Corriere della Sera Magazine 10/11/2005, pag.118 Lorenzo Viganò, 10 novembre 2005
Sironi e Permeke. Corriere della Sera Magazine 10/11/2005. Premetto che al momento non ho ancora visto la mostra e nemmeno sfogliato il catalogo
Sironi e Permeke. Corriere della Sera Magazine 10/11/2005. Premetto che al momento non ho ancora visto la mostra e nemmeno sfogliato il catalogo. Quindi non posso, né voglio, dare alcun giudizio. Ma l’accostamento di Sironi e Permeke non mi ha mai convinto. Già nel 1984, la galleria All’attico di Roma dedicò loro un’esposizione mettendone fianco a fianco le opere. Eppure io non riscontro particolari similitudini tra i lavori di Permeke, che ho avuto occasione di vedere in Belgio, e quelli di Sironi, che conosco bene, nonostante più di una volta abbia provato a cercarle. 0 almeno, non ne vedo più di quante se ne possano rintracciare tra artisti che vivono nello stesso momento storico e che risentono delle medesime suggestioni. In più, si tratta di un accostamento promosso innanzi tutto dai detrattori di Sironi, a cominciare proprio da Roberto Longhi, che con la sua famosa battuta "Toc toc. Permeke? Sironi" voleva sottolineare una sudditanza di mio nonno nei confronti del pittore belga; il fatto che fosse, nel migliore dei casi, il suo discepolo. Un parallelismo che negli anni la critica ha più volte smentito, ma che, evidentemente, continua a tornare fuori". Non entra nel merito della mostra Mario Sironi-Constant Permeke - I luoghi e l’anima in corso a Milano, ma Andrea Sironi, discendente diretto del pittore naturalizzato romano (era nato a Sassari), non nasconde nemmeno il suo scetticismo rispetto a operazioni di questo tipo. "Per carità: ognuno può pensarla come vuole", aggiunge, "ma è la tesi di partenza a non convincermi". Una tesi, va detto subito, che nella mostra di Palazzo Reale, aperta fino al 29 gennaio 2006, insegue però finalità diverse. Infatti, pur prendendo le mosse proprio dalla discussa intuizione di Longhi, non intende stabilire alcuna priorità di un artista sull’altro. "Precisato che della frase polemica di Longhi non esistono prove documentate, nonostante più di un suo allievo l’abbia riportata e non sia escluso che lui l’abbia pronunciata davvero per prendere le distanze da un pittore, Sironi, che non amava per nulla (come non amava nemmeno De Chirico)", spiega Vincenzo Trione, curatore della mostra, "non penso che Longhi abbia voluto stabilire una sudditanza di uno rispetto all’altro, ma solo dire che esiste una stanza nella quale si muovono entrambi. E che, accanto alle evidenti differenze, ci sono altrettanto evidenti similitudini. Per questo non vorrei che la mostra si riducesse a una sorta di match, di partita di ping pong tra i due artisti. Capisco che in parte sarà inevitabile, ma la mia intenzione è decisamente un’altra: mostrare quanto Sironi e Permeke siano estremamente modemi; come i loro linguaggi, i loro temi, la loro arte non siano avvolti da quella polvere che spesso respinge il visitatore contemporaneo, ma attuali, contemporanei. Vivi. Quindi il mio sforzo è stato quello di considerare Sironi e Permeke come un’unica identità, senza creare due personali autonome - che forse sarebbe stato anche più semplice -, ma una sola mostra di un solo artista, che spesso si è espresso con modalità diverse". Tant’è che, girando tra le sale di Palazzo Reale, è proprio questa l’impressione che si prova. A parte infatti i due autoritratti che si fronteggiano all’inizio della mostra, soltanto due opere - due nature morte - sono state affiancate, in una sorta di confronto diretto. Per il resto, i circa novanta lavori - accompagnati da una serie di fotografie realizzate per l’occasione da Francesco Jodice che è tornato sui luoghi cari ai due artisti (Milano e Ostenda) per testimoniarne il cambiamento - non seguono un andamento di incontro-scontro, ma un percorso rigorosamente cronologico. Che ne evidenzia lo sviluppo storico. Il risultato è potente. E il visitatore non può non cedere al gioco, tutto personale, dei rimandi, dei confronti, delle somiglianze e delle differenze. Al punto che a volte viene voglia di tornare indietro per rintracciare quella suggestione provata di fronte a una tela di Sironi due sale prima e ritrovata, successivamente, su una di Permeke. Se è vero infatti che i due non si incontrarono mai, è altresì molto probabile che ognuno dei due vide, nelle varie Biennali di Venezia da entrambi frequentate, i lavori dell’altro. Provando, forse, un coinvolgimento molto vicino a quello che proviamo noi oggi a guardarle riunite; noi che notiamo quanto questi due artisti vissuti in due mondi diversi, uno in Belgio l’altro in Italia, ma nello stesso periodo (Permeke è del 1886, Sironi del 1885), entrambi provenienti dalle avanguardie (Permeke dall’Espressionismo, Sironi dal Futurismo) e tesi a un tipo di pittura monumentale, siano accomunati, come sottolinea ancora Trione, "da qualcosa di più profondo della pura affinità elettiva". Da un sentire - sono suoni, sapori, silenzi - che li avvicina anche nelle differenze. Guardate i colori, così bituminosi, fatti di tonalità basse, malinconiche, cupe - gli ocra, i piombo e quell’arancione-giallo che spesso compare nei dipinti di tutti e due; respirate l’atmosfera ora uggiosa ora infuocata, racchiusa nei loro paesaggi pur così diversi - le periferie e le architetture industriali di Sironi, le marine e le vedute bucoliche del Nord di Permeke; osservate le loro figure imponenti, squadrate, i dipinti, spesso di grandi dimensioni, che sembrano più che altro "fermi-immagine" dove si muove una persona sola o piccoli gruppi; guardate la materia, spesso tormentata, che copre le loro tele: e scoprirete che tra somiglianze e differenze nessuno dei due appare mai discepolo dell’altro, nonostante ci sia un filorosso che li lega, facendoli parlare se non proprio la stessa lingua, almeno lo stesso dialetto pittorico. Tanto che lo scettro del più grande - se un "più grande" dei due esiste - continua a passare di mano in mano un quadro dopo l’altro. Lorenzo Viganò