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 2005  novembre 18 Venerdì calendario

San Francisco, settembre. C’è solo un posto al mondo dove un bruco bavoso può papparsi in un boccone una piovra gigante, tentacoli compresi: su un tavolino dove si sta giocando una partita di Magic The Gathering (da noi Magic L’Adunanza)

San Francisco, settembre. C’è solo un posto al mondo dove un bruco bavoso può papparsi in un boccone una piovra gigante, tentacoli compresi: su un tavolino dove si sta giocando una partita di Magic The Gathering (da noi Magic L’Adunanza). E qui a San Francisco, dove sotto il sole (e il vento) della California più di 300 ragazzi provenienti da 57 nazioni si sono affrontati per conquistare l’undicesimo titolo mondiale, di tavolini ce ne sono un bel pò. Per farli entrare tutti gli organizzatori hanno preso in prestito un intero molo che s’affaccia sulla baia della città del Golden Gate. Si chiama Fort Mason, ma per una settimana il suo nome è stato Fort Magic: terra di giovanissimi maghi che al posto della sfera di cristallo stringono mazzi di carte e in mancanza di divise barocche indossano jeans e scarpe da ginnastica. Sulle t-shirt si leggono scritte come: «I criceti volanti stanno lanciando enormi noci di cocco sulla tua pietosa città». Qualcun’altra, meno cruenta e sibillina, lancia lo slogan: «Quello che so, l’ho imparato giocando». Magic è un gioco di carte diverso da tutti gli altri. Intanto è stato inventato di sana pianta da uno strano professore di matematica che, per liberare al meglio la sua creatività, ha messo in piedi un mondo fantasy di matrice tutta tolkeniana. Niente picche, quadri o fiori quindi, ma incantesimi, magie e bizzarre creature divise per colori, 5 in tutto, che per definizione non finiranno mai. Chi lo gioca, poi, è convinto di far parte di una sorta di comunità unica al mondo, un circolo di giovani maghi che ha un linguaggio tutto suo, usa Internet per comunicare e, per fortuna, parla inglese meglio di chi gioca solo a briscola. Infine, chi lo ha commercializzato ha sapientemente dosato tutti gli elementi necessari per trasformare una buona idea in un vero affare: il gioco ha una fitta rete di tornei ufficiali che dalle città permette di meritarsi sul campo la partecipazione ai tornei per il mondo. Più si diventa bravi e più carte si vogliono acquistare, alcune rare e costose. E si spiega così, proprio come succedeva con le vecchie figurine Panini, l’inevitabile rito del «ce l’ho, ce l’ho, mi manca» che fa di Magic un’avventurosa sfida sì, ma anche collezione, scambio e caccia alla carta più forte, più bella. «Magic piace ai ragazzi perché è rapido, veloce, competitivo e in continua evoluzione: ogni anno escono carte nuove e ognuno può costruire il proprio mazzo personale», spiega Davide Bonati, della Wizard of the Coast (casa editrice del gioco, affiliata alla Hasbro). Spinto a trovare un termine di paragone coi giochi più tradizionali, Bonati parla di «un mix tra la strategia degli scacchi e la fortuna del poker». Commercializzato nel 1993, il trading card game, questa la definizione ufficiale, è ormai da più di 10 anni padrone incontrastato del mercato dei giochi di carte collezionabili. Un mercato che prima nemmeno esisteva. «C’erano i giochi di ruolo» dice Bonati «che però sono un’altra cosa. Una partita di Dangeous & Dragons, per esempio, richiede molto tempo, strumenti più complessi e un gruppo di giocatori intorno a un tavolo che diventano interpreti nelle mani di un regista (master) che dirige l’avventura. Chi gioca a Magic invece è un mago, ha di fronte il suo avversario, un mazzo di carte tutto suo e un inventario di magie da spendere. Le regole sono facili e il più delle volte sono le carte a dettarle. A inizio partita i due hanno 20 punti a testa, chi scende per primo a zero perde la partita». Niente scatoloni ingombranti alla Monopoli, nessun tabellone da spalmare sul tavolo o scacchiere che non entrano nello zaino: solo e soltanto carte. è senza dubbio questo l’aspetto più attraente che piace ai giocatori. Che non sono pochi: più di 6 milioni in 75 nazioni, quasi un milione solo in Italia e qualche migliaio anche in Cina. E il fatto che (almeno da noi) lo scambio di carte sia circoscritto a un giro di piccoli negozi