MACCHINA DEL TEMPO OTTOBRE 2004, 18 novembre 2005
Il sole sorgeva all’orizzonte e la femmina di oviraptor era pronta a lasciare il nido per andare a cercare qualcosa da mangiare
Il sole sorgeva all’orizzonte e la femmina di oviraptor era pronta a lasciare il nido per andare a cercare qualcosa da mangiare. Non era il momento di lasciarsi andare, doveva tenersi bene in forze: le uova si sarebbero schiuse presto, e i piccoli avrebbero avuto bisogno di lei e di cibo. Era nervosa, sul chi vive, percepiva qualcosa di strano, di anomalo: tutti i suoi sensi erano all’erta. Prese a frustare l’aria con la coda, inclinando il piccolo capo a destra e sinistra, gli occhi attenti e indagatori. Le zampe posteriori, con le tre dita ungulate, sorreggevano un corpo agile e leggero: con i suoi trenta chilogrammi appena di carne e muscoli scattanti l’oviraptor sembrava un vero fuscello messo a confronto con tutti gli altri dinosauri. Si guardò nuovamente intorno, attenta, abbracciando con lo sguardo la vegetazione che la circondava. Ebbe un fremito, quasi un brivido. La morte la colse all’improvviso, facendola stramazzare a terra sulle uova senza neppure un grido. Mentre le sue pupille si facevano sempre più vitree, non immaginò neppure quante discussioni la sua fine avrebbe suscitato, appena ottanta milioni di anni dopo. Fu così, infatti, che la trovò Henry F. Osborn, un paleontologo americano del 1900, durante una spedizione in Mongolia. E fu proprio questa postura vagamente aggressiva a trarlo in inganno facendogli credere che si trattasse di un tentativo fallito di predare quel nido, scambiato inizialmente per quello di un protoceratopo. Osborn non poteva certo immaginare che il suo ”ladro di uova” fosse in realtà la madre amorevole dei piccoli che sarebbero dovuti nascere di lì a poco. Questo è solo uno dei numerosi esempi di errori di cui è costellato il cammino della paleontologia. Ma come potrebbe essere altrimenti? Non dimentichiamo, infatti, che fino a poco tempo fa, questi fantastici animali venivano studiati in modo piuttosto empirico e impreciso, condito da tanto entusiasmo, è vero, ma anche da molta competizione. Tutto in un clima di corsa alla ricerca della specie che, spesso, generava clamorosi abbagli. Col passare degli anni gli strumenti si sono affinati e l’entusiasmo, se possibile, è addirittura cresciuto: nel 2003, ad esempio, sono venute alla luce quasi 50 nuove specie, molte delle quali assolutamente strane e bizzarre. Che sono andate ad aggiungersi alle 500 specie già ben descritte e ad altrettante in attesa di ulteriori conferme. Ma non c’è da stupirsene. I paleontologi stimano che nei 150 milioni di anni in cui hanno calpestato la Terra, i dinosauri si siano diversificati in qualcosa come 10 mila - 50 mila specie. Non c’è dubbio che esemplari come il T-Rex o i velociraptor siano ormai entrati nelle nostre case, anche grazie a film, libri e pupazzi per bambini. Ma siete davvero sicuri che i dinosauri non abbiano più misteri per voi? Pensate davvero di saperne a sufficienza su questo misterioso e lontanissimo mondo? In parte avete ragione: oggi conosciamo molte cose sul mondo complesso in cui questi esseri si aggiravano. Abbiamo indicazioni sul loro comportamento sociale, sappiamo che cosa mangiavano e come si muovevano e forse... abbiamo anche un’idea di come poteva essere la loro voce. Ma se la vostra idea di dinosauro è rimasta ancorata allo stereotipo del bestione tutto muscoli e niente cervello, dalle zanne aguzze e dalle dimensioni terrificanti, ebbene, siete completamente fuori strada. ”Macchina del Tempo” ha selezionato per voi le ultime, eccezionali scoperte che, per la loro singolarità, hanno fatto trasecolare anche gli esperti. Dinosauri simili a struzzi come il Sinornithomimus, o pesanti 50 tonnellate e lunghi 35 metri, come il Paralititan, stanno inducendo i paleontologi a rivedere l’intera tassonomia del settore. La scoperta di nuovi esemplari di Sphaerotholus ha riacceso il dibattito sulla funzione dello strano ispessimento osseo alla sommità del capo: serviva per le lotte tra maschi o