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 2005  novembre 13 Domenica calendario

Orwell. La Repubblica 13/11/2005. Il cinema, come sempre, l´aveva già detto. «La staremo a sentire» prometteva Harrison Ford, professione intercettatore telefonico, nella scena finale de La conversazione

Orwell. La Repubblica 13/11/2005. Il cinema, come sempre, l´aveva già detto. «La staremo a sentire» prometteva Harrison Ford, professione intercettatore telefonico, nella scena finale de La conversazione. Promessa mantenuta: ci ascoltano, ci spiano, ci controllano, ogni giorno, ogni ora. Ricchi e poveri, umili e potenti, massaie e manager, ognuno di noi, come ha imparato anche Antonio Fazio, è a portata del Grande Orecchio. Sempre più a tappeto e da parte di orecchie e occhi sempre più numerosi. In fondo, quando Francis Ford Coppola girava La conversazione, nel 1974, si pedinava mascherati in un impermeabile, si controllava la corrispondenza aprendo le lettere con il vapore, si intercettavano le conversazioni piazzando una cimice nella macchina e poi le si restava incollati, armeggiando con una valigetta e sperando che non fosse troppo veloce, perché oltre i cento metri l´ascolto si perdeva. Un´attività, per così dire, personalizzata. Oggi si può fare tutto, comodamente, dall´ufficio: ascoltare le telefonate che rimbalzano dal satellite, controllare le e-mail che passano attraverso i server, seguire gli spostamenti con la traccia del telefonino, occhieggiare chi compare su qualche tv a circuito chiuso. Si può fare, in tempo reale, molto di più: conoscere i nostri gusti, le nostre abitudini, i nostri comportamenti, anche quando non ci sono testimoni. Perché siamo circondati da database che ci hanno schedato e catalogato. Banche, assicurazioni, supermercati registrano quello che facciamo sui loro file e se lo tengono stretto, perché gli servirà ad orientare i nostri consumi. Ognuno di loro possiede una fetta di noi e la lotta quotidiana del Garante della privacy è quella di renderla più piccola possibile, di tenerle separate e distinte, di imporre che vengano cancellate al più presto, per impedire che di noi si faccia un profilo completo, che ci renda riconoscibili e prevedibili. Ma quei dati esistono, possono essere sommati e incrociati. Da un hacker particolarmente abile, ad esempio. O, più semplicemente, dalla polizia. Nel rispetto della legge, naturalmente, e dopo aver convinto un magistrato (e i Servizi? «Loro, per legge, non possono proprio - risponde un poliziotto - ma i servizi, come lei sa, sono segreti e chi sa cosa fanno?»).  la stessa tecnologia che ci ha tanto semplificato la vita a renderci così nudi ad occhi estranei. Ci svegliamo la mattina e diamo un´occhiata alla posta sul computer: tutta intercettabile sul server, esattamente come una telefonata. Chiamiamo un taxi: e la cooperativa di radiotaxi registrerà il nostro percorso. Se, invece, saliamo in macchina e andiamo in una Ztl in centro o in autostrada, sarà il chip del telepass a segnalare dove siamo. D´altra parte, basta seguire sul satellite la traccia del telefonino, a meno che non lo abbiamo spento (che, per oscurare il nostro normale telefonino, occorra togliere anche la batteria, mi assicurano, è una leggenda metropolitana). Ci avviamo verso l´ufficio e una telecamera a circuito chiuso ci riprende: presto, se seguiremo l´esempio americano, la telecamera potrà incorporare i nostri dati biometrici, riconoscerci e segnalare il nostro passaggio. In ufficio, navighiamo un po´ con il computer. Tutti quei simpatici siti che hanno memorizzato la nostra password e non ce la chiedono più, hanno piazzato un cookie sul nostro pc, ci riconoscono e registrano cosa andiamo a vedere e per quanto tempo. A mezzogiorno, facciamo un po´ di shopping: paghiamo con la carta di credito, naturalmente, che rende trasparenti i nostri acquisti. Di nuovo in ufficio: a fine orario, cancelliamo accuratamente e-mail sgradite o file di cui non vogliamo più sentir parlare. Via, un clic per metterle nel cestino. Poi, svuotare il cestino. Tutto cancellato? Neanche per idea: «Niente, se non si usa un software specifico, scompare davvero dall´hard disk» assicura l´esperto. Verso casa, sosta al supermercato: alla cassa, tiriamo fuori la tessera premi e paghiamo con il bancomat, quanto basta per mettere nome e cognome sui nostri acquisti. Infine, in poltrona, ci scegliamo un film in pay per view, consegnando agli archivi cosa abbiamo visto quella sera. Insomma, non ci possiamo più nascondere. Questo non vuole dire che ci trovino. La tecnologia ha i suoi buchi: «La telecamera, di solito, non funziona. Se funziona, non registra. Se funziona e registra, l´immagine è sfocata. In vent´anni, non mi sono mai servite a nulla», confessa il poliziotto. Soprattutto, la tecnologia è talmente potente, raccoglie talmente tanti dati da annegare i suoi committenti. I centri di ascolto telefonici funzionano automaticamente, programmati per reagire a parole-chiave, con il risultato di far scattare l´allarme anche quando "bomba" si riferisce all´ultimo gol di Trezeguet. I nuovi software consentono di isolare le parole-chiave, quando sono nel contesto adatto: bomba più aereo. Ma l´oceano telefonico è una Babele, dove le cose importanti possono essere nel siciliano stretto di Corleone o in un dialetto eritreo. Il punto è che intercettare non significa ascoltare. Milioni di italiani vengono intercettati: ma ci vorrebbero milioni di persone che li ascoltano, trascrivono le telefonate, le interpretano. il buco attraverso cui sono passati gli attentatori dell´11 settembre. La regola - anche con la tecnologia - è quella di sempre: la difesa dell´anonimato è nella folla. La telecamera che, allo stadio, perlustra la curva è tecnicamente in grado di leggere l´ora sul mio orologio. Deve, però, decidere di farlo. Deve, cioè, puntare la mia faccia. Se mi punta, direbbe Harrison Ford, «la staremo a sentire». Maurizio Ricci