specializzati rende tutto più esclusivo e rafforza il senso di appartenenza alla «Magic’s community». Come è successo per alcuni giochi di ruolo, anche Magic ha subito qualche critica da parte di chi vede nelle carte magiche un gioco pericoloso. Il motivo? Tra draghi e altri mostri orribili il rischio di identificazione coi personaggi, secondo i detrattori troppo violenti, è in agguato. Fabio Paglieri (psicologo cognitivo dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr e del Centro Interdipartimentale per la Ricerca sul gioco all’Università di Siena), ritiene che il tressette sia più sano? «Non si può parlare di giochi peggiori o migliori. è come dire che il calcio è meglio della pallavolo. Ci sono giochi che vengono e giochi che scompaiono, o magari riappaiono. Magic è sulla cresta dell’onda da oltre 10 anni perché piace al suo target. Una cosa è certa: nessun gioco, grazie al cielo, è da solo rivelatore della personalità di chi lo gioca. Fosse così semplice, sarebbe davvero triste». Ma è un gioco violento? «No. Ogni game usa una metafora per ”vestire” il suo meccanismo. La sfida dev’essere visibile, deve esserci una scenografia. Gli scacchi usano l’immagine della battaglia con re, regine e torri. Magic ha una veste fantasy, colorita ma nient’affatto pericolosa. anzi diventata un punto di forza, anche grazie alla qualità della grafica e dei disegni sulle carte». I giocatori s’arrabbiano quando li si chiama ”giocatori di ruolo”, come mai? «La risposta è nella struttura: si tratta proprio di giochi diversi. Nei role-playing games si gioca in gruppo, prevale l’aspetto interpretativo e cooperativo. Magic invece è il classico gioco a somma zero (come gli scacchi o il calcio): c’è un confronto e un solo vincitore». L’uso del maschile non è un caso: a quanto pare a giocare ci sono tanti maghi e pochissime fate. Come mai? «In larga parte dipende dal target a cui si rivolge il gioco» spiega Paglieri, «e donne e uomini hanno spesso modi diversi d’esprimere l’aggressività. I maschi tendono a prediligere lo scontro diretto, non necessariamente fisico, in cui alla fine si stabilisce chi è il migliore. Le ragazze spesso verbalizzano di più, mirando all’aspetto relazionale e sociale, in modo più sofisticato: esprimono antagonismo tramite condanna sociale, pettegolezzo, sarcasmo. Molti giochi sono ritagliati sul modello di competitività maschile, che alle ragazze non interessa granché. Ma non è sempre così. Io ho imparato a giocare a Magic, anni fa, grazie a una mia amica!». Un’ultima domanda: l’inventore del gioco sostiene che giocare a Magic sviluppa senso logico, capacità d’escogitare una strategia e quindi ragionamento. Sarebbe quasi da inserire nei programmi scolastici. « vero che ogni gioco basato su una struttura efficace può facilitare lo sviluppo cognitivo e sociale. Ma proprio per questo non andrebbe inserito nei programmi scolastici, che tenderebbero a trasformarlo in una cosa diversa dal gioco: un lavoro». A Fort Mason, intanto, il mondiale di Magic ha coronato il suo re, il più bravo di tutti, uscito fuori grazie a una finale ripresa pure dalle tv Usa. Si chiama Julien Nuijten, signore delle carte a soli 15 anni. Per lui la gloria, un assegno da 35 mila dollari per spenderla e un titolo che lo farà viaggiare un bel po’. Ai vinti, la decubertiana soddisfazione d’aver partecipato e la speranza di ritentare. Ma attenzione, perché anche per loro non è detta l’ultima parola: c’è gente che con Magic riesce a guadagnare - giocando su Internet o girando per i tornei - diverse centinaia di dollari al mese, pagandosi spesso il viaggio e qualcosa di più. E il prossimo appuntamento è già in agenda: Giappone, Yokohama, 2005. Nel frattempo per tutti c’è un’altra stagione di partite, di tornei e soprattutto la scoperta delle nuove, attesissime, carte (Kamigawa il nome della nuova edizione, in commercio già da ottobre). Un programma fitto d’incontri, nuovi incantesimi, nuove creature da evocare e nuove corse al negozietto vicino casa per trovare la carta più forte da mettere nel mazzo. Il tutto per un gioco che, a dodici anni dalla nascita e nel mezzo di un settore dove le mode durano al massimo una stagione, non è più soltanto un fenomeno e sembra anzi aver ricevuto l’incantesimo più ambito: la longevità.