Varie, 20 novembre 2005
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Slimane Hedi
• Parigi (Francia) 5 febbraio 1968. Stilista. «[...] fotografo e stilista di Dior Homme. [...] Se il mondo della moda cercava una giustificazione culturale al monotono succedersi di collezioni autunno-inverno/ primavera-estate, in Slimane ha trovato l’uomo ideale. [...] padre tunisino e mamma italiana, dopo un breve apprendistato da Louis Vuitton accessori, un rapido passaggio da Yves Saint-Laurent, un’offerta rifiutata da Jil Sander, sbarca nel 2001 da Dior per rilanciare la linea maschile (John Galliano è il responsabile di quella femminile). Impresa titanica: “l’uomo” è stata sempre un’appendice più o meno irrilevante, spesso trascurata e noiosa, nella storia delle grandi case di moda. Slimane ribalta il concetto: parte da una prospettiva completamente nuova, inventa “l’uomo Dior” e in tre anni fa crescere il fatturato del quaranta per cento. L’Observerconia il verbo to dior for. Hollywood e il mondo del rock sono ai suoi piedi. “Non penso molto a come mi vesto, mi fido di Hedi Slimane, tutto quel che indosso arriva da Dior. Sono fortunato, ci sono sempre stati stilisti pronti a darmi vestiti (Paul Smith, Yohji Yamamoto, ndr). L’ultimo della lista è Slimane. L’ho conosciuto prima che andasse da Dior, mi inviò una manciata di fotografie attraverso un amico comune. Erano immagini ispirate al film L’uomo che cadde sulla terra, silhouette molto esili e scure, quello che sarebbe diventato il suo stile. Oggi disegna anche gli abiti dei Killers e Franz Ferdinand. Slimane sta cambiando il look del rock and roll”, dice David Bowie, l’artista che inconsapevolmente è responsabile di un fenomeno. “Scoprii David Bowie perché mi regalarono un suo disco a una festa di compleanno”, dice lo stilista, il volto affilato, gli enormi occhi azzurri che parlano più della bocca. “Avevo sei anni. Lo so, non è un regalo adatto a un bambino, ma a volte i ragazzi più grandi, gli adolescenti, non si rendono conto che esistono altri mondi al di là di quello in cui loro orbitano. Così mi ritrovai tra le mani questo Lp, e subito compresi che la relazione tra moda è rock è strettissima”. Il disco che accese la scintilla fu David Live, registrato al Tower Theatre di Philadelphia nel 1974. “Lo adoro, e Bowie è divino in quel completo bianco, illuminato dai neon. Nessuno ha avuto su di me un impatto così forte, a parte Paul Simonon, il bassista dei Clash. Quando ho cominciato a fare lo stilista, avevo già una certa esperienza del mondo dello spettacolo che mi ero fatto proprio studiando le copertine dei dischi. Per questo mi ha sempre divertito di più vestire le star del rock che le stelle di Hollywood. Ho creato abiti per Mick Jagger e Justin Hawkins dei Darkness, ho vestito Franz Ferdinand e Libertines. Quando mi chiedono chi sono i miei idoli, io non cito mai stilisti famosi, ma sempre e solo David Bowie e Paul Simonon [...]”. Di solito gli stilisti nascono con il capriccio della moda in testa, già in tenera età fanno miracoli con pezzi di stoffa, ago e filo. Inventano, creano, montano e smontano. Sbirciano ossessivamente Vogue e Harper’s Bazaar. Il giovane Slimane aveva aspettative diverse. “Volevo fare il giornalista. Ero affascinato dalla politica estera. Bussai anche alla porta di Le Monde. A 11 anni facevo il fotografo, a venti ero sicuro che avrei fatto il fotoreporter. Poi cominciai a collaborare con degli amici che lavoravano nel mondo della moda. La moda è stata l’ultima delle tentazioni e quella in cui sono rimasto intrappolato. Ma mi ostino ancora a fare il fotografo a tempo pieno. Il libro Berlin (2003) è il diario per immagini dei miei tre anni in Germania. Stage(2004) il frutto di un attacco violento di feticismo rock. Ero proprio a Berlino quando cominciai a disegnare i primi abiti di scena per gli artisti: Jack White prima ancora che fondasse i White Stripes, Bryan Ferry, Bowie, Jagger. Poi cominciarono ad arrivare tutti gli altri: magicamente