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 2005  novembre 13 Domenica calendario

Lavoro? No grazie, meglio lavavetri. Libero 13/11/2005. Abbiamo offerto un lavoro a 16 lavavetri extracomunitari, tutti quelli incontrati battendo per due giorni Milano in lungo e in largo

Lavoro? No grazie, meglio lavavetri. Libero 13/11/2005. Abbiamo offerto un lavoro a 16 lavavetri extracomunitari, tutti quelli incontrati battendo per due giorni Milano in lungo e in largo. Un lavoro vero, da magazziniere, messo a disposizione dalla Rhea srl, tipica azienda della ricca Brianza specializzata in puericoltura. O meglio dal titolare Franco Crisi, ex emigrante sbarcato in Svizzera e in Germania da ”terrone ” negli anni ’60. Purtroppo neanche uno degli interpellati ha accettato la nostra offerta. Sfatando così il luogo comune dell’emigrante disperato, che importuna la gente ai semafori solo perché non ha altri mezzi. L’esperimento può inoltre indicare una risposta indiretta sulle reali motivazioni della protesta degli immigrati che scuote la Francia. «Capo, capo, tu aiuta, io pulire...». La nostra discesa nel girone dei lavavetri comincia con una voce e una faccia conosciute. Quella di Moustafà, maghrebino di Casablanca, anonimo per scelta, una ventina d’anni al massimo. lui che ci troviamo di fronte da mesi, sulla strada per Libero, al semaforo tra via Lunigiana e Melchiorre Gioia. L’abbiamo in memoria come il trabocchetto di un videogioco. Moustafà e il suo connazionale Mohammed (nome fittizio) lavorano in coppia e sono tutt’altro che timidi. Non domandano il permesso per metter mano al tuo vetro, e se non sei lesto a spostarti o non lasci uno spazio preventivo fra te e loro, è un attimo: comincia l’effetto shampoo sul parabrezza e il concerto dei clacson nell’attesa di qualche moneta. MILLE EURO AL MESE Ma stamattina per Moustafà sarà un giorno speciale. Invece che monetine abbiamo deciso di offrirgli un lavoro da 1.100 euro al mese. L’idea è nata sulla scia delle polemiche per l’Ordinanza con cui Cofferati ha imposto un giro di vite nei confronti dei lavavetri bolognesi, assurti a simbolo della microillegalità diffusa. La sinistra è insorta, accusandolo di prendersela coi più deboli: non i membri di un racket organizzato che sequestra pezzi di territorio, bensì gente alla fame. Insomma, il lavavetri quale emblema del popolo degli esclusi. Senonché la pratica è un filo più complessa. Il primo passo è stato contattare un imprenditore scevro da pregiudizi. Il fondatore del gruppo Rhea-Technobebè, sedi a Mariano Comense (Brianza comasca)e a Galatone (Lecce), dove si producono ciucciotti, vasini, biberon. Crisi, smentendo un bizzarro cognome, le ha create dal nulla. E pensare che proprio il sciur Franco, come lo chiamano malgrado l’origine pugliese, nel 1960 dovette emigrare per anni all’estero, facendo lo scaricatore di bidoni d’olio a Berna mentre di sera studiava da cameriere. L’inizio della sua parabola non differiva granché da quella di un attuale immigrato. Magari allora qualcuno si fosse materializzato per la strada a offrirgli un buon posto, come per magia. Ora, su suo mandato, a realizzare l’antico sogno proviamo noi. «Farai il magazziniere alla Rhea, questo è il telefono, se vuoi ti prestiamo il cellulare per chiamare ». Roba da terno al lotto per uno che vive d’espedienti. O che tale sembra dall’esterno. Perché appena fatta la proposta si scoprono gli altarini. La prima obiezione riguarda lo stipendio. A Moustafà pare scarso: «Quando io muratore dato 1.500 euro mese». Ovviamente in nero, visto che non possiede documenti né permesso di soggiorno. Se gli chiediamo come mai ha smesso, la risposta è quasi sincera: «Troppo stanco, malato». Inutile dire che scoppia di salute e ha un manone da boxeur. All’incrocio di Gioia tuttavia non servono: ci si guadagna una quindicina di euro in qualche ora senza fatica, aspettando l’obolo su una panchina del tram. Molti automobilisti la considerano una tassa da pagare in anticipo, per evitare ritorsioni dal lavavetri molesto. Strappato il minimo per mangiare e per un affitto diviso in 5 nel bilocale di Brugherio, Moustafà non ha altro