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 2005  novembre 17 Giovedì calendario

Lettera d’amore a Frank Sinatra (28 maggio 1998). Questa è una lettera d’amore. Anche se non lo conoscevo personalmente, anche se cerco di svincolare il talento e la voce dal corpo, dalla mortalità dell’uomo, anche se so che quello che mi ha dato fino ad oggi lui continuerà a darmelo per sempre, non riesco a controllare un vago senso di nausea, un piccolo dolore alla bocca dello stomaco

Lettera d’amore a Frank Sinatra (28 maggio 1998). Questa è una lettera d’amore. Anche se non lo conoscevo personalmente, anche se cerco di svincolare il talento e la voce dal corpo, dalla mortalità dell’uomo, anche se so che quello che mi ha dato fino ad oggi lui continuerà a darmelo per sempre, non riesco a controllare un vago senso di nausea, un piccolo dolore alla bocca dello stomaco. Non sentirete mai più cantare così. Questa è una delle rarissime occasioni in cui sono felice di fare, anche se indegnamente, la cantante, cioè il suo stesso lavoro. Ne sono felice perché sono in grado di capire quando prende un fiato e perché, quando rompe la voce e perché, quando decide di allungare una nota sino a caricaturarla, perché sono in grado di capire come divide, godere dello swing morbido ma inesorabile che esprime persino quando parla. Perché riconosco la grandezza nel salvare canzoni mediocri. Per quel timbro di voce che ti fa morire di piacere, che ti obbliga a sorridere e che ti procura dei piccoli mancamenti, come quando sei davanti a un grande quadro del Caravaggio. Perché sono in grado di riconoscere che le note le mette tutte al posto giusto e sono quelle, né un sedicesimo prima né un sedicesimo dopo. Ascoltate i suoi dischi, non ascoltate quelli che parleranno dei suoi amori, delle sue amicizie, dei suoi legami con gente di malaffare; direi addirittura di non guardare i suoi film, anche se qualche volta è stato grande anche come attore. Ascoltate i suoi dischi, tutti. Perché no, anche Strangers in the night oppure My way che, secondo me, lo rappresentano meno; sì, insomma non erano delle gran belle canzoni, non erano il suo specifico, anche se sono quelle che hanno venduto di più. Ascoltate tutti quei pezzi favolosi con Billy May e Nelson Riddle e con Don Costa. Fate un piccolo investimento di denaro in qualcosa di irripetibilmente unico, comprate tutta la sua produzione e pian pianino ascoltatela. Ascoltate tutto gli album: Come swing with me, Come dance with me e cento altri ma soprattutto, se avete come me un’indole un pochino malinconica, Only the lonely, inarrivabile, perfettissima, drammaticamente struggente raccolta di ballad nelle quali lui è l’assoluto imperatore. Non ascoltate gli inevitabili miseri chiacchiericci sulle mogli, sui figli o, peggio ancora, sull’eredità. Ascoltate lui, ascoltatelo soltanto; perché che cosa si chiede a un essere umano più che cantare come un angelo. Nel pezzo che conclude Trilogy dice: «E quando la morte verrà a tirarmi la manica della giacca, starò cantando mentre me ne andrò». Ed è quello che ha fatto. Stava cantando ancora quando il fiato, l’età e la salute dicevano che non era più il caso. Lui stava cantando, come voleva far sempre. E ancora faceva dei miracoli con quello strumento incantatore fatto di carne, di sentimento, di altissimo talento, di amore insomma. Se quella grande porta dorata sopra tutte le nuvole e sopra tutti i nostri pensieri esiste davvero, ad aprirla per lui questa volta ci sarà proprio Dio in persona. Perché così si canta solo in Paradiso. Mina