Corriere della Sera 17/11/2005, pag.45 Paolo Isotta, 17 novembre 2005
"Cara Pauline" firmato Hector. Corriere della Sera 17/11/2005. Oggi tutti ricordano Hector Berlioz per la sua opera socialmente più clamorosa ma meno artisticamente significativa, la Sinfonia fantastica; o per lo strano pastiche che vorrebbe avere rapporti con Goethe e, nella sua ineguaglianza, a volte lo attinge più che non facciano musicisti tedeschi, La dannazione di Faust
"Cara Pauline" firmato Hector. Corriere della Sera 17/11/2005. Oggi tutti ricordano Hector Berlioz per la sua opera socialmente più clamorosa ma meno artisticamente significativa, la Sinfonia fantastica; o per lo strano pastiche che vorrebbe avere rapporti con Goethe e, nella sua ineguaglianza, a volte lo attinge più che non facciano musicisti tedeschi, La dannazione di Faust. Salvo lo straordinario affresco sinfonico-drammatico di Roméo et Juliette, i capolavori si appartengono agli ultimi anni: L’enfance du Christ, i colossali Te Deum e Troyens, lo shakespeariano Béatrice et Bénedict. Era egli allora uno sconfitto dalla vita, piegato da una nevrosi producentegli atroci dolori; in attesa della morte ufficiale campò, povero, in istato di atonia, costretto a convivere con una suocera restatagli dalla seconda vedovanza, la prima moglie lunghissimi anni paralizzata da trombosi, e perduto in mare l’unico figlio. Contempla il ritratto con spadino da Accademico, l’elezione essendogli giunta, con la crudeltà del destino, in ritardo di trent’anni, e vedi un morto preparato in divisa per la camera ardente: come Canonico Ciriaco nel Giorno del Giudizio di Salvatore Satta. Sin dall’inizio, Berlioz era vissuto di, e per, mai dimessi culti: Virgilio, Gluck, Spontini, Shakespeare, Goethe. L’Orfeo, nella versione francese, gli era addirittura un pharmakon, come per altri spiriti sublimi del Settecento e del suo secolo. Ai suoi tempi, e quand’egli n’ebbe curata l’edizione per Parigi, l’interprete per eccellenza ne era Pauline Viardot. Di qualità tecniche e musicali insuperate, di cultura e finezza d’animo tali da sorprenderci ottantenne per un colloquio trascritto da Reynaldo Hahn, prima interprete della Rapsodia per contralto di Brahms e di Isolda nell’esecuzione privata parigina del II atto del Tristano, sorella di Maria Malibran senza quasi averla conosciuta, apparteneva alla leggendaria stirpe dei Garcia. Quando si presentò sul palcoscenico, a Musset e Gautier diede l’impressione, lieta, però, non terrificante, del ritorno d’una Amatissima Morta. «L’Ade rivela infiniti ingressi. Antri e crepacci guidavano, in Cappadocia, a un mondo calcareo di caverne, recessi e gallerie. Fra le pieghe più riposte del paesaggio greco, l’Acheronte è un fiume sprofondato per lungo tratto sotto terra. In paraggi simili si può immaginare di varcare la soglia che conduce a un altro mondo, alla strada segreta che porta a un giacimento di anime. E la discesa all’Ade significa oltrepassare l’ingresso di un antro che si apre sul vuoto e sul buio. Affacciarsi di nuovo nella cornice dell’antro significherà allora aver compiuto il ritorno dal mondo dei morti? Quando Pauline Garcia si affacciò per la prima volta in scena molti credettero di assistere al ritorno dall’Ade della sorella maggiore, strappata all’improvviso al mondo dei viventi per le conseguenze di una caduta da cavallo». L’epistolario di Berlioz a Pauline, perdute le risposte di lei, è il cuore del cuore della Corréspondance générale. Ella gli divenne una consolatrice, addirittura un per lei imbarazzante miraggio d’amore. Documento di poesia e melancolia indicibili. Ma vale altrettanto, per l’edizione italiana apparsane presso Zecchini di Varese (pp. 131), il lungo scritto di Alessandro Taverna, L’oppio e l’Elisio, a premessa della traduzione del medesimo. Se n’è letto un aperitivo sopra. Il lavoro mi affascina come poche letture degli ultimi tempi: Taverna possiede l’erudizione del «musicologo», ma la sua cultura letteraria e figurativa apre una sinfonia politematica ove s’intrecciano Camille Corot, Flaubert, Delacroix, Turgenev, Hahn, Quaglio: e Gluck. un esemplare dell’arte del saggio alla Charles Lamb, persino un Poemetto in prosa. Due righe di Taverna, con la sola citazione possibile, ed ecco tutta Pauline: «Ci si può abituare alla bruttezza, alla trivialità mai, disse un giorno Coco Chanel, che avrebbe meritato il titolo di irrégulière. Ecco, Pauline Garcia è una diva irrégulière. La mancanza di bellezza compensa l’eccesso d’intelligenza». La sera dell’esecuzione del Tristano, al pianoforte Karl Klindworth, nel salon di Pauline, Berlioz incominciò davvero a morire. Il suo Orfeo che si dà a un abusivo della musica! Il suo Orfeo che sceglie un altro Ade! Legger come Taverna descrive uno dei momenti capitali della Storia musicale dell’Ottocento ci mostra un nuovo grande scrittore, sebbene riluttante e dominato dall’eccesso di autocritica: «Era un’allucinazione, un abbaglio, o il paese di Tristan era un paese senza luce, un mondo di ombre, dove vagavano anime esaltate e senza pace? Tristan invitava Isolde a seguirlo. E lei, docile come un’ombra risvegliata dalla morte, trovava la strada per un mondo dove era bandita la luce del sole. Ecco il più grave motivo di raccapriccio: Tristan und Isolde era Orfeo ed Euridice messo a bagno in una soluzione di acidi e fluidi dalle insidiose fluorescenze elettriche, percorso da correnti armoniche smosse da misteriose sorgenti galvaniche. E l’allucinazione era accresciuta dalla circostanza incresciosissima che a cantare Isolde fosse proprio Orfeo... Non una scossa elettrica, era un terrificante corto circuito». Paolo Isotta