musica e performance tornavano a camminare di pari passo, come all’epoca di Ziggy Stardust. La mia passione per il rock va a ondate. Da ragazzino ero attratto dal punk, ma la scena degli anni Ottanta e Novanta, con l’eccezione di Kurt Cobain e Nirvana, mi ha lasciato del tutto indifferente. A me il rock interessa solo quando diventa un laboratorio di idee”. [...] Sid Vicious e Kurt Cobain avrebbero indossato abiti firmati, se avessero avuto il loro Slimane. E non è un caso che una maison blasonata come Dior abbia dato fiducia al segno rock di Hedi per resuscitare l’entusiasmo dei tempi in cui Christian, il fondatore, affidava all’ambigua Dovima (la modella con gli elefanti fotografata da Avedon) l’immagine del suo prestigioso atelier. Dior, uomo e donna, è tornato a fare tendenza, e il rock fa parte del menu: è stata una delle poche case a non aver cancellato il contratto a Kate Moss dopo il linciaggio. Slimane, anzi, parte dal rock: una collezione è interamente ispirata allo ska di Madness e Specials; i pantaloni a sigaro di Simonon sono diventati un marchio di fabbrica; le giacche sono sagomatissime, le asole si aggrappano con difficoltà ai bottoni, i colli sono stretti, le cravatte sottili, il bianco e nero quasi dominante, eccezion fatta per qualche bizzarria scippata a Sgt Pepper. Sulle t-shirt sono stampati a caratteri cubitali i versi di Doherty. Tutto rigorosamente slim, come le prime quattro lettere del suo cognome. Una tendenza che ha cancellato con un colpo di spugna la cultura hip hop dell’extra large. “L’idea era quella di dare alla moda maschile la stessa dignità e lo stesso peso di quella femminile, senza limiti o restrizioni, e soprattutto senza tabù”, dice. “Quando si intacca il comune senso di virilità, si va sempre incontro a un sacco di guai. Senza impelagarmi in paranoie psicologiche, ho cominciato a pensare all’uomo che vestivo come a una creatura transgender, con fantasia, portando anche nel quotidiano degli elementi che usavo per gli abiti di scena, con il risultato che le reazioni a volte sono state anche un po’ violente”. [...] Ma nel suo libro Diet, scritto insieme al dottor Jean-Claude Houdret, Lagerfeld scrive: “Una mattina mi sono svegliato e ho deciso che non mi sentivo più a mio agio con la mia mole. Volevo vestirmi in modo diverso, indossare i capi disegnati da Slimane per ragazzi molto più giovani di me. Ci ho messo tredici mesi, ma ci sono riuscito”. Slimane è il Brian Eno della moda. L’antica passione per il giornalismo non è ancora sopita. [...] ha “rivisitato” graficamente un numero del quotidiano francese Liberation. Disegna collezioni, inventa fragranze (Cologne Blanche, Eau Noire, Bois d’Argent), studia mobili in ebano e metallo per il concept store di Comme des Garçons in Dover Street, a Londra, cura mostre e installazioni multimediali, si avventura in progetti architettonici, sempre a Londra, “di cui è prematuro parlare”, i suoi libri fotografici diventano di volta in volta più ricercati (Stage ha lo strano formato 37x21, London: Birth of a Cult è fermato con un simil-laccio emostatico e racchiuso in un box di cartone insieme a pagine sparse di Books of Albion, il diario di Pete Doherty, “dove molte parole, compresa Kate, sono scritte col suo stesso sangue”). A Hollywood, per allestire la nuova boutique che aprirà a Rodeo Drive (la prima Dior Homme è stata quella di Milano), alloggia allo Chateau Marmont, rifugio delle rockstar. Beck, Brad Pitt, Orlando Bloom e Ewan McGregor sono suoi clienti. Nicole Kidman e Sarah Jessica Parker indossano le sue giacche da uomo (“Ci sarà una linea donna, prima o poi”). La capitale della moda ormai gli va stretta. “Parigi è noiosa. Puoi startene in un caffè a parlare con gli amici per ore, cosa che a Londra, ad esempio, non farei mai. Londra è rinata, t’invita a uscire la sera, vibra di nuovo rock. Le città hanno i loro cicli e i loro esaurimenti nervosi. Parigi, ora, è in terapia col Prozac”» (Giuseppe Videtti, “la Repubblica” 20/11/2005).