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 2005  novembre 17 Giovedì calendario

SCABIA

SCABIA Giuliano Padova 18 luglio 1935. Poeta, regista, narratore, drammaturgo. Nell’88 Gianni Celati ha scritto di lui che è stato «il protagonista di alcune tra le esperienze più vive e visionarie degli ultimi vent’anni». Ha inventato il Teatro Vagante, esperienze teatrali comunitarie. Ha lavorato a Trieste con Basaglia e con Nono ha scritto il Diario italiano. tra gli iniziatori del Nuovo teatro: firma con Quartucci e Luzzato lo spettacolo Zip (Biennale 1965). Il lavoro nel teatro lo ha avvicinato al romanzo: In capo al mondo (Einaudi 1990) e la trilogia di Nane Oca • «Un piccolo slargo a fianco del Palazzo Sanguinetti in Strada Maggiore, all’altezza del numero 34. Qui in un giorno del 1971 arrivò con il suo furgone addobbato Giuliano Scabia. Veniva dall’Abruzzo, da Massa d’Albe, alle pendici del Monte Velino, dove andava combattendo vestito da drago coi ragazzi delle scuole. Ad attenderlo nella piazzetta ci sono Luigi Squarzina, Benedetto Marzullo e Renzo Tian, i fondatori del Dams. Scabia estrae dal suo veicolo gli oggetti del suo Teatro Vagante, il mostro di cartapesta, i burattini e gli altri oggetti delle sue azioni di strada e compie un breve intervento davanti a un gruppo di studenti. Marzullo è spiccio: ”Puoi fare qui le stesse cose. Dobbiamo sdoppiare una cattedra ma il posto c’è”. Comincia così l’avventura d’insegnamento di quello che è stato uno dei maestri segreti del nuovo teatro italiano, uno degli scrittori e poeti più originali del dopoguerra. [...] un corso mitico, ”Il Gorilla Quadrumano”, del 1974 e 1975, uno degli incunaboli del movimento del Settantasette. Scabia, come ha scritto Eugenio Barba nella prefazione di un libro che Ubu Libri, la casa editrice di Franco Quadri, gli dedica [...] Il Teatro Vagante di Giuliano Scabia, è un anti-Ulisse, uno che ha usato la sua intelligenza e il suo talento non per entrare nella città, bensì per uscirne fuori, per andarsene all’aperto. Scabia è uno degli eccentrici e degli inclassificabili della cultura italiana. La fabbrica illuminata è il titolo dell’opera scritta per Luigi Nono e andata in scena nel 1964 alla Biennale di Venezia, mentre nel 1967 presso Einaudi, nella collana sperimentale diretta da Sanguineti, Manganelli e Davico Bonino, escono due testi teatrali sperimentali, All’improvviso & Zip. il primo di undici libri pubblicati in successione dall’editore di Torino: romanzi, teatro, poesia, pagine piene di disegni, acquerelli, scritture calligrafiche. ”Il primo anno, il corso era dedicato al Teatrogiornale. Con materiali poveri, carta, cartone, legno, fili, mettevamo in scena le notizie del giorno. L’idea era di andare nelle piazze e di inscenare, con gli strumenti del teatro, gli avvenimenti italiani e stranieri di quel momento: burattini, dialoghi, canti, maschere, azioni di mimo, sagome. Partivamo da canovacci su Andreotti e l’Iva o il presidente Nixon. Ci si preparava ad esibirci davanti alla gente. In due occasioni siamo usciti fuori dal Teatro delle Moline e siamo andati al Mercato della Montagnola. C’era anche Roberto Faenza che ci riprendeva”. Il rapporto con la città di Bologna non è stato uno dei più facili. Nel 1969, prima di arrivare al Dams, Scabia aveva preparato un testo per le scene, ma la Comunità Teatrale dell’Emilia-Romagna, che lo aveva commissionato, lo eliminò dal cartellone per motivi politici. Scabia, nel suo furore di teatrante, è una persona mite, abituata a superare le difficoltà con lo slancio dei poeti: l’immaginazione. Nel 1975 uno studente dell’appennino Reggiano portò a lezione un canovaccio, Il Gorilla Quadrumano, uno di quei testi che si recitavano un tempo nelle stalle, la sera. Scabia lo adottò subito e dopo una prova a Morro Reatino, un laboratorio con gli studenti, lo scimmione meraviglioso cominciò il suo viaggio per le strade dell’Appennino, fermandosi nelle piazze dei paesi, nelle scuole, nei