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 2005  novembre 16 Mercoledì calendario

Un tempo l’orso bruno era un ospite abituale delle zone montuose italiane: era diffuso su tutto l’arco alpino e sugli Appennini fino alla Calabria

Un tempo l’orso bruno era un ospite abituale delle zone montuose italiane: era diffuso su tutto l’arco alpino e sugli Appennini fino alla Calabria. Tuttavia, come il lupo e la lince, non è mai stato particolarmente amato dalle popolazioni locali ed è sempre stato oggetto di una caccia spietata. Ai primi dell’Ottocento, con la diffusione delle armi da fuoco, la caccia occasionale si trasformò in strage, incentivata dai premi in denaro con cui i cacciatori venivano ricompensati, premi che furono aboliti soltanto nel ’37. La caccia, unita alla progressiva distruzione dell’habitat, ha ridotto questi animali sull’orlo dell’estinzione. Nel 1996, grazie a un finanziamento dell’Unione Europea, è partito il Progetto Life Ursus, vòlto alla tutela della popolazione residua di orsi alpini. Popolazione che in un censimento del 1998 risultò di soli 3 o 4 esemplari in età avanzata: troppo pochi e anziani per poter sperare in una ripresa. Per evitare la definitiva scomparsa dell’orso, il Parco Adamello-Brenta, con la Provincia Autonoma di Trento e la consulenza dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, ha intrapreso la reintroduzione della specie, con la speranza di ricostituire una popolazione sana e vitale al suo interno. Tra il 1999 e il 2002 sono stati rilasciati 10 orsi provenienti da riserve statali di caccia slovene. Monitorati con i radiocollari, hanno ripopolato le valli e si stanno riproducendo con successo. La loro provenienza estera ha anche eliminato il problema della consanguineità, sempre in agguato nelle popolazioni troppo piccole. Per trarre le conclusioni di questo lavoro si terrà il 9 e il 10 di dicembre un convegno ad Andalo (TN).