MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2004, 16 novembre 2005
Se gli inventori della distillazione furono i popoli che abitavano la Mesopotamia, tra l’VIII e il VI secolo a
Se gli inventori della distillazione furono i popoli che abitavano la Mesopotamia, tra l’VIII e il VI secolo a.C., bisogna attendere il Medioevo per rintracciare i creatori della grappa. Anche se, in Italia, non si partì dalle vinacce per distillare liquore, ma dal vino. Lo scopo era ricavarne una sorta di brandy, considerato panacea per molti malanni. Così, almeno, lo intendevano gli studiosi della Scuola Medica Salernitana: intorno all’anno Mille, forti delle nuove scoperte arabe nel campo dell’alchimia, i medici codificarono le regole della concentrazione dell’alcol nella distillazione e ne prescrissero l’impiego per svariate patologie. A diffondere l’arte dell’alambicco furono però soprattutto i monaci, che seppero sfruttare i doni della natura per ricavarne liquori ed essenze. Nel Liber Ignum di Mario Greco (scritto verso il 1225: vi si descrive anche il procedimento per ottenere la polvere da sparo) abbiamo la definizione ”aqua ardens”; nel De Conservanda Juventute di Arnaldo da Villanova (1235-1315), medico del re d’Aragona e di molti papi, si legge: «Si estrae per distillazione il vino ardente denominato acquavite... Prolunga la vita, perciò merita di chiamarsi aqua vitae». Nel Seicento, ecco i gesuiti. Tra questi il bresciano Francesco Terzi Lana (1631-1687), grande inventore che, tra l’altro, pose le basi dell’aeronautica moderna e studiò con cura la distillazione delle vinacce praticata nelle campagne della sua terra. Non per niente la Lombardia (e il Bresciano soprattutto) si vanta di aver dato i veri natali all’acquavite.