MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2004, 16 novembre 2005
Quando guardiamo una foglia verde, non pensiamo mai che là dentro, da almeno 130 milioni di anni, operano silenziosamente le macchine più potenti e complesse della Terra, i motori a sole
Quando guardiamo una foglia verde, non pensiamo mai che là dentro, da almeno 130 milioni di anni, operano silenziosamente le macchine più potenti e complesse della Terra, i motori a sole. il processo di fotosintesi, e la sua invisibile, delicata azione rende possibile la vita della biosfera, perché il prodotto finale di scarto è l’ossigeno, che tutti gli animali respirano. La scienza ha decifrato il procedimento solo dal punto di vista teorico e non è ancora riuscita a copiarlo. « come se avessimo davanti una scatola di Lego» spiegava il fisico Meyer. «I pezzi sono lì, qualcuno è montato, ma l’assemblaggio completo deve ancora essere fatto». Sappiamo quasi tutto, ma sul piano pratico rifare quello che fa la natura è difficilissimo. Eppure gli assemblaggi artificiali di molecole fotosintetiche riuscirebbero non solo a utilizzare l’energia solare, riducendo la richiesta di petrolio (con i problemi che ne conseguono), ma contribuirebbero ad alleggerire un po’ l’ambiente dall’anidride carbonica, facendone zuccheri fondamentali per la vita. Le parti che catturano l’energia solare, chiamate centri di reazione fotochimica, lavorano dentro un insieme di proteine e clorofilla. Se il processo che la foglia verde ha messo a punto ci appare molto complicato, alla natura sembra invece semplicissimo e lo ripete quasi all’infinito. Si svolge dentro la cellula vegetale, nei cloroplasti, ossia nei granuli di clorofilla che vagano all’interno e misurano circa quattro millesimi di millimetro. Un millimetro quadrato di foglia ne può ospitare anche qualche centinaio, e tutti in azione. Questi granuli sono ”il bestiame” della cellula. Con i loro ”occhi” inimmaginabili seguono il sole: al mattino stanno alla finestra del plasma rivolta verso oriente, e piano piano si spostano finché la sera si radunano a quella che dà sul tramonto. Aspettano che i fotoni di luce colpiscano una molecola di clorofilla e che la danza degli elettroni incominci, tutta salti e cascatelle chimici, producendo energia e amidi. Alla fine, gli elettroni che sono andati perduti si riformano grazie alle molecole d’acqua, e l’ossigeno che è in più va nell’atmosfera. Ma il gioco non è facile: bisogna rispettare tempi, distanze, orientamenti, cariche, flussi e riflussi. L’amido fabbricato dai granuli di clorofilla nasce in forma di minuscoli dischetti, simili a bianche monetine che a poco a poco si ingrossano, perché nuovi strati vi si sovrappongono. Dopo una giornata di sole, la cellula vegetale è piena zeppa e durante la notte comincia un altro lavoro: le molecole vengono rotte per formare zucchero, che fluisce con la corrente del plasma attraverso i pori della cellula e passa nei vasi conduttori che lo portano dove si consuma e si accumula amido, due sostanze indispensabili alla crescita. Il naturalista Fritz Kahn, che aveva studiato per dodici lunghi anni i processi della natura, scriveva: «Dire che la cellula vegetale è una macchina che produce amido non è sbagliato, ma è un’ingiustizia verso di lei: sarebbe come definire l’uomo ”un essere che spala il carbone” e basta». In realtà la cellula fabbrica (grazie a processi che non conosciamo bene e che l’avvenire forse ci spiegherà) un’enorme quantità di materie che sarebbe troppo lungo elencare. Basta dire che il nucleo produce migliaia di geni che si disperdono in tutte le direzioni e forniscono alle cellule nascenti le molecole necessarie perché ognuna impianti la sua fabbrica d’amido. Ed è sempre lei che produce le sostanze con le quali si fa il legno e infine il fiore, più mille profumi diversi e sostanze attive che hanno dato il via alla farmacopea moderna. Tutto è prodotto da quella mucillagine trasparente che chiamiamo plasma e che alloggia i cloroplasti come in una morbida culla. La foglia tipica è fatta di quattro strati di cellule. Sopra ci sono quelli di rivestimento, trasparenti e sottili come il cellophane; poi le cellule dette a palizzata’ dove i granuli di clorofilla combinano acqua e anidride carbonica per fabbricare amido. Nel terzo strato abitano le cellule nutritizie, mentre l’epidermide inferiore, piena di valvoline che si aprono e si chiudono, fa due lavori: assorbe l’anidride carbonica e butta fuori il vapore acqueo. Una foglia dunque è un’intera fabbrica e, quando d’autunno camminiamo su quelle cadute, posiamo il piede su una fantastica macchina che sta disgregando uno per uno tutti i congegni di cui è fatta. La clorofilla ha scatenato uno dei più straordinari cambiamenti sulla Terra. L’atmosfera terrestre allora era fatta di metano, ammoniaca, idrogeno e anidride carbonica, forse eruttata dai vulcani. Non c’era ossigeno libero e senza l’ossigeno non ci saremmo neanche noi. Attraverso milioni di anni e la fusione di varie cellule verdi (non sempre uguali, perché spesso venivano di lontano e si erano sviluppate diversamente) sono nate le alghe. Molte sono rimaste in mare e altre, almeno così si pensava, hanno scelto di salire sulla terra. Invece devono essere stati i terremoti e i sollevamenti a portarle all’asciutto e alcune si sono adattate diventando licheni e poi