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 2005  novembre 17 Giovedì calendario

Su 220.000 specie di piante presenti sulla terra, l’uomo, in tutta la sua storia, ne ha utilizzate 5

Su 220.000 specie di piante presenti sulla terra, l’uomo, in tutta la sua storia, ne ha utilizzate 5.000, ma è riuscito a coltivarne solo 1.500. Di queste, cinque hanno garantito i due terzi del suo fabbisogno alimentare: riso, mais, orzo e i frumenti tenero e duro. E che questi cereali, in particolare orzo e frumento, fossero una risorsa primaria l’uomo l’ha scoperto 12.000 anni fa, quando ha cominciato a coltivarli. All’epoca, da cacciatore, l’essere umano raccoglieva dal terreno i semi che frumenti e orzi selvatici disperdevano una volta giunti a maturazione. Le spighe erano strutturate in nodi e internodi: sul nodo s’inseriva un chicco, ogni nodo si disarticolava dall’altro in modo che i semi, quando cadevano, si disperdevano in un raggio molto ampio. Per le piante era un grande vantaggio perché avevano probabilità maggiori di riprodursi. Ma un giorno, accadde qualcosa che segnò il corso della storia, dando vita alla rivoluzione neolitica e alla nascita di una prima forma di agricoltura. La zona era quella della Mezzaluna Fertile, intorno al Tigri e all’Eufrate, i due grandi fiumi del Medio Oriente. Come ci spiega Antonio Michele Stanca, direttore della sezione di Fiorenzuola d’Arda dell’Istituto sperimentale per la cerealicoltura (uno degli enti di ricerca del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali), «un giorno, un uomo s’imbatté in un mutante di quelle piante. Trovò spighe mature che non si spezzavano e non disperdevano i semi a terra. Era un difetto grave: avere spighe a rachide non fragile (così si chiama questa mutazione), ossia non disperdere i semi,voleva dire non potersi riprodurre come le altre piante, quindi avere vita breve. Ma per l’uomo fu decisivo: significava poter raccogliere velocemente un elevato numero di semi puliti. Cominciò così la coltivazione di queste piante che le leggi della natura avrebbero invece condannato. L’uomo dovette poi ingegnarsi a costruire uno strumento adatto alla mietitura, dovette imparare a trebbiare le spighe e inventare recipienti adatti alla conservazione di questo gran numero di semi». La mutazione nella quale s’era imbattuto l’uomo primitivo era di carattere genetico: uno o più geni nel Dna delle piante avevano determinato un cambiamento e i caratteri morfologici delle spighe erano mutati. A suo vantaggio. Una volta affermata la coltivazione, la selezione continuò: se alcuni esemplari impedivano la crescita di piante sorelle, venivano scartati, e si dava la preferenza a esemplari più tolleranti. Quando comparivano spighe più grandi con semi più numerosi, venivano preferite alle altre meno produttive. Le mutazioni sono state quindi preziose per l’uomo che, nei secoli, ha selezionato i mutanti che meglio rispondevano alle sue esigenze. E ciò continua ad accadere. Ma bisogna trovarli i mutanti, riconoscerli, studiarli e capire le loro potenzialità. E bisogna anche provare a coltivarli facendo incroci per cercare di ottenere risultati ancora migliori. Questo è ciò che fa la sezione di Fiorenzuola d’Arda, assieme alle altre stazioni di miglioramento genetico pubbliche e private di tutto il mondo. Il Centro di Fiorenzuola ospita una collezione di orzi selvatici e coltivati di oggi e del passato. E fra loro spiccano i mutanti, curati con passione da Donata Pagani. «Come l’uomo preistorico ha investito su una spiga anomala, noi investiamo sulle anomalie», ci spiegano Primetta Faccioli e Valeria Terzi, del Centro di Fiorenzuola. «I mutanti sono un patrimonio straordinario. Alcuni, per il momento, paiono scherzi della natura e non se ne capisce l’utilità. Ma li studiamo tutti, poiché tutti possono aiutarci a comprendere i processi fisiologici delle piante. Alcuni inoltre potrebbero costituire la risposta all’insorgenza di drastici cambiamenti climatici o a nuove esigenze nutrizionali dell’uomo e degli animali».