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 2005  novembre 16 Mercoledì calendario

L’idea è degli Inglesi: prima che molti animali scompaiano a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, prima che su questa Terra si rimanga in sei, magari un uomo, una donna, un paio di pidocchi e di scorpioni (questi aracnidi hanno più probabilità degli altri di sopravvivere e noi grazie ai condizionatori e a varie altre tecnologie ce la potremmo cavare, ma solo per poco), bisogna mettere in banca il loro Dna

L’idea è degli Inglesi: prima che molti animali scompaiano a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, prima che su questa Terra si rimanga in sei, magari un uomo, una donna, un paio di pidocchi e di scorpioni (questi aracnidi hanno più probabilità degli altri di sopravvivere e noi grazie ai condizionatori e a varie altre tecnologie ce la potremmo cavare, ma solo per poco), bisogna mettere in banca il loro Dna. Così un giorno, se le cose miglioreranno, qualcuno clonerà la sterminata fauna estinta e il mondo ricomincerà da capo. Il progetto è di sir Crispin Tickell, dell’Università di Oxford, scienziato, naturalista e anche diplomatico, il quale dice che Noè ne sarebbe orgoglioso, e forse anche un po’ invidioso visto che la sua arca era piccola e la nostra invece non ha limiti. La sua però è appena una battuta, perché sappiamo bene che un campione di DNA occupa molto meno posto di un cervo col suo palco di corna e della sua compagna, senza parlare degli elefanti e degli ippopotami e magari di un’anaconda e di un uccello del paradiso. Nel surgelatore del Museo di Storia Naturale londinese abitano già campioni di tessuto della colomba di Socorro, dell’orice dalle corna a scimitarra e della lumaca del genere Partula. ancora lunga la strada per arrivare alle tigri, che presto scompariranno. Stiamo vivendo un tempo in cui l’estinzione si accelera paurosamente: secondo le previsioni nei prossimi trent’anni scompariranno un quarto dei mammiferi (1.130 specie), un decimo degli uccelli (1.138 specie) e non si sa quante specie di ragni utilissimi nella biosfera, dei quali però non conosciamo ancora il numero esatto (sappiamo solo che sono esseri molto delicati) o insetti di vario genere dei quali pochi capiscono l’importanza nella complicata rete della vita. Però basterebbe pensare che l’80 per cento delle piante sono impollinate da loro e che senza gli insetti non potremmo vivere nemmeno noi, come diceva Rachel Carson nel suo famoso libro Primavera silenziosa.«Quando muore l’ultimo animale di una specie», commenta Georgina Mace, un’altra ricercatrice del museo londinese «muoiono con lui tutte le trasformazioni che si sono accumulate in milioni di anni di evoluzione. Non dobbiamo lasciare che questo patrimonio di informazioni vada perduto». Al progetto si sono associati la Società di Zoologia e l’Università di Nottingham, il Centro australiano della Conservazione dei Geni Animali, il Centro ricerche per la biologia molecolare indiano e la Società Zoologica di San Diego, in California. Dunque, grazie al cielo, si associano gli americani. Finalmente anche loro che, come dice il settimanale New Scientist, sono quelli che inquinano di più – e che in realtà avrebbero le tecnologie più avanzate per combattere meglio il disastro del pianeta – almeno in parte aderiscono a questo salvataggio in extremis. Nessuno come gli americani spende tanti dollari, avvia nuove iniziative, studia le scienze di base quanto gli americani. Però loro – e pochi altri Paesi – non hanno voluto ratificare il protocollo di Kyoto (Bush ha detto che quel ”no” è servito a salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro) e questo è difficile da dimenticare, anche se è facile capire che le industrie pesanti, quelle che inquinano di più, condizionano pesantemente il governo. Sono invece le varie agenzie americane, o ditte, che quasi di nascosto, sia pure col beneplacito del governo, contribuiscono con milioni di dollari (magari 200 mila a testa) a coprire la spesa che è di un miliardo circa di dollari l’anno. Almeno 150-200 milioni vengono dal gruppo legato al Wwf. La maggior parte di questi dollari arriva dall’Usaid (US Government’s Agency for International Development), che già in passato si è preoccupato di salvaguardare la biodiversità, specie nel Madagascar, e ha protetto vari animali minacciati di estinzione. Gli esperti americani, e soprattutto i biologi dello Smithsonian Institute, hanno catalogato migliaia di specie e reso più facile il lavoro di chi vorrà riempire la moderna arca-freezer di Noè. Loro non si sono occupati solo di animali, ma anche delle piante. Comunque il lavoro più importante è quello degli inglesi, che addirittura pensano – come Alan Cooper, direttore del Centro Biomolecolare Henry Wellcome’ dell’Università di Oxford – «che alla fine questi DNA verranno usati per la clonazione. Personalmente credo che sia lecito pensare di far rinascere alcuni animali, quando saranno scomparsi». Sir Crispin Tickell non è di questa idea: «Il nostro progetto» dice «non è di rifare Jurassic Park. Il DNA sopravvive intatto per 100 anni. Creando le condizioni ottimali potremmo conservarlo più a lungo». Ma come sarà l’ambiente? Se lo chiede Brian Clark, dell’Università di Nottingham. E aggiunge che non saranno solo le specie simpatiche a essere messe in freezer per poi rinascere: «Insetti, serpenti, creature appiccicose e viscide sono importanti quanto le altre». Ci viene in mente che nei nuovi poemetti di Leopardi, quando si parla di pulci e zanzare, e si chiede a che cosa servano, lui risponde: «A esercitare la nostra pazienza». Quindi bisognerebbe suggerire ai biologi che quelle, nell’ansia di ricostruire un ambiente perduto, non le clonino al mondo: ne faremmo volentieri a meno, visto che abbiamo tanti modi per esercitare la nostra pazienza anche senza di loro. L’idea degli scienziati inglesi sarebbe quella di conservare il Dna in qualche zona più deserta di qualche deserto lassù sulla Luna, per mettere i preziosi patrimoni genetici al riparo da qualunque sciagura procurata dagli uomini. Ma, si è chiesto il Ken’s web journal, che cosa accadrà a quei poveri geni in caso di estinzione dell’umanità intera? Risposta di un altro frequentatore del sito: il primo patrimonio da mettere in frigorifero, forse, dovrebbe essere proprio il nostro......