muschi, mentre altre hanno trovato la forza di crescere perfino in qualche zona dell’Antartide: minuscole foreste alle quali il clima non consente di uscire allo scoperto e che si accontentano, per la fotosintesi, di un riflesso di luce. Piano piano, sul terreno più stabile, sono diventate piante verdi, ma senza fiori. Fare un fiore è un lavoro complicato ed è anche, come diceva l’autore di Uomo o materia, Ernst Lehrs, il Principio della Rinuncia, perché il fiore è «un organo morente» e la pianta per produrlo si debilita. C’è voluto del tempo e il primo fiore fossile che è stato ritrovato in Cina non era che un puntino. Quanta strada, fino all’orchidea. Le foglie sono gli esseri più alieni che possiamo immaginare. Vivono con noi e non ne sappiamo quasi nulla. Le crediamo cieche, immobili e invece durante l’arco della giornata si spostano lievemente in modo da seguire il cambiamento di posizione della Terra rispetto al Sole, e se mettiamo un germoglio in una caverna buia si insinuerà nella più piccola fessura trovando la luce. Dunque vede e si muove, sia pure con una lentezza che ce lo fa apparire fermo. E quale apparato nervoso fa richiudere su se stessa le foglie della Mimosa pudica? Grazie alle riprese filmate di cui oramai disponiamo e che possiamo accelerare, sappiamo con quale ferocia un ficus strangolatore dalle belle foglie lucide soffochi un’altra pianta. Un rovo colonizza l’ambiente, lanciando steli esploratori che ondeggiano finché trovano qualcosa da afferrare. Quando si posano sul terreno emettono radici e si installano. Molti alberi possiedono radici e radicette in tale numero che, sommate, raggiungerebbero lunghezze di centinaia di metri. Abbiamo copiato spirali, cavicchi, chiodi, e i puzzle che le foglie l’una accanto all’altra formano quando si aprono al sole sui cespugli. Ma non sappiamo come vedono, come ascoltano e come comunicano tra loro. E quasi nessuno pensa che l’acqua, alla foglia, serve solo se gli arriva da dentro, nutrendola attraverso le nervature. Se resta sopra la lamina, è inutilizzabile e può anche farla marcire. Di che cosa sono fatte queste foglie verdi dalle innumerevoli e bellissime forme, che d’autunno splendono di giallo e di rosso? Ogni anno, nel mondo, quasi due miliardi di tonnellate di clorofilla vengono degradati in residui incolori, a parte i 200 milioni di tonnellate di carotenoidi che danno il colore dell’oro. L’avanzata dell’autunno vista da un satellite è uno spettacolo fantastico: varrebbe la pena che ce lo offrissero in Tv. Dal Polo ai tropici, l’onda che divora il verde attraversa l’Europa occidentale a 60/70 km al giorno. l’autunno galoppa scomponendo nel processo di senescenza milioni di tonnellate di clorofilla e, mentre l’ondata avanza, il verde si muta in giallo infuocato là dove le lamine delle latifoglie, oltre che di giallo, si accendono di rosso per le antocianine derivate dagli zuccheri, e d’ottobre, in tre sole settimane, il mutamento dilaga fino ai tropici. Nelle regioni subartiche e montane, dove predominano le conifere, il terreno è maculato di larghe chiazze che restano verdi. Piante come il pino, l’abete, il ginepro, l’ippocastano, l’alloro, la magnolia, l’agrifoglio e altre ancora si tengono stretta la loro clorofilla e perdono solo un po’ di foglie per rinnovarle in seguito, ma non permettono ai carotenoidi di prendere il sopravvento. Così continuano a compiere, sia pure in modo ridotto a causa delle insufficienti ore di luce, quella reazione biologica che è la più importante che esista sulla Terra, la fotosintesi, ossia l’anello di congiunzione tra la materia inorganica e quella organica. Quando la macchina si smonta, i vari componenti vanno a concimare il terreno. Uno studio recente fatto dai ricercatori inglesi della Sheffield University ha accertato che le foglie, prima di cadere, lasciano insegnamenti chimici a quelle che nasceranno per adattarle all’ambiente. «Come avvenga questa comunicazione» spiega Janice A. Lake, responsabile dello studio, «è un mistero». Finora sapevamo soltanto che nelle foglie prossime a morire, come in altri tessuti viventi, si accumulano energie che in medicina sono state utilizzate e chiamate biostimoline. un pacchetto di istruzioni da foglia anziana a foglia nuova. Poi, nel picciolo, si forma un minuscolo tappo di sughero e la linfa non l’alimenta più: così il vento la può portare via. Il grande mutamento accade di solito nell’autunno avanzato. Ma qualche pianta comincia il lavoro prima. Cambiare colore e scegliere una divisa più brillante, secondo alcuni studiosi, potrebbe perfino essere una strategia di lotta contro gli insetti nocivi. Il mondo vegetale ha ancora molte cose da insegnarci. Diceva Einstein che abbiamo appena aperto il libro della natura, ma siamo riusciti a decifrarne appena una riga. Oggi, ritroviamo nella crescita e nello sviluppo delle piante addirittura i nostri criteri matematici. La Serie di Fibonacci, un mercante del XIII secolo, è una successione di numeri che s’incontra all’infinito in natura (ogni cifra risulta dalla somma delle due che la precedono nella serie). La troviamo nella disposizione delle squame di una pigna, nei capolini delle margherite, nei cavolfiori, nei girasoli dove i semi sono disposti in spirali a senso contrario. La matematica, sosteneva Goethe, è poesia e una foglia di cedrina forse è un’equazione profumata.