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 2005  novembre 13 Domenica calendario

Una maschera da killer per spaventare i rivali. La Repubblica 13/11/2005. «Fanno uscir sovente dalla loro bocca una lingua di una lunghezza incredibile, ed alzano le palpebre con tanta forza che si scorge dall´alto al basso tutto il bianco dell´occhio»

Una maschera da killer per spaventare i rivali. La Repubblica 13/11/2005. «Fanno uscir sovente dalla loro bocca una lingua di una lunghezza incredibile, ed alzano le palpebre con tanta forza che si scorge dall´alto al basso tutto il bianco dell´occhio». Sono parole del capitano Cook, il grande esploratore dei Mari del Sud, scritte il 9 ottobre del 1769. L´Endevour ha appena gettato l´ancora nelle acque della Poverty Bay, in Nuova Zelanda, e i bianchi si trovano per la prima volta faccia a faccia con i Maori. I mitici guerrieri polinesiani accolgono gli inglesi con una impressionante danza di guerra. Mani battute con furore sulle cosce, occhi minacciosamente esorbitati, lingue mostrate in segno di disprezzo. Ogni gesto accompagnato da un canto selvaggio e concluso da un grido cavernoso, un haahh prolungato e profondo. Così l´Occidente scopriva l´haka, l´aggressiva performance rituale che gli All Blacks avrebbero reso celebre in tutto il mondo agli inizi del Novecento. In realtà questa straordinaria ostentazione di forza distruttiva è uno dei tradizionali biglietti da visita dei Maori, un modo di rappresentare a se stessi e agli altri il loro indomabile spirito guerriero. La funzione di questa maschia messa in scena era quella di creare coesione fra gli uomini del gruppo e al tempo stesso quella di far paura agli altri. Essa costituiva dunque il capitolo introduttivo di quell´arte della guerra che era l´essenza stessa della cultura indigena neozelandese. A dire il vero, questa danza non era necessariamente un segnale di battaglia. I Maori distinguevano infatti due tipi di haka: la Ka Mate, che consisteva in una esibizione di forza e di aggressività, aveva la mera funzione di mostrare erga omnes il proprio potenziale di morte a scopi dissuasivi. Proprio come avviene per le parate militari delle superpotenze. La vera haka di guerra era invece la cosiddetta peru-peru, caratterizzata dall´uso delle armi, che si concludeva con un teatralissimo salto a gambe ripiegate. Questo balzo, carico di simbolismo animale, è stato incorporato nella Ka Mate dagli All Blacks, che hanno così mescolato gli elementi tradizionali delle due haka per drammatizzare la carica aggressiva della loro esibizione. Questa messa in scena della forza è un tipico esempio di quello che gli studiosi del comportamento animale - come Julian Huxley e Konrad Lorenz - hanno definito ritualizzazione dell´aggressività. Come dire che mostrare i muscoli serve spesso ad evitare guai peggiori. Lorenz diceva in proposito che la ritualizzazione è uno degli espedienti più geniali che l´evoluzione abbia inventato per deviare il conflitto su binari innocui. Enfatizzare i gesti di minaccia serve proprio a trasformarli in segnali, in azioni espressive dalla carica simbolica inequivocabile. In questo senso battersi il petto e pestare i piedi come fanno i primati in preda all´ira, digrignare i denti come i lupi, fare linguacce come le scimmie, mostrare i genitali, sono tutti gesti che hanno molto in comune con i movimenti dell´haka e di altre esibizioni intimidatorie, come quelle dei reggimenti scozzesi che sollevavano provocatoriamente il kilt in faccia al nemico. Il corpo diventa un alfabeto che trasforma occhi, denti, lingua, petto, gambe, piedi in messaggi preventivi da lanciare al nemico per spaventarlo e ridurlo a miti consigli. Così i movimenti diventano avvertimenti, e per accrescerne la forza comunicativa e il potere deterrente, animali e umani li esagerano mimicamente, li trasformano cioè in espressioni codificate e, in quanto tali, immediatamente riconoscibili. Ecco il perché degli occhi sbarrati dei Maori, del loro battersi il petto, dei loro salti iperbolici a metà tra quelli dei Wa-Tutsi e quelli dei Cosacchi. In tutti questi casi il corpo cambia significato, e da arma potenziale diventa parola muta. La ritualizzazione dell´aggressività trasforma, dunque, la guerra in agonismo, ovvero in gioco, sostituendo la battaglia mortale con una semplice competizione, come avveniva un tempo con le gare olimpiche e con i tornei cavallereschi. E come avviene ora nello sport che rappresenta un esempio perfetto di questa sublimazione ludica del conflitto. Lo sapevano bene gli amministratori coloniali inglesi che, per porre fine alle continue guerre tribali che insanguinavano la Nuova Guinea, importarono in quei territori giochi come il cricket e il calcio che offrirono alle popolazioni papua un nuovo, più incruento campo di battaglia dove continuare ad affrontarsi. Il minaccioso ritornello degli atleti neozelandesi che paragonano la loro ferocia terrificante alle forze elementari del tuono e della folgore serve in realtà ad ammansire queste nere potenze, a far trionfare la cultura sulla natura, trascendendola in rito. «Team in Black. Haahh». così che il nemico da uccidere diventa avversario da sconfiggere. E l´homo necans diventa homo ludens. Haahh Marino Niola