Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 16 Mercoledì calendario

Il commercio di animali esotici per compagnia o diletto, noto in inglese come ”pet-trade”, rappresenta un’importante porzione del mercato mondiale, attualmente in continua crescita

Il commercio di animali esotici per compagnia o diletto, noto in inglese come ”pet-trade”, rappresenta un’importante porzione del mercato mondiale, attualmente in continua crescita. Operatori e compagnie legalmente autorizzati esportano ogni anno milioni di animali dai Paesi di origine verso Europa, America e soprattutto Giappone. Questo mercato è regolamentato da diverse normative internazionali, la più importante delle quali è senza dubbio la Cites o ”Convenzione di Washington”. L’approccio del grande pubblico verso questo tipo di mercato è piuttosto eterogeneo: se da un lato gli appassionati richiedono un sempre maggior numero (e varietà) di specie (dalle formiche all’iguana, dai pesci fino ai pipistrelli giganti), dall’altro molte organizzazioni conservazionistiche e animaliste si stanno battendo per controllare, se non abolire, questo mercato. Una minore attenzione rispetto a mammiferi e uccelli riscuotono invece gli animali cosiddetti ”inferiori”, cioè pesci, anfibi, rettili e molti invertebrati. Possedere un acquario o un terrario è considerata un’opportunità per abbellire il proprio appartamento, ma anche un modo per entrare maggiormente in contatto con una natura che si allontana sempre più dalle nostre città. Per questo, i grandi acquari aperti al pubblico attraggono ogni anno centinaia di migliaia di visitatori, svolgendo una notevole azione didattica a favore della protezione ambientale. Forse per questo vengono considerati con maggior indulgenza dei giardini zoologici. Questo perché di fronte a un acquario o a un terrario ben arredati si ha normalmente la sensazione che gli animali non soffrano, e anzi possano vivere come avviene in natura, spesso anche riproducendosi: merito probabilmente dell’uso delle intangibili bolle di vetro che vengono usate, al posto delle classiche e antiestetiche gabbie, per separarli dal pubblico. Senza entrare nel merito dell’approccio etico e animalista che spesso caratterizza le opposizioni alla cattività degli animali, è importante capire quale può essere l’impatto conservazionistico del commercio di pesci d’acquario e in che modo la loro cattura incida sulle popolazioni naturali. Per quanto riguarda l’acquariofilia (intesa come allevamento in cattività di pesci e altri organismi acquatici), occorre sottolineare una notevole differenza fra il commercio di animali d’acqua dolce e di quelli marini. Buona parte dei pesci d’acqua dolce, infatti, viene a tutt’oggi allevata in cattività in centri internazionali di esportazione. Il commercio di queste specie, concordano gli esperti, non incide significativamente sulle popolazioni naturali. Ben diversa è invece la situazione che coinvolge i pesci marini: pochissime specie sono attualmente riprodotte in cattività, e comunque non in misura tale da consentire un commercio svincolato dal prelievo in natura. Così, la quasi totalità dei pesci marini d’acquario proviene dagli habitat naturali, dove vengono prelevati da operatori e raccoglitori. Questo scottante problema, che mette a confronto la domanda del mercato acquariologico, la richiesta di sviluppo locale e le esigenze di conservazione degli ambienti marini e dei relativi organismi viventi, è stato oggetto di approfondite analisi pubblicate nel 2003 nel rapporto From Ocean to Aquarium: The Global Trade in Marine Ornamentals, edito dall’United Nations Environment Program del World Conservation Monitoring Center. Secondo quanto riportato dal volume, i coralli vivi raccolti annualmente ammontano a circa 12 milioni, mentre sono 20 milioni i pesci tropicali marini (di quasi 1.500 specie), pescati ogni anno per rimpinguare gli acquari europei e statunitensi. Il rapporto fornisce anche interessanti dati numerici ed economici sull’entità della vera Ricerca di Nemo, il film della Disney/Pixar che parla delle tribolazioni di un piccolo pesce pagliaccio. Proprio questa specie (appartenente ai generi Amphiprion o Premnas), insieme ai pesci damigella (generi Abudefduf, Chromis e Dascyllus), è ai primi posti della top-ten dei pesci marini più richiesti nel mondo. Inoltre il valore delle creature destinate agli acquari privati va dai 180 ai 300 milioni di dollari. Sono infine 9-10 milioni (e circa 500 specie) gli altri animali (per esempio, molluschi, gamberetti e anemoni) pescati per rifornire le vasche decorative di appassionati e i grandi acquari pubblici. A fronte di questa consistente domanda, che spesso viene vista come una possibilità di crescita e di guadagno per i Paesi in via di sviluppo, permane la necessità di favorire un sistema di pesca più rispettoso dell’ambiente. «Alcune