vicoli. Per il gruppo dei ragazzi fu la scoperta di un’altra Italia montanara e contadina, abbandonata dai suoi abitanti a metà degli Anni Sessanta, una mondo marginale che un tempo era stata uno dei fulcri della civiltà italiana. Mentre andavano di casa in casa Scabia e i suoi accoliti raccoglievano storie. Lo scrittore Gianni Celati, che condivise con Scabia alcune tappe di quel percorso, ha scritto che quello spettacolo degli studenti, un poco dilettantesco e volonteroso, è stata ”un’accensione fantastica che produce l’entusiasmo degli incontri e dei racconti”. [...] la Bologna degli Anni Settanta, quella degli untorelli, delle manifestazioni colorate, della banda musicale che apriva i cortei degli studenti, di Piazza Maggiore. L’allegria e il carnevale di quei momenti è senza dubbio il frutto del lavoro nei piccoli teatri di Bologna di Scabia, delle lezioni di Celati e di Piero Camporesi. Da lì viene Radio Alice, l’occupazione delle aule, un carnevale che diventò una quaresima dopo i colpi che uccisero uno studente. La guerriglia, la città occupata dai mezzi blindati, i ragazzi contro il partito comunista, la spaccatura tra le generazioni. [...] Il corso del 1977 consisteva nella costruzione delle mongolfiere di carta, arte che Scabia aveva appreso in un paese sull’Orinoco, in Venezuela, l’anno precedente. Mi racconta. ”Uscii dall’Università, dal laboratorio, suonando la grancassa e tirandomi dietro un centinaio di studenti. In piazza Santo Stefano, davanti all’antica chiesa, per terra accendemmo un fuoco e con questo attizzammo il fornellino imbevuto di alcol sospeso nella parte bassa della volante. Quando sentii che era piena d’aria calda, la lasciai andare. Volò in alto e tutti gli occhi della città, la Città capovolta di quei giorni, si voltarono verso l’alto. Volò oltre i tetti e tutti presero a inseguirla; saliva e scendeva accarezzando l’aria, Entrò in una grande finestra in una delle banche di piazza Malpigli e tornò fuori, scese lentamente e la raccogliemmo. Fu a questo punto che entrai in un bar e chiesi: ”Avete una cassetta da frutta, è per il lancio della mongolfiera, per il fuoco’. Come reagiranno, mi chiesi, a una richiesta così strana dopo due mesi di sconvolgimenti? Il proprietario ci diede la cassetta. Capii che qualcosa era cambiato, che stava cambiando. Poi abbiamo costruito trenta mongolfiere, a forma di pesce, di pera, di chiesa, di gelato, di cassaforte, di fuoco. Ogni lancio era un corteo musicale e una piccola festa, in giro per la città”. Il lavoro del laboratorio Macchine Volanti contagiò negli anni seguenti molte feste patronali in giro per l’Italia: gli studenti portavano la novità nei loro paesi e nelle città. Ne parla anche Enrico Palandri in quello che è il più bel romanzo del Settantasette, Boccalone, pubblicato da Elvio Fachinelli nelle sue edizioni Erba Voglio. Palandri, come Tondelli, è stato uno degli allievi di Scabia; entrambi lo ringraziano nei loro libri. [...] Nel 1973 il poeta è stato a Trieste, invitato da Franco Basaglia, e ha costruito coi matti Marco Cavallo un grande animale che è uscito dalla cinta muraria dell’Ospedale psichiatrico e ha attraversato le vie della città, diventando un happening, un personaggio e anche un libro edito da Einaudi. Queste azioni sono proseguite nei due decenni successivi e culminano con il Drago di Montelupo, creato nel 2003 dai detenuti e dagli operatori del Manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. [...] Scabia è un folletto, un coboldo, è inafferrabile, come dice Barba. La sua arte [...] è quella della metamorfosi: cambia continuamente, eppure è sempre lo stesso, è perfettamente riconoscibile nel corso dei decenni. Il suo teatro possiede una qualità rara, il genius loci, che è poi quella che fa unico il nostro paese. Scabia ha avuto il merito di tener viva ”l’animazione del mondo”. Il suo teatro è denso, ma anche leggero come l’aria. Per questo va dove vuole» (Marco Belpoliti, ”La Stampa” 17/11/2005).