aveva qualche altra funzione? E che dire poi del Microraptor a quattro ali? Dal Montana al Nuovo Messico, dal Madagascar alla Mongolia, ecco in queste pagine i 10 ritrovamenti più recenti che stanno rivoluzionando la paleontologia del Terzo millennio. Non c’è altro da fare che rassegnarsi. Quando si tratta di fossili, sono più le dispute degli accordi. Oggi come in passato. I temi del contendere tra paleontologi riguardano l’eterna lotta fra creazionisti ed evoluzionisti, ma anche il problema del sangue – caldo o freddo – e della parentela con gli uccelli. Le prime discussioni iniziarono poco dopo la scoperta dei primi resti di dinosauro (ossa sparse di Megalosauro, scoperte nel 1924 da William Buckland, e un dente consunto di Iguanodonte, trovato da Gideon Mantell appena un anno dopo). Richard Owen, fervente creazionista, devoto cristiano nonché inventore del termine ”dinosauri”, dichiarò che i terribili lucertoloni di cui si stavano rinvenendo in quegli anni le ossa rappresentavano in realtà un livello evolutivo superiore rispetto ai rettili contemporanei. Ma che, proprio per il fatto di essersi estinti, costituivano una chiara prova del fatto che le teorie sull’evoluzione erano tutte false. Anche Georges Cuvier, fondatore della paleontologia e dell’anatomia comparata, contrastò veementemente le teorie evolutive. Cuvier sosteneva in modo molto appassionato il ”fissismo”, che negava la possibilità che le forme viventi si trasformassero gradatamente dall’una all’altra: le specie si estinguevano semplicemente a causa di catastrofi. Acerrimi rivali furono anche Othniel Marsh ed Edward Cope: sostenitore delle teorie darwiniane il primo e fautore del neolamarckismo il secondo. I due si trovarono d’accordo su un unico punto: i dinosauri somigliavano agli uccelli. Riassumere in breve tutte le dispute, le teorie e i nomi della paleontologia è impossibile, non fosse altro per l’importanza che le teorie darwiniane rivestono ancora oggi. Merita però accennare a un altro problema, su cui ancora si discute: i dinosauri erano animali a sangue caldo o freddo? L’immancabile Owen affermava che fossero a sangue freddo, mentre Cope era di opposte vedute: sia per la somiglianza con gli uccelli sia perché, essendo aggressivi e carnivori, il loro metabolismo non avrebbe potuto funzionare aiutato soltanto dal calore del sole. Oggi gli studiosi sono convinti che i dinosauri fossero un gruppo eterogeneo, in quanto a metabolismo. è probabile che i carnivori, dotati d’un cervello più sviluppato, fossero ”endotermi” (a sangue caldo) e che gli erbivori fossero a sangue freddo. O che fossero in grado di regolare il proprio metabolismo, e quindi la temperatura corporea, modulandola in relazione alle condizioni esterne. I paleontologi moderni hanno molte frecce al loro arco. In confronto ai colleghi del passato, le loro analisi non si basano più solo sul confronto morfologico dei reperti fossili, cioè su caratteristiche anatomiche grossolane, ma si avvalgono anche di tecniche ultramoderne mutuate da campi diversi come la biomeccanica e il design industriale. «Quel che non è cambiato rispetto al secolo scorso» spiega Lisa Cooper, assistente di paleontologia presso l’Università del Montana «è il primo approccio al sito di interesse. Si procede un po’ a naso e un po’ per esperienza: poiché cerchiamo scheletri di dinosauri, e poiché sappiamo con relativa precisione in che epoca sono vissuti, dobbiamo localizzare sedimenti risalenti all’era giusta». Individuati gli strati più promettenti, se la fortuna viene in aiuto, può capitare di trovare già in superficie frammenti di ossa parzialmente emersi. Spiega la dottoressa Cooper: «Spesso si vedono vere e proprie piste di detriti ossei, simili alle briciole di pane della favola di Pollicino: bisogna seguirle e risalire al punto in cui la traccia si interrompe perché l’osso è sommerso proprio lì». A questo punto si estraggono cappellino, bibita fresca e fazzoletti antisudore e... s’inizia a scavare, avendo cura di puntellare il terreno sovrastante per evitare cedimenti. «Non bisogna esporre subito