Varie, 16 novembre 2005
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Naderi Amir
• Abadan (Iran) 15 agosto 1946. Regista • «La storia di Amir Naderi è la storia di un maratoneta che a volte scatta come un centometrista e, appena dopo il traguardo, riprende il passo costante di chi deve andare lontano, con la disperazione e la forza di chi sa che il traguardo è sempre ancora da raggiungere. Talento fulmineo del cinema iraniano del prima della rivoluzione, ha esordito parallelamente all’amico Abbas Kiarostami nel 1972, e in pochissimo tempo è diventato uno dei cineasti di riferimento per più di una generazione. Dopo aver girato Acqua, vento, terra, nel 1989, decide di tagliare ogni legame col suo paese d’origine e si trasferisce a New York, dove ricomincia un nuovo percorso di cinema e di vita. Manhattan by Numbers (1992), A, B, C... Manhattan (1997) e Marathon (2002) sono quanto di più intenso e inventato si sia prodotto cinematograficamente nella New York di fine e inizio millennio. [...] Il suo cinema gode della purezza del movimento. [...] I film newyorkesi di Naderi sono, tutti, il rilancio delle possibilità di attraversamento del cinema di colpo divaricato rispetto a linee di fuga, a possibilità narrative, a costruzione, distruzione e superamento dei luoghi comuni, in un fuoricampo furioso che Naderi riesce a far luccicare attraverso le immagini-suono dei suoi film. Ma la costellazione segreta che intesse il suo cinema, quello fatto in Iran come quello fatto a New York, deve essere intesa così: è con la folla invisibile delle parole e dei suoni, dei frammenti (come lo era delle lettere o dei numeri nella trilogia newyorkese), che il cineasta combatte, nei luoghi che sembrano sempre abbandonati anche e soprattutto nell’iperaffollamento urbano, la sua lotta per la preda poetica. [...] Naderi ha posto l’esperienza dello shock al centro stesso del suo lavoro. [...] ”Per me il movimento e il suono sono fondamentali, questo è il cinema, movimento e suono, e silenzio. Io ci aggiungo una storia, la faccio a pezzi, ma la condenso anche al massimo [...] Il cinema che faccio ora, qualunque forma prenda, è suono. Il suono è il vero protagonista dei miei film, e naturalmente il silenzio. La direzione del mio fare cinema è stata questa dal 1975, quando ho fatto Waiting. con quel film che ho capito quale era la strada che mi interessava seguire. Sound Barrier è una continuazione del lavoro fatto con Waiting, The Search I, Acqua, vento, terra e ancor più con Marathon. stato molto difficile ritrovare me stesso nel realizzare i primi due film negli stati Uniti. Ci ho messo un po’ prima di trovare nuovamente la via giusta, a causa di una cultura del tutto nuova. Ce n’è voluto, ma con Marathon, l’ho finalmente trovata. Penso che qualsiasi cosa io abbia fatto nella vita, e le strade che ho seguito, tutto abbia portato verso questo film pieno di rischi, di durezza e così impossibile. [...] Da bambini ci dicevano: ”non fare questo”, ”non mangiare quello”, ”questo non si dice”, ”lì non ci devi andare”, ”non toccare”... Ogni cosa era un diniego. Tutto iniziava e finiva con un ”no”. E io, alla prima opportunità, mi sono imposto la regola di infrangere tutti i ”no” che mi trovassi davanti. Per prima cosa sono scappato da casa. Avevo 11 anni. E all’inizio era molto divertente. Mi chiamavano ”Rischio”. Mi piace come soprannome. Non conta nient’altro per me. La vita è noiosa senza rischio. [...]”» (Donatello Fumarola, ”il manifesto” 15/11/2005).