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 2005  novembre 18 Venerdì calendario

L’Italia in Libia e il nazionalismo di Gheddafi. Corriere della Sera 18/11/2005. Vorrei fare alcune precisazioni circa la decisione di ripristinare la festa chiamata «il giorno della vendetta» da parte del leader libico Gheddafi, per rivalsa contro i colonialisti-fascisti italiani

L’Italia in Libia e il nazionalismo di Gheddafi. Corriere della Sera 18/11/2005. Vorrei fare alcune precisazioni circa la decisione di ripristinare la festa chiamata «il giorno della vendetta» da parte del leader libico Gheddafi, per rivalsa contro i colonialisti-fascisti italiani. Quanto affermato è falso. Ricordo che la Libia è stata conquistata nel 1911 quando Giolitti diede inizio all’avventura coloniale dichiarando guerra all’Impero Ottomano e occupando la Libia, guerra chiamata «italo-turca». Quindi il tutto accadde ben prima dell’epoca fascista, iniziata il 28 ottobre 1922 con la «Marcia su Roma» e la conquista del potere da parte di Benito Mussolini. Dex Asinolini Caro Asinolini, la conquista della Libia ebbe luogo, come lei ricorda, fra il 1911 e il 1912. Ma quando l’Italia e la Turchia firmarono la pace di Ouchy, il 15 ottobre del 1912, una buona parte del territorio era mal controllata dalle forze italiane e gli scontri, al di sotto della zona costiera, erano ancora frequenti. La situazione, col passare dei mesi, peggiorò. In Tripolitania, verso la fine del 1914, gli arabi insorsero nuovamente, passarono all’offensiva, riconquistarono il Fezzan e il Gebel, obbligarono gli italiani a rinchiudersi in tre piazze assediate: Tripoli, Homs, Zuara. In Cirenaica fu più facile concludere qualche accordo con la Senussia, una grande organizzazione religiosa che esercitava una forte influenza sulla regione. Ma l’ingresso dell’Italia in guerra nel maggio del 1915 e la tumultuosa situazione del Paese fra il 1919 e il 1921 resero il possesso della Libia ancora più evanescente e precario. Vi fu persino un momento in cui il governo italiano sarebbe stato disposto a riconoscere l’autonomia delle due province riservando a se stesso una sorta di nominale sovranità. La situazione cambiò dopo la formazione del governo Bonomi e l’invio a Tripoli, come governatore della Tripolitania, di Giuseppe Volpi, il finanziere che aveva creato una importante azienda elettrica e messo in cantiere il grande progetto industriale di Porto Marghera. D’accordo con Giovanni Amendola, ministro delle Colonie, Volpi mise fine alle esitazioni degli anni precedenti con un’operazione militare condotta in buona parte dal generale Graziani. Nel 1925, quando il governatore rientrò a Roma per diventare ministro delle Finanze nel governo Mussolini, la riconquista era ormai completata. Restava la Cirenaica, dove la Senussia godeva di grande autorità e la resistenza contro gli italiani era guidata da un vecchio guerriero, non meno audace dei due grandi leader arabi (Abd el-Kader e Abd el-Krim) che avevano combattuto contro i francesi e gli spagnoli in Algeria e in Marocco. Si chiamava Omar el Mukhtar, aveva settant’anni ed era, come dicevano i beduini, «coraggioso come un leone, astuto come una volpe». La riconquista militare, anche in questo caso, fu opera di Graziani e venne portata a termine con grande durezza. Una parte della popolazione fu rinchiusa in grandi campi di concentramento e Omar el Mukhtar, quando le forze italiane riuscirono a catturarlo, venne impiccato. Se vuole approfondire l’argomento, caro Asinolini, può leggere il libro che un danese, Knud Holmboe, scrisse dopo avere attraversato la Libia in quegli anni. S’intitola «Incontro nel deserto», è apparso presso Longanesi nel 2005 e ha in appendice un bel saggio sul colonialismo italiano di Alessandro Spina, narratore italiano di origine libico-siriana. La storia della riconquista italiana della Cirenaica è mal conosciuta da noi. ben conosciuta in Libia, invece, dove Gheddafi non perde occasione per rievocare i racconti degli anziani, uditi nella tenda della sua famiglia quando era ragazzo. Credo che l’Italia abbia il diritto di ricordargli che la brutalità di Graziani è soltanto un capitolo nella lunga storia dei rapporti italo-libici e che l’opera della colonizzazione italiana fu in altri momenti assai utile al Paese. Ma se Gheddafi si serve spregiudicatamente di quelle vicende per ravvivare la fiamma del nazionalismo libico, non abbiamo il diritto di sorprenderci. Forse che i nazionalisti italiani non fecero altrettanto con le loro campagne anti-austriache dopo l’impiccagione di Oberdan? Sergio Romano