la parte lunga delle ossa» precisa ancora Cooper «perché essendo molto fragili potrebbero spezzarsi. Ecco perché è necessario impregnarle di sostanze indurenti a base di poliacetato di vinile disciolto in acetone». Minuscoli martelli ad aria compressa capaci di operare fino a 40 mila colpi al minuto, scalpelli, spatole e spazzole di varia durezza permettono di ripulire grossolanamente il reperto dalla matrice rocciosa in cui è inglobato, in attesa del lavoro di rifinitura in laboratorio. Che è molto più sofisticato e interdisciplinare di quanto si potrebbe pensare, perché produce risultati assolutamente innovativi dandoci informazioni impensabili solo un decennio fa. «Per costruire un’immagine tridimensionale del cranio di un Allosaurus fragilis e studiarne le caratteristiche masticatorie» spiega Emily Rayfield del dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Cambridge (Gran Bretagna) «abbiamo applicato una tecnica usata da ingegneri o da designer di automobili, edifici e aeroplani: l’analisi degli elementi finiti (Fea), che fornisce indicazioni sulle dinamiche della deformazione, sullo stress e sul modo in cui reagisce un dato oggetto quando è sottoposto a una particolare forza. Generando una serie di scansioni tridimensionali con la tomografia computerizzata (Tc), abbiamo ricostruito il cranio dell’allosauro in tre dimensioni e simulato quattro possibili modelli di morso». Dalla ricerca è emerso che l’allosauro, con i suoi 80 denti sottili e aguzzi, aveva un morso piuttosto debole, incapace di tranciare le ossa. Perciò, caricava la preda a testa bassa per stordirla a elevata velocità con l’inerzia del suo peso. Solo a questo punto affondava i denti nella vittima, da cui strappava brandelli di carne. Alcuni anni fa, sempre con l’ausilio della tomografia a raggi X, i ricercatori dei Sandia National Laboratories assieme ai colleghi del New Mexico Museum of Natural History and Science, hanno ricostruito l’interno del cranio di un parasaurolofo, la cui caratteristica principale era una grossa cresta a ventaglio che sovrastava il capo: come previsto, l’interno del cranio ha rivelato una serie di cavità e di tubicoli comunicanti, simili alle spirali dei tromboni, assieme a nuove cavità presenti anche nella cresta. Simulandone l’attività al computer, i ricercatori hanno riprodotto quella che poteva essere stata la voce di questo dinosauro, nonché l’apparato uditivo, che sembra potesse cogliere frequenze più basse di quelle che l’orecchio umano riesce a percepire. Molte informazioni sul comportamento dei dinosauri provengono anche dallo studio delle loro orme, una disciplina che prende il nome di ”icnologia”. «Le impronte rinvenute in molti siti» spiega Umberto Nicosia, docente di paleontologia all’Università di Roma La Sapienza «sono assai informative, anche se c’è bisogno di una preparazione piuttosto laboriosa. La prima operazione da compiere è il cosiddetto detilting: si deve cioè riportare in piano (a bolla, ndr) il terreno, altrimenti le misurazioni successive risulterebbero prive di attendibilità. Spesso, accanto a orme singole, ci troviamo in presenza di piste complesse, che indicano il passaggio di più animali». In questo caso la situazione è più complicata, dal momento che è impensabile asportare tonnellate e tonnellate di nastri di roccia. «Si effettuano allora calchi selezionati in gomme siliconiche» continua Nicosia «e si riproducono su plastica trasparente le orme migliori». Osservandone la morfologia interna e le variazioni di profondità legate alla diversa pressione esercitata dal dinosauro si possono così ricavare la direzione dell’avanzamento e indicazioni sulla lunghezza, l’altezza e la larghezza dell’animale, assieme a indicazioni sulla struttura delle unghie e sulle squame della pelle. «Proprio in questo periodo, stiamo studiando alcune piste estremamente interessanti» conclude Nicosia «in cui si vede chiaramente che l’animale, dopo una breve corsa, si è fermato, è arretrato e ha poi ripreso l’avanzamento. Le orme sono diverse dai fossili: è come aver a che fare con animali vivi!».