in agenda. Meglio non pensare a cosa dedichi le proprie energie, sebbene la percentuale di clandestini che affollano le carceri suggerisce uno spunto. Al pari dell’attaccamento di lui e del collega allo status di irregolari. Secondo la Bossi-Fini un clandestino, per accettare un impiego in regola in Italia, deve prima farsi rimpatriare nel suo Paese d’origine segnalandosi all’ufficio stranieri in Questura. Per poi attendere l’invio del contratto di chiamata del datore di lavoro da consegnare all’ambasciata, in modo da ottenere un permesso di soggiorno. Niente di più lontano dai piani del nostro lavavetri tipo, che ascolta con ironia i dettagli sulle possibilità di sanare la sua situazione. L’ostacolo non è economico né logistico. Gli rammentiamo che il rimpatrio lo paga lo Stato, e il biglietto di ritorno lo anticiperebbe Rhea sullo stipendio. Il Marocco dista un paio d’ore. Meno del viaggio quotidiano fra Brugherio e Gioia, fermata peraltro molto ambita tanto da dover esser ceduta a giorni alterni a un’altra banda di lavavetri. L’indomani, infatti, a creare scompiglio sono 3 altri marocchini di Sulabaniyah, cui si uniscono 2 compagni scesi dalla circolare, rigorosamente a sbafo. Si sentono padroni della carreggiata, teatro di assalti concentrici. Ma basta la parola lavoro per metterli in imbarazzo. FACILI GUADAGNI Khazili e Abdelrahman mettono le mani avanti col tema della clandestinità, impedendoci di spiegargli come aggirarla. Gli altri ascoltano in silenzio, e al tentativo di coinvolgerli si scherniscono dietro gesti eloquenti. Quanto all’ennesimo Mohammed, è l’unico che accetta una delle decine di foglietti fotocopiati ad hoc col numero di Crisi. In realtà è un trucco. Sostiene di avere documenti in regola, ma il giorno dopo fa chiamare un presunto cugino regolare in cerca di un posto, Rahidi. Strategie di rifiuto meno raffinate collezioniamo invece fra i lavavetri dell’est. Al semaforo di viale Marche angolo Veglia incontriamo Carmina, una mezza Rom dai tratti tzigani. E lei, col massimo candore, confessa di non aspirare a un lavoro. Nonostante dorma in roulotte a Pero, le manchi il marito e mendichi 50 centesimi per una bombola del gas, ci svela d’aver già respinto un altro benefattore fermatosi a offrirle un lavoretto tempo fa. Salvo poi contraddirsi giurando d’aver invano cercato impiego anche in parrocchia. Pochi minuti e la raggiungono altri due giovani rumeni, Mirela e Mario. Non avranno da mangiare, ma il cellulare ultimo modello è d’ordinanza. Acconsentono a darci i numeri, pregando di chiamarli solo se troviamo un posto in nero. Eccetto in agricoltura, perché «raccolta anguria pomodoro, no buono, pochi mesi ». Intanto dormono sulle panchine, come la connazionale Angela, che abborda i finestrini in piazza di Porta Vigentina e nemmeno replica alle nostre ”avances ”. Uno scatto la immortala mentre arriva il suo esattore, George, a riscuotere davanti a noi il ricavato giornaliero. Cifra modesta paragonata a quella dei due campioni di incasso, il rumeno Gicou in Zara angolo Stelvio, e l’albanese Astrit in viale Sondrio: il loro aspetto malandato li agevola. Entrambi fingono di ignorare la lingua, a partire dal termine lavoro, tradotto a gesti, mentre accennano a fantomatici impedimenti fisici. L’ultima carta dell’assunzione ce la giochiamo in metrò. Chi non ha mai incontrato sui treni della sotterranea un questuante con la fisarmonica o col violino, autori di un baccano d’inferno lungo un paio di stazioni. Ebbene, in una giornata l’anziano Grazian o il sedicenne Cyprian (’spinto ”dal padre) racimolano circa 40 euro a testa. Come dargli torto se poi rifuggono lavoro e scuola?Tirando le fila una nota positiva comunque emerge, l’unica. Avrete notato che tra i lavavetri milanesi non si trovano neri africani manco per sbaglio. La ragione è che all’accatto preferiscono il commercio di oggettini, dimostrando che ci si può dar da fare anche senza prevaricare. La controprova la fornisce Crisi. Fra i suoi dipendenti stranieri, i neri sono i più affidabili e stakanovisti. Forse è una fortuna che nessun lavavetri abbia finora accettato la sua offerta. Francesco Ruggeri