varie, 18 novembre 2005
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SMITH Kiki Norimberga (Germania) 1954. Artista • «Una massa di capelli ricci più bianchi che grigi, due o tre tuniche di diversi toni di nero infilate a strati, una costellazione di puntini celesti tatuati lungo le braccia, occhi azzurri luccicanti dello stesso colore dello smalto sulle unghie dei piedi, nudi e infilati nelle birkenstock
SMITH Kiki Norimberga (Germania) 1954. Artista • «Una massa di capelli ricci più bianchi che grigi, due o tre tuniche di diversi toni di nero infilate a strati, una costellazione di puntini celesti tatuati lungo le braccia, occhi azzurri luccicanti dello stesso colore dello smalto sulle unghie dei piedi, nudi e infilati nelle birkenstock. Kiki Smith, tra le più interessanti artiste contemporanee, vista da vicino sembra il personaggio di una favola. Con l’energia sicura di una balia, prende in braccio e sposta le sue sculturine: una donnina in bronzo dormiente accanto a una pecorella, le porcellane poggiate su un tavolo improvvisato sorretto da secche gambe in legno tornito, la gigantesca bambina con i fiori freschi, muta guardiana della porta d’ingresso. [...] negli anni Ottanta e primi Novanta scolpiva scheletri, uteri e stomaci o corpi che defecavano in perfetta linea con l’horror art anglo-americana della ’Post human generation’. ”Sì, sono cambiata. Vedo le cose con una diversa distanza. [...] è possibile che sia diventata più ’vaporosa’, più leggera [...] Sono cresciuta in una famiglia di artisti. Mio padre era architetto, scultore, pittore. Mio nonno faceva l’intagliatore d’altari. Lasciò l’Irlanda, attraversò l’Oceano per venire a intagliare altari nel New Jersey. Mia madre era cantante lirica e mia sorella Seaton anche lei un’artista. Nessuno guardava la televisione, nessuno ci portava al cinema. Sono cresciuta fra persone che costruivano cose, facevano materialmente cose con le loro mani. Fin da bambina ho pensato che questo fosse l’unico modo per riuscire ad esprimersi. E lo penso ancora. Vivo fra artisti e scrittori, ancora oggi non guardo la televisione e restare due ore seduta nel buio di fronte a un film mi fa venire l’ansia”. Nessuna ansia invece per quell’allegro accumulo e disordine che ricorda nella sua casa d’infanzia dove tutti questi creativi congiunti avevano il loro atelier. Da piccola Kiki faceva per loro lavoretti. Aiutava soprattutto suo padre a preparare le sculture, anche se da lui il famoso Tony Smith, astratto e minimalista com’era, di certo non ha preso ispirazione. Più importante secondo alcune biografie, fu probabilmente la casa del New Jersey con tanto di lapide in giardino e polverosa soffitta dove erano ammassati i ricordi di famiglia compresi abiti e dentiere degli avi. E importantissimo il nonno cattolico intagliatore di altari che raccontava storie di santi e ne studiava le iconografie. ”Sono sempre stata attratta dal cattolicesimo perché credo sia in assoluto la religione che più si adatta all’arte. Arte e cattolicesimo sono simili: tutte e due credono nell’importanza di dare manifestazione fisica al mondo spirituale. Il cattolicesimo è pieno di storie, di corpi, di personaggi, di oggetti: dai rosari ai reliquiari che mi piacciono moltissimo. Mentre ebrei, protestanti o islamici sono tutti scettici rispetto alle immagini, l’unica altra religione piena di fantasie è l’induismo. Ma poi, basta entrare in una chiesa italiana o tedesca per essere sopraffatti da una potenza visiva insuperabile. Basta guardare quei meravigliosi santi sempre pieni di cose, oggetti, cicatrici, animali”. Se nel particolare c’è Dio, Kiki - oltre che fata e strega - è sacerdotessa del dettaglio. Il fascino delle sue installazioni sta nella amabile confusione tra minimo e massimo, nell’attenzione maniacale ai materiali, nell’uso di simboli e insieme utensili. ”Amo le immagini domestiche, mi piace guardare come la gente vive, cosa usa, scrutare dentro le case, capire come le persone si vestono e come organizzano il loro spazio. Io stessa sono una donna molto casalinga, lavoro sempre in cucina”. [...]» (Alessandra Mammì, ”L’espresso” 24/10/2005).