Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 15 Martedì calendario

Bambole da truccare e pettinare e calcio balilla. Sono i giochi che le bambine e i bambini italiani vorrebbero trovare sotto l’albero questo Natale

Bambole da truccare e pettinare e calcio balilla. Sono i giochi che le bambine e i bambini italiani vorrebbero trovare sotto l’albero questo Natale. Alla faccia dei tanto vituperati videogame che annebbiano la mente, imprigionano la fantasia e isolano dalla realtà. Insomma, i nostri figli, nonostante pubblicità, televisione, mode, sanno ancora divertirsi, anzi, preferiscono divertirsi con i cari vecchi giochi che per generazioni sono passati nelle case degli italiani. A rivelarlo è la Duracell European Toy Survey 2004, la ricerca internazionale sui giocattoli che offre per il quinto anno consecutivo un’analisi dettagliata dell’universo ludico infantile. «Il gioco è assolutamente indispensabile perché sviluppa l’intelligenza, la coordinazione mentale e la psicomotricità e facilita le relazioni interpersonali», spiega il professor Giovanni Bollea, neuropsichiatra infantile. «Non solo, è essenziale che il bambino, almeno fino alla fine della scuola media, giochi il più possibile con il padre e che insieme inventino e costruiscano giocattoli». «Il gioco è una palestra di vita: il bambino che non può giocare è privato di un aspetto fondamentale per il suo sviluppo psicologico e la sua capacità di socializzazione», aggiunge Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, scrittrice e presidente della fondazione ”Movimento bambino”. «E il giocattolo è lo strumento che lo aiuta a giocare, un supporto all’immaginazione, uno stimolo per le sue abilità». I migliori? «Quelli che consentono di esplorare, comunicare, costruire, demolire, manipolare, disegnare, recitare, cantare, suonare». Ci fornisce gli esempi il professor Bollea: «I giochi che consiglio sono quelli ”di base”: la palla, le bambole, gli animali, le automobili, le costruzioni, i colori, gli arnesi da cucina...». Al sondaggio Duracell, condotto dalla società di ricerca nel mercato dei giocattoli Npd Eurotoys, hanno risposto 900 bambini tra i 6 e i 10 anni e 900 genitori provenienti da nove Paesi europei. Ai piccoli è stato affidato anche il compito di provare alcuni giocattoli che verranno lanciati nel periodo natalizio e di stilare la classifica dei più desiderati. Eccola: al primo posto My Model di Zapf, mezzo busto di bambola con l’occorrente per pettinarla e truccarla; al secondo Ma Palette Beauté di Smoby, un kit con oltre 30 accessori per il make up; al terzo l’intramontabile calcio balilla. Poco è cambiato rispetto alla classifica 2002 che vedeva in testa per i maschi il Football Championship di Lego (mini stadio dove calciatori realizzati con le costruzioni si sfidano in una partita di calcio) e la Table Top Candy Floss (macchina per fare lo zucchero filato) e It’s a Girl Thing (set di trucchi per bambina) per le femmine. «Le scelte dei bambini non sono così sorprendenti come potrebbe sembrare. I giochi che desiderano sono quelli che li avvicinano ai genitori, che permettono loro di condividere la realtà dei papà e delle mamme. Insomma, che li fanno sentire grandi», commenta la Parsi.  la tradizione che vince sulla tecnologia? Non proprio. Basta scorrere la classifica per trovare videogiochi sempre più sofisticati, con grafiche accattivanti, robot che sono piccoli gioielli tecnologici in grado di camminare, sedersi e portare oggetti, automobili ed elicotteri che si muovono come fossero veri. E dando un’occhiata al resto della ricerca scopriamo che se la maggior parte dei bambini (35%) ama trascorrere il tempo libero giocando con i giocattoli, il 23% di quelli italiani non può fare a meno dei videogame (contro una media europea del 16%). Un dato positivo però sembra emergere: solo l’11% dei bambini dice di passare il tempo davanti alla televisione, rispetto al 44% dello scorso anno e al 41% del 2002. « una buona notizia, anche se la televisione è stata sostituita dai videogame. Ma tra l’isolamento della tv e quello del videogioco è preferibile senz’altro quest’ultimo. I videogame impegnano la mente in modo più costruttivo e ammettono la partecipazione di un genitore», dice Bollea. Nelle preferenze dei bambini seguono gli amici (11%), i giochi all’aria aperta (5%), lo sport (4%) e in ultima posizione la lettura (2%). «Bambini sedentari, con pochi amici e nessun libro. una classifica sconfortante, che andrebbe raccontata alla rovescia», conclude la Parsi. «La città ha dimenticato i bambini, ha occupato tutti gli spazi che un tempo erano per loro, come i cortili, e così prevale il gioco casalingo», dice Bollea. «Per non parlare della lettura, elemento indispensabile per sviluppare la creatività infantile e la futura cultura dell’individuo. «Ma purtroppo genitori e nonni non hanno più tempo per leggere le favole ai loro bimbi». In fatto di giocattoli, il 92% dei genitori italiani si lascia influenzare dalle richieste dei figli: «Bisognerebbe cercare di negoziare di più e scegliere insieme il gioco che soddisfi entrambi. E l’importante è non esagerare con il numero di