La Repubblica 13/11/2005, pag.32 Ettore Livini, 13 novembre 2005
La corsa verso il cielo delle Tigri d´Oriente. La Repubblica 13/11/2005. Prima le Torri Gemelle e Osama Bin Laden
La corsa verso il cielo delle Tigri d´Oriente. La Repubblica 13/11/2005. Prima le Torri Gemelle e Osama Bin Laden. Ora, fatte le debite proporzioni, persino l´attacco di Adriano Celentano («chi li vuole odia l´arte»), vecchio nemico della categoria sin dall´epoca de L´Albero di 30 piani. La vita dei grattacieli, in questo inizio di millennio, si sta rivelando molto più dura del previsto. Architetti e sociologi prevedevano nel ventunesimo secolo la loro la consacrazione a re indiscussi del paesaggio urbano. E invece la corsa verso l´alto dell´uomo ha iniziato a segnare il passo. Tanti progetti sono andati in fumo assieme al crollo delle Twin Towers. Persino megalomani amanti dell´eccesso come Donald Trump hanno rivisto al ribasso le loro smisurate ambizioni, sforbiciando un paio di centinaia di metri dai progetti che avevano già pronti sul tavolo. Solo Cina e Asia, new entry della globalizzazione con tanta fame di simboli concreti del loro boom, continuano a crescere in altezza: Taiwan ha conquistato il tetto del mondo con i 508 metri del "Taipei 101". Nel cielo di Hong Kong sono spuntati oltre ottomila grattacieli mentre sopra le vecchie case in legno di Shanghai ne sono fioriti oltre tremila, con il suolo della città che sprofonda di 1,5 centimetri l´anno sotto il loro peso. La storia, in fondo, si ripete. Dalla Torre di Babele in poi, chiunque ha osato sfidare il cielo con argilla, mattoni, cemento e vetro non ha mai avuto vita troppo facile. O per meglio dire se l´è cavata fino a che il suo lavoro è stato ispirato solo dalla mano di Dio. Basta mettere in fila l´elenco degli antenati dell´Empire State Building: piramidi, Ziguratt babilonesi, menhir, campanili, minareti e templi maya sono progetti in cui la capacità innovativa dell´uomo si è messa al servizio della fede. Mentre l´unico esempio di grattacieli secolari dell´antichità sono le insulae, case di cinque o sei piani costruite nell´antica Roma come edilizia popolare per i poveri. Le cose sono cambiate nel diciannovesimo secolo. Quando il progresso e l´illuminismo hanno liberato la fantasia degli architetti non solo dai lacci della religione, ma anche dai vincoli tecnologici. Le pietre angolari su cui i grattacieli hanno costruito il loro successo sono due scoperte semplici semplici: la prima, datata 1853 e targata Elisha Otis, è quella dell´ascensore. Fino ad allora, in effetti, la voglia di costruire in verticale aveva un limite intrinseco: la voglia (o la forma fisica) degli inquilini poco disposti a sobbarcarsi troppe scale a piedi. A regalare davvero ai progettisti le chiavi del cielo è stata però due anni più tardi l´introduzione a livello industriale del metodo Bessemer per la lavorazione dell´acciaio, scoperta che ha cambiato gli orizzonti dell´architettura mondiale. Cemento e mattoni - che dopo cinque o sei piani rappresentavano un peso troppo elevato per le fondamenta - sono andati in pensione. E al loro posto sono arrivate quelle leggerissime travi d´acciaio che da allora, un metro per volta, hanno portato l´uomo a salire sempre più in alto, segnando con le punte di questi giganti i nuovi confini delle sue ambizioni e del suo progresso. La culla di questa voglia di grattacielo, non a caso, è l´America. I tecnici Usa sono stati i primi a risolvere un altro ostacolo tecnologico: il problema dell´acqua. All´inizio la pressione degli acquedotti era l´unico "ascensore" per farla salire negli appartamenti. E oltre il quinto piano si poteva garantire l´approvvigionamento solo con le cisterne sul tetto come quelle che punteggiano ancora oggi lo skyline di New York. Poi le pompe elettriche hanno sciolto anche questo nodo. E la corsa è iniziata. La sottile guerra per conquistare il titolo di edificio più alto del mondo è stata da subito una gara fatta di colpi bassi e copioni da spy-story. Il