MACCHINA DEL TEMPO NOVEMBRE 2004, 17 novembre 2005
Avete mai pensato che il parco di Yellowstone, quel paradiso americano tutto piante e fiori che ha ispirato i cartoni di Yoghi e Bubu, potesse avere qualcosa in comune col Vesuvio napoletano abitato nelle storie Disney dalla fattucchiera Amelia? Ebbene, entrambi sono vulcani, ed entrambi sono pericolosi
Avete mai pensato che il parco di Yellowstone, quel paradiso americano tutto piante e fiori che ha ispirato i cartoni di Yoghi e Bubu, potesse avere qualcosa in comune col Vesuvio napoletano abitato nelle storie Disney dalla fattucchiera Amelia? Ebbene, entrambi sono vulcani, ed entrambi sono pericolosi. Ad esempio, a proposito del Vesuvio, sfogliando i giornali di fine agosto, abbiamo letto una notizia letteralmente esplosiva: «Entro il 2100 sarà protagonista di un’eruzione identica a quella che seppellì Pompei». Ai nostri occhi si profilava uno scenario apocalittico: più di 500mila persone costrette a evacuare la zona rossa (quella più esposta), altre 200mila investite da una pioggia di cenere capace di sfondare i tetti delle case. Fortunatamente, non era vero nulla. Qualcuno, al 32esimo Congresso geologico internazionale, aveva malamente interpretato le parole di Franco Barberi, illustre professore del dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Roma 3. Il luminare s’è affrettato a smentire l’allarmante notizia, ma a quel punto avevamo già deciso di indagare sull’umore del Vesuvio, dell’Etna e pure di Yellowstone, che si sveglia ogni 600mila anni (l’ultima volta è stata 630mila anni fa). E abbiamo chiesto a tre esperti se possiamo dormire sonni tranquilli. Cominciamo dal Vesuvio, un cono di 1.281 metri d’altezza che entrò nella storia con la famosa eruzione del 79 d.C., iniziata con la formazione di un’alta colonna di gas, cenere e lapilli così descritta da Plinio il Giovane: «La nube a forma di pino si sollevava alta nel cielo e si dilatava come emettendo rami...». Il professor Boschi, presidente dell’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (www.ingv.it) ci tranquillizza: «In questo momento il Vesuvio è tranquillo, o meglio non è meno tranquillo del solito». Eppure, al Congresso geologico internazionale, il professor Barberi ha illustrato i piani dell’autorità per la gestione di un’emergenza. «è giusto che quei piani esistano» prosegue Boschi, «ma non siamo in allarme. Il sistema di monitoraggio che abbiamo messo assieme serve a evidenziare i fenomeni precursori di un’eventuale eruzione: attività sismica, deformazione dell’edificio vulcanico, emissione di gas». Può spiegarci meglio? «Perché avvenga un’eruzione, la lava deve farsi strada tra le rocce. E il suo farsi strada si traduce in vari fenomeni. Innanzitutto i terremoti: in una zona vulcanica un po’ di attività sismica è fisiologica, ma quando l’intensità delle piccole scosse si concentra in una certa zona, proprio là potrebbe aprirsi la bocca da cui uscirà la lava. Prima dell’eruzione, inoltre, l’edificio del vulcano si deforma: il magma che dal profondo sale verso la superficie crea dei rigonfiamenti piccoli ma misurabili. Inoltre la lava, nel suo percorso, libera gas. Più risale veloce e più ne libera, più ne libera e più è forte l’esplosione nota alla gente come ”tappo di champagne”». Ma ci sono anche altri fatti che rivelano il prepararsi di un’eruzione. Il campo magnetico delle rocce, in presenza di lava, si modifica in maniera apprezzabile. E il fatto che si distribuisca materia all’interno del vulcano causa variazioni del campo di gravità. «Ciascuno di questi eventi» spiega Boschi, «se si verifica da solo, non ci mette in allarme. Ci allarmiamo quando ne capitano insieme più di uno. Cosa che finora non abbiamo mai osservato. L’ultima eruzione - ma senza esplosione - del Vesuvio risale al 1944». Quando tutti i fenomeni descritti si verificano insieme l’eruzione è certa? «No. Noi teniamo sotto controllo il vulcano 24 ore su 24 e abbiamo pronto un piano di evacuazione che coinvolgerebbe 800 mila persone. Ma non sappiamo a priori quanto i fenomeni precursori possano durare prima dell’eruzione e nemmeno se l’eruzione davvero ci sarà. Di una cosa siamo certi: non c’è eruzione che non sia preceduta da avvisaglie» conclude Boschi. E l’Etna, invece? è il vulcano più attivo d’Italia è il più grande d’Europa (il suo volume è di almeno 350 chilometri cubi). Ma le sue colate laviche, dalla bassa velocità, consentono d’attuare piani di evacuazione che interesserebbero fino a un milione di persone (tanti sono gli individui che abitano nei suoi dintorni). Nel luglio 2001 e nel dicembre 2004 il vulcano ha dato prova di ciò che sa fare con eruzioni spettacolari. E da qualche mese ha ricominciato a far colare lava. «Gli scorsi anni» dice Stefano Gresta, docente di Fisica del vulcanismo all’Università di Catania, «siamo rimasti avvolti nella cenere per settimane. Evento che non capitava da centinaia di anni. Sulla base delle ultime eruzioni, i colleghi francesi hanno dedotto che l’Etna, da vulcano effusivo (la lava si fa strada lentamente e senza esplosioni, ndr), si stia trasformando in esplosivo come il Vesuvio». Ma è vero? «No» assicura Gresta: «Qualche fenomeno esplosivo c’è stato, ma risibile rispetto al Vesuvio dove nell’eruzione di Pompei, ad esempio, è saltata un’intera porzione del Monte Somma. E non si può dire che un vulcano abbia cambiato stile d’eruzione basandosi sull’osservazione di pochi anni». E l’eruzione più recente è preoccupante? «No. La tranquilla colata verso Monte Bove iniziata a settembre è priva di gas. Si tratta della lava del 2001, che il gas l’ha perso durante l’eruzione di quell’anno. Una frattura del terreno ha fatto sì che questo vecchio magma prendesse a colare. All’inizio si era fatta un’altra ipotesi: il magma passivo era spinto su da magma più fresco che stava risalendo da profondità più elevate. L’Etna, cioè, si stava ricaricando. Abbiamo verificato che quest’ipotesi non era vera, ma anche se lo fosse stata non c’era da preoccuparsi: tale attività fa parte della normale vita di un vulcano». Tutti tranquilli, quindi: nessuna eruzione pericolosa in vista!