Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 16 Mercoledì calendario

Ieri trippa, oggi devolution. Libero 16/11/2005. Parolina inglese dal significato evidente: devoluzione, cioè trasferimento di alcuni poteri centrali dello Stato all’autorità locale

Ieri trippa, oggi devolution. Libero 16/11/2005. Parolina inglese dal significato evidente: devoluzione, cioè trasferimento di alcuni poteri centrali dello Stato all’autorità locale. Scopo, aumentare l’autonomia decisionale della periferia. La approvazione della legge in Parlamento rende felice Umberto Bossi, fondatore della Lega, anche se egli è consapevole che le tribolazioni non sono finite. Poiché si tratta di materia costituzionale, il giudizio definitivo spetta al popolo: referendum confermativo, privo di quorum. Scoppierà il casino. Ma questo punto lo affronteremo dopo. Ora guardiamo da vicino il vincitore, il Senator, stanco e malato però mai rassegnato. Riconosciamogli almeno temperamento da lottatore e coraggio da re della foresta. Bossi ha 64 anni e ha condotto una vita squilibrata dall’infanzia. Ragazzo irrequieto e inconcludente, andava malvolentieri a scuola ed era insofferente alla prigione della casa; in giro per i prati fino a sera, su e giù dagli alberi, dentro e fuori dalle rogge, lucertole e grilli da catturare, bande di amici con cui svagarsi in giochi da villani, spacconate innocenti. L’Umberto adolescente cambia un po’. Non tanto. Non immagina il suo futuro, come tutti quelli che non hanno un passato né un presente. Incerto sugli studi da compiere, non ne compie alcuno. Tira a campare svogliatamente. I testi scolastici sono spiegazzati per eccesso di cattivo uso: li sfoglia e li risfoglia alla ricerca di una riga che meriti d’essere letta, e non la trova. Si annoia. Scaglia i volumi sul cassettone e se ne va per strada. Cammina lentamente, le mani in tasca, fischietta. Siede al bar e chiacchiera con altri sfaccendati, la sigaretta penzoloni all’angolo della bocca. Un’esistenza che promette niente di buono. Quel giovane cascherà. Non sarà così. A volte certi tipi senz’arte né parte, che danno l’impressione di smarrirsi in una voluta di fumo, oziano solo apparentemente; in realtà si preparano. Per loro l’insoddisfazione è una pedana di lancio. Bossi si è preparato a lungo. Un diploma strappato coi denti, quindi l’università: Medicina. Due lire raccattate alle feste rionali dell’Unità, salamelle e costolette, piccole rappresentanze, lavoretti saltuari. La biografia del Fondatore è ricca di dettagli insignificanti, utili però per comprendere la personalità dell’uomo più stravagante apparso sulla scena politica. La svolta negli anni Ottanta, quando lui ha superato i quaranta. La sua testa partorisce il leghismo ispirato al federalismo. Facile oggi fare il leghista. Basta sventolare una bandiera verde per assicurarsi una seggiola di consigliere comunale, poi di assessore, poi chissà. Ma gli esordi del Movimento furono duri. Bossi faceva proseliti nelle valli, notti trascorse in trattoria a dir male dei terroni; quella gente lì che si fa assistere e non produce, e noi a sgobbare e pagare tasse per mantenerli. il momento di piantarla. Se vogliamo salvare i nostri borghi dall’infezione meridionale dobbiamo conquistare l’autonomia. Si comincia dall’autonomia, quindi passetto dopo passetto si arriva alla secessione. Ce ne andremo con la Mitteleuropa, massì, con la Baviera e roba simile, sviluppati, orgogliosi delle tradizioni, del dialetto, del focolare. Attorno a lui, dopo mezzanotte, si formavano capannelli di tiratardi, sedotti dal linguaggio semplice e suggestivo di quel matto che veniva dalla pianura. Al gà rasòn; democristiani, comunisti, socialisti sono terroni; rimandiamoli a cà sua. Il programma della Lega prima maniera era questo, non molto raffinato, però faceva presa. Non a caso nel 1987 Bossi fu eletto in Parlamento (insieme con un tale, mi pare Leoni). Un certo stupore mi indusse a verificare di dove giungessero tanti voti. Spulciai fra i dati dei villaggi di montagna. In Valbrembana, in alcuni piccoli comuni la Lega Lombarda aveva avuto percentuali superiori al dieci per cento. Sta succedendo qualcosa che nessuno ha valutato, dissi al direttore del Corriere del tempo, mi pare Stille. Ascoltò distrattamente e mi liquidò: accennane a Neirotti. Neirotti era il vice, persona straordinaria e straordinariamente scettica. Rispose: scrivi trenta o quaranta righe. Ok, facciamo cinquanta. Ne scrissi sessanta e me ne tagliarono venti. Ma l’articolino uscì e fu notato. Tre anni più tardi, elezioni regionali, la Lega era attorno al 18 per cento in Lombardia. Si era mangiata un quarto dell’elettorato. Una presenza massiccia di politici improvvisati, povericristi animati dalla fede antiterrona e dalla presunzione degli ignoranti, teneva banco nell’austera aula del consiglio. Bossi alla ribalta. Le sue prime interviste brontolate e pasticciate, rare apparizioni in tivù. Immaginate le reazioni dei soliti politicamente corretti: chi è quel buzzurro, dio mio che rozzezza, la politica è degenerata nell’egoismo e nel particolarismo. La verità è che la politica era degenerata, questo sì, ma a causa delle tangenti e dei furti, non a causa dei nordisti. Transeat. Sta di fatto che la stella di Bossi, nonostante la sufficienza con cui era trattato dai politicanti, nonostante il disprezzo di cui era oggetto, nonostante tutto, brillava sempre di più. Nell’autunno del 1991 l’Umberto fu colpito da un infartino; preinfarto, precisò lui. E scese dal ring. Nel febbraio del ’92 ci risalì. Pallido, neanche una sigaretta, dieta ferrea. Non gli avevo mai parlato se non al telefono. Una sera lo incontro ad una cena in casa Savelli, l’editore di ”Porci con le ali” (Lidia Ravera, per intenderci). Sapeva stare a tavola, interloquiva con garbo. Siccome da pochi giorni mi ero trasferito dalla direzione dell’Europeo a quella dell’Indipendente, osai: scusi onorevole, le prometto attenzione, non appoggio, affronteremo con serietà i temi leghisti; lei però mi garantisca di dire ai suoi che sul mercato ci siamo anche noi. Annuì. Affare fatto. Umberto fu di parola. La domenica successiva durante un comizio si sbilanciò: tenete d’occhio l’Indipendente, il suo direttore non è leghista però non ha pregiudizi. Ci dedicherà articoli diversi dai soliti; insomma, sereni. Figuratevi le polemiche. Da quel momento la pubblicistica nazionale mi considerò iscritto d’ufficio al Carroccio. Ma il mio giornale, per un motivo o per l’altro, s’impennò e due anni più tardi vendeva 125 mila copie contro le iniziali 19 mila. La gratitudine mi impone di non dimenticarlo. Bossi ormai non lo fermava più nessuno. Aveva accanto a sé Miglio che lo consigliava e dava dignità culturale ai suoi impervi ragionamenti. Ogni tanto qualcuno nella Lega si montava la testa o semplicemente tentava di rialzarla, e lui, il Fondatore, lo espelleva senza indugiare. Litigò anche con Miglio. E fece in modo di allontanarlo. I commentatori ipotizzavano: a forza di cacciare i migliori, il Senator chiuderà bottega. La bottega invece è ancora aperta, e ne ha passate di cotte e di crude. Riassumo. Nel 1994 inizio 1995 il governo Berlusconi cascò per via del memorabile ribaltone, fra gli artefici, l’Umberto. Il quale, da amico divenne nemico di Silvio: mafioso, dittatore, viva Scalfaro, abbasso Berluscaz e i berluscones. Organizzò i gazebo. Le elezioni padane. I raduni lungo le rive del Po. Il governo e il parlamento padani. Minacciò e proclamò la secessione. Completamente impazzito. Nella circostanza di una festa della Lega, fui invitato sul palco a discutere con Massimo Fini e altri intellettuali. Dissi. Cari nordisti l’unica strada da imboccare è quella che riporta a Berlusconi. Senza di lui non vincerete mai, e lui senza di voi perderà sempre. Fui seppellito dai fischi dalla stessa gente che prima del ribaltone mi aveva osannato. Pensai. Qualsiasi stupidaggine faccia il Senator, il suo popolo gli va dietro. Se lui affermasse che Biancaneve era una prostituta, tutti gli crederebbero alla cieca. Difatti, non trascorsero molti anni, il suo sodalizio col Cavaliere tornò ad essere d’acciaio. E i padani non batterono ciglio. Anzi. Giù applausi. Oggi l’Umberto è considerato all’unanimità il più fedele alleato del premier. Neanche l’ultima micidiale malattia ha fiaccato la sua fiducia nel Presidente. Perché? La loro non è una storia d’amore, bensì di interesse. E i rapporti di interesse sono duraturi al contrario di quelli d’amore. Bossi a un dato momento ha capito: predico da lustri il federalismo, e non lo otterrò mai, predico da lustri la secessione, e non l’avrò mai, predico nel deserto. Va a finire che i padani si rompono le balle di promesse cadute nel vuoto e la Lega si slega. E io che faccio, il pensionato? Ha chiesto a Silvio la devolution in cambio del suo incondizionato sostegno. I due si sono scambiati una stretta di mano e il ”matrimonio” si è celebrato e consumato. Berlusconi è stato di parola, Bossi anche. La devolution viene approvata. Onore a chi l’ha voluta. Umberto radunerà presto i nordisti e dirà loro: dopo un ventennio di lotte, ecco qua, il decentramento non è più un sogno. E la Lega vivrà. Attenzione però. La sinistra non demorde e medita vendetta tremenda vendetta. Sta raccogliendo le firme per anticipare il referendum e far sì che si svolga prima delle politiche del 9 aprile. Se l’Unione ce la farà sarà una fregatura. La campagna elettorale infatti trascinerà in ogni dibattito la propaganda per il no e la devolution rischierà di essere bocciata nelle urne. Se così fosse, addio. Occorre sapere che la devolution è invisa al Sud e al Centro; e il Nord da solo non è in grado di far prevalere i sì. Quindi? Datevi una mossa, amici leghisti, amici di centrodestra. Se referendum deve essere, si fissi una data posteriore a quella delle consultazioni politiche. Qualora la Casa delle libertà si confermasse maggioranza, potrebbe spingere al traguardo la devolution. Altrimenti... Vittorio Feltri