Chrysler Building di New York ha superato la Bank of Manhattan di pochi metri nel 1928 con l´aggiunta di un pezzo di "punta" tenuto nascosto fino all´ultimo momento. E anche oggi i progetti definitivi dei nuovi grattacieli sono top-secret come un´arma del Pentagono: il Dubai, ad esempio, ha già iniziato i lavori del Burj Dabi, un colosso che dovrebbe arrivare nel 2008 a toccare i 750 metri. Ma nessuno sa con precisione quale sarà la sua altezza definitiva, proprio per evitare punti di riferimento alla concorrenza. Dietro la voglia di primati da Guinness, però, i grattacieli sono diventati anche un fedele termometro dello stato di salute socio-economica del mondo. Il "decano" non a caso è l´Empire State Building, per quarant´anni l´edificio più alto della terra. Simbolo di un secolo in cui l´America, nel bene e nel male, ha segnato la storia dell´umanità. Solo quindici anni fa, sul tetto di otto dei primi dieci grattacieli sventolava la bandiera a stelle e strisce. Ora il baricentro dello sviluppo si è spostato verso l´Asia e la testa della classifica è stata rivoluzionata: sul gradino più alto del podio (teatro negli ultimi anni di un turnover frenetico) il Taipei 101 ha preso il posto delle Petronas Tower. E nella lista dei top ten ci sono solo due grattacieli made in Usa. Ai piani alti della graduatoria bussano già nuovi protagonisti: l´India ha in cantiere un edificio di 700 metri nella periferia di Delhi modellato sulle cime dell´Himalaya. Progetti simili sono in pista a Mosca, Istanbul, Shanghai, oltre che in Corea del Sud e in Australia. In gara si è messa persino la disastrata Corea del Nord, che ha provato a nascondere dietro il gigantismo architettonico il fallimento della dittatura. Senza successo, però, visto che il Ryugyong Hotel è rimasto ancor oggi un mostruoso guscio di cemento incompiuto alto 330 metri. A facilitare questa corsa verso l´alto c´è anche lo sviluppo della tecnologia: il Taipei 101 è già passato indenne da un terremoto di 6,8 gradi della scala Richter. Gli ascensori - una volta l´incubo dei progettisti per gli spazi che rubavano nell´edificio - si sono rimpiccioliti ed evoluti: le Petronas Tower ne hanno 76 e quelli di Taipei viaggiano a 63 km/ora. Le oscillazioni del vento - altra croce per gli architetti - sono oggi compensate da enormi zavorre mobili, come la palla d´acciaio di 600 tonnellate che dondola nel cuore del Citicorp Building di New York. Certo le spese salgono (il Burj Dabi dovrebbe costare 8 miliardi) ma con loro cresce anche la sicurezza: le due torri di Kuala Lumpur si vantano di poter evacuare 15mila persone in 20 minuti. L´Occidente replica al gigantismo dei paesi emergenti con l´arma del "bello". Basta parallelepipedi di vetro a specchio. Una delle tre torri previste nel progetto-Fiera di Milano - con buona pace per la voglia d´arte di Celentano - si avventura in un dolce ricciolo che nei piani del progettista Daniel Liebeskind è una versione moderna della Pietà di Michelangelo. I nuovi edifici di Renzo Piano, Rem Koolhaas, Norman Foster & C. destrutturano le linee più tradizionali - verticale e orizzontale - piegando, torcendo e incastrando come pezzi di un gigantesco Tetris i loro sogni di acciaio, provando a sposare l´estetica con la funzionalità. L´obiettivo è "emancipare" i grattacieli, svincolandoli dalla schiavitù di luogo per uffici per trasformarli in vere città verticali, con appartamenti, ristoranti e punti di ritrovo. Un gigante - in teoria - dal volto più umano. Fin dove potrà salire l´uomo? La tecnologia oggi ha spostato l´asticella sempre più in alto. Nel ’56 Frank Lloyd Wright aveva già immaginato The Illinois, un gigante alto un miglio (1.609 metri). Oggi quel traguardo non è nemmeno troppo lontano. E i nostalgici nemici dei grattacieli e della loro corsa narcisistica verso l´alto - davanti a questi giganti sempre più vicini al muro del chilometro - rischiano persino di rimpiangere tra poco il vecchio Albero di trenta piani di Celentano. Ettore Livini