La Stampa 12/11/2005, pag.23 Mattia Feltri, 12 novembre 2005
Il dio pinguino. La Stampa 12/11/2005. Roma. Il passaggio dal Cristo in croce di Mel Gibson al calvario dei pinguini in Antartide segna, secondo qualcuno, il cedimento dei conservatori americani a un’iconoclastia prossima al sacrilegio o alla furia fondamentalista
Il dio pinguino. La Stampa 12/11/2005. Roma. Il passaggio dal Cristo in croce di Mel Gibson al calvario dei pinguini in Antartide segna, secondo qualcuno, il cedimento dei conservatori americani a un’iconoclastia prossima al sacrilegio o alla furia fondamentalista. In effetti, anche dopo aver visto La marcia dei pinguini, è un vero affanno individuare i motivi dell’entusiasmo suscitato negli Stati Uniti dal documentario del francese Luc Jacquet. Perché la storia di Jacquet è la storia del lungo e doloroso viaggio, di vita e di morte, degli uccelli sulla banchisa. Soffrono la fame e il freddo, sono assediati dai predatori, alcuni non sopravvivono, ma infine trovano il luogo adatto per deporre le uova e dare salvezza alla specie. Come Gesù redentore, fatto uomo che si sacrifica per l’uomo. Ma l’aggancio resta labile. Il film, che in America ha raccolto ottanta milioni di dollari, arriva il 18 novembre in Italia, e si vedrà se anche i Ratzi boys o il popolo di Comunione e liberazione ci troveranno un’impronta divina. In America ne hanno trovate parecchie. «E’ un forte punto a favore del Creatore Intelligente», hanno sostenuto gruppi cristiani rilanciando la disputa fra creazionisti ed evoluzionisti. Rich Lowry, direttore di National Review, lo ha definito «un film affascinante. I pinguini sono un esempio davvero ideale di monogamia». Secondo un prete dell’Ohio, i pinguini che ritrovano ogni anno la strada fra i ghiacci sono come i credenti guidati dallo Spirito Santo; e i pinguini che crollano e restano indietro, come i credenti smarrita la retta via. Intervistato sul Venerdì di Repubblica, Jacquet ha parlato di «operazione intellettualmente disonesta». Tempo fa aveva precisato: «E’ solo una storia di pinguini. Vederla in termini religiosi è come voler analizzare Superman in chiave di difesa e strategie». Sebbene in chiave divina lo abbia già analizzato Umberto Eco. Il film, poi, insegna che i pinguini si prendono e si mollano come adolescenti, abbandonano i cuccioli ai razziatori, e le mamme rimaste senza prole cercano di rapire quella altrui. Ci si può attaccare a tutto per dimostrare qualsiasi cosa. E dunque è probabilmente sbagliato individuare nella saga del pinguino l’ultimo collante culturale ed etico degli elettori di George W. Bush. Sennò non ci si spiegherebbe per quale motivo un musicista liberal come Bruce Springsteen sia stato sequestrato più volte dai repubblicani. Lo fece Ronald Reagan, sentendo in Born in the Usa un inno all’orgoglio nazionale. E lo hanno rifatto di recente, quando Springsteen andò a cantare sulle macerie di Ground Zero, e non importa se poi abbia appoggiato John F. Kerry. Contano di più le camicie a scacchi aperte sul petto, i jeans e gli stivali che fanno di lui un’immagine ambulante del Vecchio Sud, tradizionalista e intransigente. E forse allora vanno bene anche i pinguini, incrollabili nell’ubbidire al precetto di andare e moltiplicarsi. Se poi si pensa al nuovo stile di vita degli evangelici, che rifacendosi a un passaggio della Genesi hanno abbracciato una profonda cultura ambientalista, avvicinandosi a gruppi straordinariamente ostili a Bush, si può intuire quanto sia eterogeneo e inafferrabile il mondo della destra americana. I celebri neocon, ispiratori della Casa Bianca nella dottrina di esportazione della democrazia, non c’entrano nulla con gli allevatori del Texas. Sono ex democratici cresciuti nelle ricche città della East Coast, come New York, Washington o Filadelfia. I libri dei vari Robert Kagan, Norman Podhoretz, William Kristol non vanno praticamente mai in classifica. E’ probabile che i fan dei pinguini non sospettino nemmeno della loro esistenza. Chi vende parecchio è, per esempio, Ann Coulter, ma è così sfacciata, così politicamente scorretta, che i neocon la considerano una specie di Borghezio sui tacchi. Non è diverso il caso di Tom Wolfe, romanziere e saggista conosciutissimo, autore fra l’altro di Radical Chic, il devastante reportage sui rivoluzionari da salotto di Manhattan. Il suo ultimo libro (Il mio nome è Charlotte Simmons, appena uscito in Italia con Mondadori) è una requisitoria contro lo sfrenato libertinaggio dei college americani, ma non potrà mai essere il punto di riferimento per i Mormoni dello Utah, impegnati a squalificare gli studi di Charles Darwin. A ben vedere è un pinguino anche Charlotte Simmons. E sono pinguini le Casalinghe disperate ora in programmazione sui Raidue. Sono donne infedeli, complessate, hanno figli pressoché delinquenti, però sono semplici peccatrici di periferia, sposate, con la famiglia al centro dei loro pensieri. Più che sufficiente dopo la profusione di strepitosa mondanità offerta dalle signore di Sex and the City, tutte single alla perenne ricerca (nell’ordine) di un paio di scarpe e un compagno per la serata. Volendo, ci sono pinguini ovunque. Ognuno dei conservatori americani si prende il pinguino a lui più congeniale, in assenza di un’opera letteraria o cinematografica o di qualsiasi altro genere in grado di contenere tensione e ideali tanto diversi. Il nuovo film di Steven Spielberg probabilmente sarà emblematico. Non è ancora concluso e già ci si litiga sopra. Racconterà della rappresaglia del Mossad, il servizio segreto di Gerusalemme, dopo il massacro degli atleti israeliani compiuto dai terroristi palestinesi di Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Analizzando le fonti di Spielberg, ovviamente si sono risentiti i palestinesi, e nella persona di Mohammad Daoud, il mandante della strage. E hanno dichiarato perplessità anche i vertici del Mossad. Negli Stati Uniti si discute sul messaggio del film (si chiama Munich): tutto è lecito pur di eliminare i signori del terrore? Non basta. Malgrado il credito di cui Spielberg gode nella comunità ebraica, specie dopo Schindler’s list, qualcuno teme che Munich, al contrario, giustifichi le accuse di ferocia rivolte agli israeliani, che negoziarono ma non mantennero la parola pur di abbattere gli attentatori. E andrà a finire che in Munich si scoveranno pinguini sia a destra sia a sinistra. Mattia Feltri