione regge per un po’, ma a un certo punto precipita. Si forma una scarica, che in un batter di ciglia riazzera il campo elettrico e ripristina l’equilibrio elettrostatico. «In realtà nella nube si possono formare anche diversi strati di carica elettrica, per cui la maggior parte dei fulmini si scarica all’interno della nube stessa o tra nube e nube» continua Adamo. «Solo un fulmine su 6 si riversa a terra». Una percentuale ridotta, che però ha numeri da capogiro: differenza di potenziale, da 100 milioni a un miliardo di Volt; intensità di corrente, da 10 mila a 100 mila ampere; energia sviluppata 5 miliardi di calorie; temperatura del canale del fulmine 15 mila gradi centigradi. Tradotto, la potenza sprigionata dai fulmini in una tempesta basterebbe per illuminare la città di New York per diversi giorni. Per avere un altro termine di paragone, è pari a quella che si avrebbe se tutte le persone sulla faccia della ࿠erra accendessero una lampadina da 60 Watt nello stesso istante. Si calcola che la temperatura della superficie del Sole raggiunga i 6 mila gradi: quella di un fulmine è più del doppio, in grado di incenerire un albero all’istante. Grazie alle osservazioni satellitari è stato possibile monitorare l’attività dei fulmini. «Nel 1995 è stato lanciato su un satellite della Nasa il sensore Otd, Optical transient detector, e nel 1997 il Lis, Lightning imaging sensor» racconta la ricercatrice Adamo. Si è così visto che i fulmini sono molto più frequenti di quanto si possa pensare, se ne contano 100 al secondo su tutta la Terra, la maggior parte dei quali è innocua. Si è osservato anche che in mare cadono meno fulmini rispetto alla terraferma e che ci sono zone del mondo più colpite di altre. In particolare l’Africa centrale, dove si raggiunge il picco dei 250 fulmini per chilometro quadrato l’anno. Segue l’America, specialmente Florida, Golfo del Messico e Alabama. Inoltre, non è l’inverno la stagione con più fulmini, ma l’estate. Il perché lo spiega la dottoressa Adamo: «I fulmini sono il risultato di un’azione convettiva. D’estate le masse d’aria si riscaldano di più ed è più facile che all’interno della nube si vengano a formare quelle correnti che provocano i temporali estivi e i fulmini». Per evitare spiacevoli incontri ravvicinati con l’elettricità atmosferica è sempre bene tenere a mente alcuni suggerimenti. La migliore difesa è evitare di essere esposti ai fulmini, quando scoppia un temporale, quindi, cercare di proteggersi in auto o in casa. Vietato ripararsi sotto un albero o un ombrellone se si è in spiaggia, una torre o qualunque cosa s’innalzi verso l’alto. Anche buttarsi in acqua, al mare, è una cattiva idea, sia perché la testa che esce dall’acqua potrebbe essere presa di mira, sia perché l’acqua è un eccellente conduttore elettrico. La corrente di un fulmine che cade in mare si propaga rapidamente lungo la superficie dell’acqua e non impiegherebbe molto a fulminare il malcapitato bagnante. L’importante è evitare di trovarsi nei pressi di un oggetto alto e isolato: il fulmine ne sarebbe fatalmente attratto.