comunità dell’Indonesia» spiega Colette Wabnitz, coautrice del rapporto, «per catturare i pesci usano ancora il cianuro di sodio insufflato in dosi subletali negli anfratti delle barriere coralline. Questo veleno stordisce i pesci permettendone una facile cattura, ma nel contempo uccide i delicatissimi coralli (costruttori delle barriere), nonché molte altre specie di pesci. Quelli catturati riescono in genere a sopravvivere all’esportazione, ma spesso muoiono per varie malattie provocate dall’avvelenamento poco dopo l’arrivo nella vasca dell’appassionato. Fortunatamente la presa di coscienza di questi pericoli sta portando alla progressiva scomparsa di questo sistema di cattura, con la conseguente diffusione di metodi assai meno cruenti». Secondo le opinioni dei biologi dell’Unep, l’industria degli acquari, se gestita correttamente, a medio-lungo termine può portare benefici alla conservazione delle barriere coralline in aree dove altre fonti di guadagno sono in genere limitate. Un kg di pesci tropicali marini provenienti dalle Maldive vale per esempio 500 dollari, contro un guadagno di soli 6 dollari per un’analoga quantità di esemplari comuni destinati al mercato alimentare. La raccolta dei coralli vivi frutta circa 7.000 dollari per tonnellata, mentre uno stesso quantitativo venduto per la produzione di materiale edile viene pagato solo 60 dollari. In totale lo Sri Lanka guadagna circa 5,6 milioni di dollari all’anno con l’esportazione di pesci corallini in 52 Paesi, e un indotto di circa 50.000 persone coinvolte nell’esportazione dei pesci tropicali marini.  stato peraltro dimostrato recentemente sulla rivista ”Conservation Biology” che un prelievo indiscriminato di massicci quantitativi di pesci per uso acquariofilo può facilmente provocare la scomparsa di popolazioni peculiari di specie già rare in natura. Per evitare dunque che il commercio si trasformi in una causa di estinzione (di specie o di popolazioni di pesci), gli esperti delle Nazioni Unite stanno promuovendo l’introduzione di regole più rigide sia nella pesca che nella vendita, arrivando a una certificazione delle operazioni di prelievo dei pesci d’acquario secondo uno standard elaborato dal Marine Aquarium Council: un marchio di qualità delle specie poste in commercio garantirà che il loro prelievo è stato effettuato con metodi non dannosi per l’ambiente. Tornando alla storia di Alla ricerca di Nemo, va sottolineato come un’acquariofilia sempre più globalizzata si porti dietro diversi problemi. Infatti il film si conclude con la liberazione di un piccolo pesce pagliaccio, gettato direttamente (attraverso... un wc!) in mare. Questa sequenza sembrerebbe avere una base reale, perché rilasci intenzionali di pesci da acquario sono stati certamente effettuati a più riprese nel corso degli ultimi anni. Secondo un’indagine condotta in Florida dalla Reef (un’associazione che si occupa dello studio e della conservazione degli organismi marini) sono ben 16 le specie non originarie di pesci marini che si trovano nelle coste sud-orientali degli Stati Uniti! Il rilascio e l’acclimatamento di specie marine dall’industria degli acquari stanno cominciando solo ora a essere riconosciuti come importanti problemi (e vere minacce ecologiche) in diverse parti del mondo, dall’Australia alla Nuova Zelanda fino agli Stati Uniti. Le specie esotiche (non solo di pesci) minacciano gli ecosistemi in molti modi. Possono per esempio competere con specie autoctone per le risorse, danneggiare gli habitat, essere vettori di malattie esotiche o, in casi particolari, attaccare direttamente le popolazioni. «Rilasciare specie non natie è come giocare a una roulette russa con gli ecosistemi marini tropicali» afferma Brice Semmens dell’Università di Washington, il biologo marino che ha coordinato la ricerca del Reef. Lo studio di Semmens ha messo in evidenza come le specie esotiche siano di origine acquariologica, e non derivino dal rilascio di acque di zavorra delle navi commerciali, come si pensava in precedenza. I pesci alieni più comuni sono Zebrasoma flavescens e Platax orbicularis, guarda caso particolarmente ricercati e allevati dagli acquariofili. Dunque, l’acquariofilia marina alimenta ancora un commercio decisamente pericoloso, specialmente dal punto di vista dell’impatto che può ricadere sulle popolazioni naturali. Come per molti altri tipi di commercio, diventa importante realizzare una regolamentazione efficace e procedere a un’opera di educazione, sia degli operatori che degli acquariofili. Gli appassionati di tutto il mondo devono infatti essere informati sugli effetti collaterali della loro passione e conoscere i pericoli connessi all’importazione di specie esotiche: è un passaggio cruciale per conservare la biodiversità, gli ecosistemi marini e anche le stesse specie particolarmente richieste dal mercato acquariologico.