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 2005  novembre 18 Venerdì calendario

Arrestato lo storico che nega la Shoah. Corriere della Sera 18/11/2005. Londra. David Irving, lo storico inglese antisemita, è stato arrestato in Austria in base a un mandato di cattura emesso nel 1989 per avere negato in pubblici discorsi l’Olocausto, ciò che in Austria (e in Germania) costituisce reato

Arrestato lo storico che nega la Shoah. Corriere della Sera 18/11/2005. Londra. David Irving, lo storico inglese antisemita, è stato arrestato in Austria in base a un mandato di cattura emesso nel 1989 per avere negato in pubblici discorsi l’Olocausto, ciò che in Austria (e in Germania) costituisce reato. stato fermato una settimana fa, l’11 novembre, mentre viaggiava in auto in Stiria. La notizia, confermata dal ministero degli Interni, era stata data dai sostenitori dello storico negazionista: raccontano che Irving era stato invitato a Vienna da «coraggiosi studenti di un’antica associazione studentesca» e veniva dalla Germania, dove aveva reso visita a Rolf Hochhuth, il controverso drammaturgo, autore di un atto d’accusa contro Papa Pio XII («Il Vicario») e solidale con molte tesi di Irving. La polizia, aggiungono, avrebbe avuto notizia dell’arrivo dello storico grazie a intercettazioni. Incarcerato a Graz, Irving rischia fino a 20 anni di prigione, ma Otto Schneider, dell’ufficio del pubblico ministero, non s’è detto convinto che, a tanti anni dai fatti, ci sia base legale per procedere in giudizio. Una decisione è attesa entro la settimana prossima. Ciò che pare scontato è che Irving, del quale s’erano perse notizie da quando nel 2000 aveva perso un celebre processo contro la storica americana Deborah Lipstadt, tornerà così a riaccendere le polemiche. Abile a far parlare di sé, non si può escludere che abbia piacere nel contestare una legge come quella che vieta la negazione dell’Olocausto, che appare a molti, benché sacrosanta nei propositi, illiberale negli esiti. D’altronde, Irving sapeva benissimo di correre un rischio, perché l’Austria (come la Germania, il Canada e l’Australia) gli aveva vietato l’ingresso nel Paese. AGITATORE – In verità, l’etichetta di storico, se per ciò s’intende ricercatore di verità, non s’addice più a chi è piuttosto un propagandista, perché, secondo la sentenza del 2000, rivela «la volontà di manipolare scientemente le prove per adattarle ai propri pregiudizi». Eppure Irving, fra i negazionisti, è l’unico a essersi fatto, prima, una fama come storico della Seconda guerra mondiale. Inglese, privo di preparazione accademica, ma dotato d’un buon tedesco appreso quando faceva l’operaio nella Ruhr, pubblicò a soli 25 anni, nel 1963, «La distruzione di Dresda», un best-seller, in cui le conseguenze del terribile bombardamento sulla città furono esagerate, quasi a stabilire una parità tra nazisti e alleati. Ma fu «La guerra di Hitler», un tomo di mille pagine del 1977, in cui narrò la storia «attraverso gli occhi del Führer», a dargli, oltre ai diritti d’autore, la fama di negazionista: Hitler era descritto come un grande comandante militare, ma «un leader politico molle e titubante», che lasciava fare agli altri. Conseguenza: il dittatore seppe poco dell’Olocausto (o addirittura nulla fino al 1943), la cui responsabilità ricade invece su «gangster nazisti» come Heinrich Himmler. Da lì a negare lo sterminio (centomila morti, diceva, non sei milioni) il passo fu breve: dal 1982, accolto come profeta dai fanatici della Deutsche Volksunion e poi corteggiato dai razzisti di tutto il mondo, Irving cominciò a girare il mondo. E di pari passo molti Paesi, preoccupati, gli chiudevano le porte. CONDANNATO – Per tutti gli anni ’90, screditato in patria (accusò Churchill per la morte del generale Sikorski, il premier polacco in esilio, e gl’inglesi non l’avevano perdonato), Irving aveva tuttavia raccolto successi nel mondo, clandestino e soffocante, degli antisemiti. Finché fece un grave errore: querelò per diffamazione la storica Deborah Lipstadt, che l’aveva definito un negazionista che «dice menzogne, cita a sproposito, falsifica» e la casa editrice Penguin che l’aveva pubblicata. Dicono che l’abbia fatto per soldi, sperando in un risarcimento, ma invece il clamoroso processo, dopo settimane di meticolose analisi dei testi di Irving, si rivelò un boomerang: il giudice Charles Gray, a cui in un lapsus Irving s’era rivolto col saluto «Mein Führer», sentenziò che gli errori dello storico non potevano essere «innocenti», bensì frutto di disonestà intellettuale. Sbugiardato, condannato a pagare le spese di giudizio, Irving ha tuttavia continuato a raccogliere allori e compensi nel circuito degli estremisti. Anche, come si vede, in Austria e in Germania: fino a quando è stato fermato in Stiria. Alessio Altichieri