MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2004, 17 novembre 2005
Quando alla Scala si giocava d’azzardo (e si facevano figli) All’alba del 25 febbraio 1776, il Teatro Regio Ducale prese fuoco
Quando alla Scala si giocava d’azzardo (e si facevano figli) All’alba del 25 febbraio 1776, il Teatro Regio Ducale prese fuoco. Si racconta che, al crollo del tetto, le fiamme si levarono tanto alte da superare la Madonnina. I ”brentadori” (pompieri ante litteram il cui nome derivava da brenta, che significa ”secchio”) nulla poterono contro il fuoco. In poche ore, del teatro non rimase più nulla: il Regio Ducal Teatro era un cumulo di macerie. L’imperatrice Maria Teresa d’Austria ordinò allora che ne fosse innalzato uno nuovo. Le spese della costruzione furono sostenute dai palchettisti del Ducale, in cambio della concessione del terreno dove sorgeva la Chiesa di Santa Maria alla Scala (da cui il suo nome) e del rinnovo della proprietà dei palchi. Giuseppe Piermarini, nominato Imperial Regio Architetto proprio dopo la costruzione della Scala, progettò un teatro sobrio, di stile neoclassico. All’interno c’erano cinque ordini di palchi, più il loggione, disposti a ferro di cavallo, così da permettere una buona visibilità e un ottimo ascolto. La volta era di intonaco su intelaiatura in legno, con gli affreschi dei pittori Levati e Reinini e i rosoni di Albertulli. La Scala fu inaugurata la sera del 3 agosto 1778 con il melodramma di Antonio Salieri L’Europa riconosciuta e due balletti del maestro De Baillou. All’inizio il teatro era riscaldato da una stufa e qualche camino e illuminato giusto da due fiamme a olio sul palco. La platea e i palchi erano tanto bui che la gente si portava le candele da casa (dieci anni dopo le lampade a olio sul palco erano 84 e i lumi appesi al soffitto 996). Per evitare che la Scala facesse la fine del Teatrino, c’erano sempre quattro pompieri muniti di secchioni d’acqua accanto ai palchi, tre grandi recipienti sotto il tetto e una pompa a mano nel cortile dietro il palco. All’epoca Alessandro Manzoni andava nel ridotto per giocare d’azzardo (durante l’occupazione napoleonica il bilancio era aiutato dai tavoli della roulette). Nello stesso periodo i palchi, oltre che salotti letterari, erano alcove: e infatti la buona società milanese approfittò di arie e acuti per concepire alcuni dei suoi figli. Il traffico fece il suo esordio a Milano proprio a causa della Scala: in una grida del 20 dicembre 1791 s’impone di tirare una catena, nelle sere di rappresentazione, all’angolo con via Santa Margherita: le carrozze, arrivando tutte assieme da piazza Mercanti, creavano per l’epoca un ingorgo pauroso. Nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1943, verso l’una, gli alleati lanciarono sulla Scala di Milano bombe incendiarie che fecero crollare la volta e trasformarono in cenere palchi, tessuti damascati e specchiere dorate (rimase intatto giusto il palcoscenico). Solo per lo sgombero delle macerie ci vollero quattro mesi, ma appena fu possibile si tornò in teatro: l’11 ottobre del ’44, con la direzione di Hans Weisbach, l’orchestra si schierò ”a richiesta generale” (come si legge nella locandina) per eseguire la Quinta sinfonia di Bruckner e l’ouverture Coriolano di Beethoven: il pubblico s’era accomodato su sedie comuni, l’acustica non c’era più, palchi e gallerie erano coperti da una tettoia, la platea era a cielo aperto. Dei teatri europei, La Scala fu il primo a risorgere col concerto diretto da Toscanini l’11 maggio del ’46. Il maestro, varcando la soglia, batté le mani per provare l’acustica. « la stessa di prima», mentì. In realtà le strutture del Piermarini erano state rattoppate in fretta, col cemento armato, con quel che si poteva: prima dell’attuale restauro, sotto la platea e i velluti rossi delle poltrone, c’erano soltanto macerie.