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 2005  novembre 13 Domenica calendario

Un’altra spiegazione del calo della criminalità spesso citata insieme alla precedente è quella del maggior ricorso alla pena capitale

Un’altra spiegazione del calo della criminalità spesso citata insieme alla precedente è quella del maggior ricorso alla pena capitale.9 Negli anni Ottanta e Novanta, il numero di giustiziati negli USA è quadruplicato, spingendo molti a concludere - nel quadro di un dibattito che si trascina da decenni - che la pena di morte contribuisce a ridurre la delinquenza. In quel dibattito, però, sono stati persi di vista due elementi fondamentali. Anzitutto, data la rarità dell’esecuzione della pena capitale negli USA e la tempistica lunghissima che essa richiede, come spauracchio diviene inefficace agli occhi di qualsiasi criminale degno di questo nome. Malgrado le esecuzioni siano quadruplicate, negli anni Novanta sono state solo 478. Qualunque genitore abbia detto a un bambino capriccioso: "Guarda, conto fino a dieci e poi, questa volta, te le suono davvero!" conosce perfettamente la distinzione tra un deterrente e le vacue minacce. Lo Stato di New York, per esempio, al momento in cui questo libro andava in stampa negli USA non aveva ancora giustiziato nessuno, dal ripristino della pena capitale nel 1995. Persino fra i detenuti nel braccio della morte la percentuale di esecuzioni è pari al 2 per cento annuo, mentre per i membri della Black Gangster Disciple Nation la probabilità di lasciarci le penne è pari al 7 per cento ogni anno. Se la vita nel braccio della morte è più sicura della vita di strada, diventa difficile credere che la paura della pena capitale abbia un qualsivoglia effetto deterrente sulle scelte dei criminali. Come nel caso della multa di tre dollari imposta ai genitori ritardatari nelle scuole materne israeliane, il disincentivo della pena capitale non viene preso abbastanza sul serio da incidere sui comportamenti. Il secondo limite della teoria sull’efficacia della pena di morte è ancora più ovvio. Ammesso e non concesso che serva da deterrente, in che misura ciò avviene? In uno studio del 1975, a tutt’oggi abbondantemente citato, l’economista lsaac Ehrlich avanza una stima generalmente ritenuta ottimistica: giustiziare un criminale servirebbe a impedirgli di commettere altri 7 ornicidi.11 Bene, facciamo due conti. Nel 1991, le condanne a morte eseguite negli USA sono state 14; nel 2001, 66. In base ai calcoli di Elirlich, alle 52 esecuzioni capitali in più sarebbero dovuti corrispondere 364 omicidi in meno nel 2001, non pochi, in termini assoluti, ma appena il 4 per cento del calo complessivo registrato quell’anno. Pertanto, anche tenendo per valido lo scenario ottimistico prospettato da un fautore della pena capitale, questa spiegherebbe soltanto un venticinquesimo della diminuzione degli omicidi verificatasi negli anni Novanta. E poiché viene raramente comminata per reati diversi dall’on-úcidio, la pena di morte non serve comunque a spiegare il brusco calo registrato anche dagli altri reati violenti. Risulta quindi del tutto improbabile che la pena capitale, nelle modalità con cui viene applicata oggi negli USA, influisca sul tasso di criminalità. Persino molti di coloro che in passato ne avevano sostenuto la validità sono giunti oggi a questa conclusione. "Mi sento moralmente e intellettualmente in obbligo di riconoscere che l’esperimento della pena capitale è fallito", affermava nel 1994 il giudice della Corte Suprema Harry A. Blackimin, ossia a quasi vent’anni da quando votò per ripristinarla. "Non sono più disposto a fare altri esperimenti del genere"." Insomma, a far calare il tasso di criminalità non sono state né la crescita economica, né la pena di morte, ma il maggior ricorso alle pene detentive sì. Delinquenti che non si sono certo recati nelle patrie galere di loro spontanea volontà. Qualcuno ha indagato, li ha acciuffati e ha istruito il dossier che li avrebbe fatti finire in gattabuia. Il che ci conduce in modo del tutto naturale a due altre probabili spiegazioni, tra loro correlate: