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 2005  novembre 13 Domenica calendario

Violetta, angelo del night. Il Sole 24 Ore 13/11/2005. E’ la prima volta che porto Violetta in scena

Violetta, angelo del night. Il Sole 24 Ore 13/11/2005. E’ la prima volta che porto Violetta in scena. Ma devo anche confessare che fino a qualche anno fa sapevo ben poco in generale dell’opera. Sono cresciuta come attrice, di teatro e cinema, forse un po’ inevitabilmente dal momento che i miei genitori - Peter Brook e Natashá Perry - sono due protagonisti di quel mondo, lui regista e lei attrice. Sono nata a Parigi, ho studiato a New York con Stella Adler, alla scuola dell’Actor Studio. I primi passi sul palcoscenico li ho mossi in produzioni off Broadway. Poi, una decina d’anni fa, sono passata al mondo della regia: teatro di prosa, opera... Sono stata premiata con vari "Molière" per Une bête sur la lune. E ho nel curriculum tre messinscene di successo, Il flauto magico di Mozart in Olanda, Onegin di Ciaikovski ad Aix-en-Provence e la Cenerentola di Rossini a Parigi e a Bologna, l’anno scorso. E qui ora ritomo, con La Traviata di Verdi. Sì, sapevo ben poco di opera, da ragazza. Una volta mi portarono a una recita di Traviata a Parigi, ricordo solo di aver pianto e pianto. C’era la regia di Zeffirelli. E poi di nuovo mi capitò di vedere in televisione il medesimo spettacolo, tre anni fa. Di nuovo fui rapita dalla storia, contagiata dalle forti emozioni. Ma soprattutto colpita dalla gran contemporaneità della protagonista. La mia Traviata respira il tempo della "dolce vita". E’ ambientata in una specie di night-club, situato dove un tempo c’era una piscina, ora abbandonata. La piscina è vuota, in qualche modo evoca simbolicamente la femminilità, è il grembo per la festa in casa di Violetta. E’ un luogo trasgressivo ma anche poetico nell’abbandono, nella solitudine, dove Violetta e Flora devono soddisfare le fantasie dei loro clienti. Le due feste sono destinate ai travestimenti, alle libertà sfrenate, possibili proprio per l’estraneità del luogo rispetto alla vita, lontana. Anche il secondo atto non avrà un’ambientazione tradizionale: il rifugio di Violetta e Alfredo non sarà la campagna, ma il mare. Non il mare caldo della Provenza, dove Germont richiamerà il figlio smarrito inseguendo l’amore per la giovane prostituta, che disonora la famiglia, bensì il mare freddo della Normandia, vicino a Parigi. Si vedrà questo mare, proiettato come un film sul fondo della scena, perché voglio che sia quasi tangibile al pubblico. Acqua: sparita dalla piscina abbandonata, avvolgente, invece, il tempo breve dell’amore. Acqua come sinonimo di femminilità, di vita. E’ facile schematizzare un’opera come Traviata: di qui i buoni, di là i cattivi, Violetta contro Germont, bianco contro nero. Lei vittima, lui orribile, Alfredo ingenuo. Ma la storia non è cosi monolitica, l’opera è continuamente increspata da infinite sfumature. Quella di Violetta non è una bella storia d’amore. Non sta in una bomboniera, zuccherosa e mignon. Se non altro per il fatto che la protagonista è consapevole fin dall’inizio - e da subito ce lo fa sentire, coi colpi di tosse, con il malore - di avere una orribile malattia. Non è importante sottolineare se questa malattia oggi corrisponda all’Aids, non è necessario scendere nei dettagli. La malattia è la condizione simbolica di Violetta. Tutti intorno a lei bevono, gioiscono. Lei risponde nel Sempre libera con una determinazione autodistruttiva, negativa, quasi gettandosi oltre il limite, anche tecnico, del virtuosismo, per porre una fine alla propria vita. Alfredo è un personaggio difficile: leggero, condizionato dal padre, rabbioso, sleale. E’ un giovane della campagna, ingenuo, diverso dai parigini aristocratici che frequentano abitualmente le feste di Violetta. Ma proprio questa diversità fa breccia su lei. La semplicità del ragazzo, per nulla sofisticato, irrompe nel mondo della Traviata, sfatto e decadente, come memoria della giovinezza. Il suo brindisi ingenuo, l’inno all’amore, è un lampo che riporta ai sogni dell’adolescenza, a una vita che si immaginava felice, pura. Non è amore a prima vista quello di Violetta per Alfredo, la loro non è una storia modello Giulietta e Romeo. Lui ha dovuto insistere per scalfire l’indifferenza di lei rompere il guscio nel quale si era chiusa: follie, follie, lei grida. E ride. Come convincerla di credere ancora nell’amore, Violetta prostituta e mortalmente malata? Eppure la combinazione di ingenuità e insistenza di Alfredo fanno baluginare la speranza di poter vivere ancora, comunque, qualcosa di bello. L’amore con Alfredo è l’adolescenza ritrovata, l’illusione di poter ricominciare da capo. Anche se è tardi. Non è un mostro Germont. Pur presentandosi così duro, preoccupato solamente di difendere il buon nome della famiglia, le nozze della figlia: lei sì, si deve sposare, con un buon matrimonio, per un felice avvenire. Tuttavia Germont non è un mostro. Il suo lungo duetto con Violetta - assai più esteso dei brevi dialoghi, sempre smozzicati, tra Violetta e Alfredo sta come un macigno nel cuore dell’opera. Ma Germont dice quello che un qualsiasi padre di famiglia avrebbe messo davanti a una Traviata: lei è una donna diversa, col tempo capirà, col tempo le cose:potranno cambiare. Ma ora è importante che Alfredo ritorni in seno alla famiglia, che chiuda questa relazione di cui già si chiacchiera pericolosamente. Violetta ubbidisce, rinuncia. Ho messo il mio cuore di donna davanti, per raccontare questa storia, senza tempo come le tragedie greche, sempre possibile. Violetta muore perché è donna? Perché come donna è condannata a perdere? Non credo. Violetta muore perché la sua malattia è ormai a uno stato avanzato, e non può più guarire. Le restano poche ore, dice il dottore. E’ una corsa contro quelle poche ore il suo amore per Alfredo. Un sogno di felicità, ripetuto ormai in delirio: sarem felici, sarem felici... E la sua ultima parola sul palcoscenico ci trafigge il cuore, perché dice il desiderio inappagato di una giovane donna. Oh gioia, canta Violetta. Muore e l’ultima parola è gioia. Per questo nel mio spettacolo muore accennando una danza. Non è a letto, come di solito si rappresenta la sua fine. Invece avrà un abito bianco nel primo atto, proprio come vuole la tradizione. Io però non sapevo che sempre le Violette in teatro appaiono all’inizio vestite di bianco. Ho visto una sola Traviata, e anzi, pensavo di essere andata contro corrente presentando candida una prostituta. Però se tutti i registi l’hanno immaginata così, vuol dire che davvero Violetta è così: al di là della superficie, lei è pura, quasi un angelo. Irina Brook