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 2005  novembre 15 Martedì calendario

Tra i molti ostacoli che Alfred Kinsey incontrò ci fu anche il fatto di essere uno zoologo, quindi agli occhi dei suoi colleghi accademici non abilitato a occuparsi della sessualità dell’uomo

Tra i molti ostacoli che Alfred Kinsey incontrò ci fu anche il fatto di essere uno zoologo, quindi agli occhi dei suoi colleghi accademici non abilitato a occuparsi della sessualità dell’uomo. Ma i dati che aveva raccolto erano scientificamente validi? Erano rappresentativi anche della situazione italiana? E sono ancora attuali? Lo abbiamo chiesto a due sessuologi: Willy Pasini, di cui è appena uscito il libro La vita a due (Mondadori), e Roberta Giommi, direttore dell’Istituto internazionale di sessuologia di Firenze. Per la Giommi, la pubblicazione del Kinsey Report «fu una vera rivoluzione. Perché parlare di argomenti come la masturbazione, la sessualità femminile, quella dei bambini significava toglier loro quella cappa di silenzio e di anormalità che c’era stata fino ad allora. Dichiarare normali comportamenti che fino a quel momento non lo erano stati per l’opinione pubblica significava un grande cambiamento. Cioè per esempio dichiarare normale l’omosessualità significò in un certo modo smorzare la virulenza e l’aggressività di tutti quelli che la combattevano. In qualche modo la si rendeva normale statisticamente». Anche Pasini parla di impatto ”rivoluzionario”, perché prima di Kinsey sul sesso si conosceva solo «quello che l’uomo, inteso come maschio, raccontava», ma la pubblicazione fu anche un modo «per far arrivare un argomento come il comportamento sessuale sotto gli occhi dei politici e delle autorità, molto prima che al pubblico». Ma erano dati che avevano una qualche attendibilità scientifica? Willy Pasini: «Sì! Si tratta di un’inchiesta statistica che aveva il suo fondamento scientifico, fu condotta su 5.000 uomini e altrettante donne. Aprì la strada alla sessualità studiata in laboratorio, quella delle ricerche di William Masters e Virginia Johnson (sul finire degli anni 60). Kinsey non fonda la sessuologia: c’erano già stati gli studi dei criminologi che indagarono i crimini sessuali. Freud, che aveva scoperto la sessualità nella mente e che aveva trovato il sesso anche nel bambino, fino ad allora considerato un essere angelicato. Poi in Italia c’erano anche gli studi dei dermatologi, che parlavano di sesso studiando le conseguenze sulla pelle delle malattie veneree. Kinsey fu indubbiamente una tappa importante, la tappa delle statistiche». Roberta Giommi: «Questo è difficile da dire. Subito dopo la pubblicazione dei rapporti Kinsey, si disse che i dati erano stati manipolati», facendo riferimento anche all’omosessualità di Kinsey (come se con i numeri volesse giustificare se stesso), «comunque, il Kinsey Report fu molto interessante dal punto di vista culturale, proprio perché spinse tutti verso una diversa opinione su quello che si credeva fosse la sessualità». La dottoressa Giommi comunque approva il metodo delle interviste dal vivo (alla Kinsey), perché esiste «quando si parla di sesso e sessualità, una certa reticenza dei soggetti: in questo senso il questionario statistico, se non predisposto accuratamente e con tutti gli strumenti che ne garantiscano la scientificità, può dare risultati dubbi. Per questo si cerca di utilizzare più spesso l’intervista, perché parlando con l’intervistato, il ricercatore può fare dei controlli incrociati che alla fine svelano la verità». Per quanto riguarda la validità dei dati Kinsey anche per la situazione italiana di quegli anni, i due studiosi hanno pareri differenti. Perentorio il «sì» di Willy Pasini, più sfumata l’opinione della Giommi, secondo cui esiste «il problema della traslazione dei dati. Anche oggi, quando dobbiamo portare in Italia questionari elaborati negli Stati Uniti, dobbiamo sempre fare una specie di traduzione che li renda adatti alla nostra cultura». Escluso invece che i dati del Report possano avere una qualche attualità. Pasini: «Assolutamente no. La sessualità è molto cambiata da allora».