giocattoli. Al bambino va dato l’essenziale e non troppo di più. Altrimenti il rischio è la noia dell’abbondanza», conclude Bollea. Per un recupero della tradizione in tema di giochi è Giorgio Reali, fondatore dell’Accademia del gioco dimenticato e autore, insieme a Niccolò Barbiero, del libro Il giardino dei giochi dimenticati. Ragioniere e pubblicista, da anni gira l’Italia con una valigia piena di tappi di bottiglia, elastici, biglie, sassi, monete, per giocare a tollini, cacciabiglie, lippa, catapulta, schioppetto e saltafosso. E per restituire ai genitori smemorati e ai bambini curiosi i giochi che i padri e i nonni facevano da piccoli, per strada, in giardino o in campagna, quando non c’erano ancora computer, playstation e gameboy, ma solo palloni, corde, gessetti per disegnare in terra una campana e straccetti per sfidarsi a rubabandiera. «La fantasia, materia prima e risorsa infinita di ogni bambino, costi bassissimi o quasi nulli, e l’aiuto dei genitori sono ingredienti sufficienti per giocare e soddisfare una delle esigenze primarie dell’uomo: il divertimento». Tra i progetti realizzati da Reali, le ludoclassi e i corsi di ludopapà. «Si tratta di seminari all’interno delle scuole per insegnare ai bambini i vecchi giochi e aiutarli a costruirne di nuovi da soli, e corsi per padri che hanno voglia di giocare con i loro figli. Sono iniziative che i genitori apprezzano, dopo anni di consumismo elettronico sfrenato», conclude Reali. Classico o supertecnologico che sia, dietro alla creazione di un gioco c’è sempre un bambino. Nel film americano Big un Tom Hanks con il corpo di un trentenne e la mente di un undicenne fa una strepitosa carriera in un’industria di giocattoli. Come a dire che nessuno conosce meglio i gusti di una clientela dodicenne di un manager con l’età mentale del cliente. Nella realtà non è proprio così: non ci sono bambini ai vertici della Mattel, ma il loro contributo per il successo delle aziende produttrici di giocattoli è indispensabile. Ce lo spiegano Giovanni Clementoni, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, e Beatrice Broggi, responsabile dell’ufficio ricerca e sviluppo di Giochi Preziosi, ai quali abbiamo chiesto come nasce un giocattolo. «L’idea di un gioco, monitoraggio del mercato a parte, nasce da un ingegno creativo. Una volta emersa l’intuizione dell’inventore, i responsabili del prodotto verificano la sua ”giocabilità”, perché a ispirazioni apparentemente brillanti possono non corrispondere giochi commerciabili», dice Giovanni Clementoni. E i bambini quando vengono coinvolti? «In diverse fasi», spiega Beatrice Broggi. «Innanzi tutto viene sottoposto a un gruppo di giovanissimi un prototipo preliminare del gioco, che può essere anche solo una tavola o un disegno. A seconda di come reagiscono capiamo cosa funziona e cosa no. Sulla base di queste indicazioni si costruisce un altro prototipo, più vicino a quello definitivo e lo si ripropone ai piccoli giudici. Le nuove reazioni vengono analizzate dagli esperti dell’azienda e da psicologi dell’età evolutiva. Infine i bambini intervengono nella scelta della confezione del gioco e della sua pubblicizzazione». Sono cambiati i gusti dei bambini? «Sì e no. I nostri figli sono più esigenti perché iperstimolati. Quindi si cerca di fare più attenzione alla grafica, ai colori, ai materiali, ai suoni. Per esempio, il nostro Sapientino piace sempre ma non è certo come quello di un tempo», dice Clementoni. «Ci sono settori che non conoscono crisi come quelli delle bambole e delle piste per le macchine. Ma alle classiche Barbie le bambine preferiscono le più attuali Bratz, che riproducono teen-ager alla moda in miniatura, e le nuove automobiline si muovono e fanno rumore proprio come se fossero vere», spiega la Broggi. «Un altro settore sempre verde è quello dei personaggi dei cartoni animati, come Spiderman o gli intramontabili Pokémon». E proprio a proposito di Pokémon, una ricerca svolta dalla casa produttrice Nintendo, su un campione di famiglie americane, rivela che i videogiochi con loro protagonisti sono amatissimi non solo dai bambini, ma anche dai genitori, «perché sono educativi, aumentano le capacità di memoria, la cooperazione con gli amici, l’organizzazione e incoraggiano la competizione». Ma che lavoro c’è dietro un videogame? «I creativi inventano uno storyboard, come accade per i film e i cartoon, poi la squadra di sviluppo crea la base informatica del gioco e i computer grafici l’animazione dei personaggi, riprodotta attraverso il movement capture (si attaccano dei sensori al corpo di un uomo e se ne seguono i movimenti)», spiega Simona Portigliotti, brand manager di Nintendo Italia. «Una volta fatto il videogame, comincia una lunga fase di testing durante la quale gli sviluppatori implementano il gioco e controllano che non ci siano bachi, cioè errori di programmazione. La fase successiva è quella importantissima della realizzazione dei testi». Per arrivare al prodotto finito ci vogliono almeno 60 persone e un anno di lavoro. I bambini, in questo caso, intervengono solo alla fine: la confezione che li affascina di più è quella che finisce in vetrina.