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 2005  novembre 13 Domenica calendario

A meno, naturalmente, di non voler intendere l’"economia" in senso piuttosto lato, fino a includervi la costruzione e la gestione di centinaia di carceri

A meno, naturalmente, di non voler intendere l’"economia" in senso piuttosto lato, fino a includervi la costruzione e la gestione di centinaia di carceri. Il che ci porta a un’altra spiegazione addotta: scarcerazioni meno facili. Forse è opportuno rovesciare i termini della questione e, prima di chiedersi perché il crimine sia calato, domandarsi anzitutto che cosa ne abbia precedentemente comportato l’esplosione. Nella prima metà del Novecento, l’incidenza dei reati violenti negli USA era rimasta sostanzialmente costante. Ma nei primi anni Sessanta prese a crescere. Con il senno di poi, appare chiaro che ciò si dovette in parte a un sistema giudiziario più permissivo. Negli anni Sessanta la percentuale di detenuti scese e le pene detentive divennero più brevi. Ciò è riconducibile a una maggiore sensibilità per i diritti degli imputati (era ora, direbbero alcuni; fin troppa, ribatterebbero altri). Al contempo, nei confronti della delinquenza, tra i politici iniziò a diffondersi un certo lassismo, "nel terrore di passare per razzisti, dal momento che un numero spropositato di reati è commesso da afroamericani e ispanicí", ebbe a scrivere l’economista Gary Becker. Pertanto, chiunque avesse una certa propensione al crimine assisteva al sorgere di una serie di incentivi: una minor probabilità di finire in carcere e, anche in questo caso, una pena detentiva più breve. Poiché, come chiunque altro, anche i criminali rispondono prontamente agli incentivi, ciò che ne conseguì fu un’escalation della violenza.’ Ci volle del tempo, oltre a estenuanti polemiche, ma questi incentivi alla fine vennero ridotti. Malviventi che in passato sarebbero stati rimessi in libertà - specie per reati di droga o per violazioni del regime di libertà vigilata - ora rimanevano al fresco. Tra il 1980 e il 2000, il numero di incarcerati con l’accusa di reati di droga aumentò di quindici volte. Le pene detentive, specie per i reati violenti, si allungarono. L’effetto complessivo fu spettacolare. Nel 2000, la popolazione carceraria era pari a 2 milioni di unità, circa il quadruplo rispetto al 1972. E una buona metà di quell’incremento si ebbe negli anni Novanta.’ La correlazione tra inasprimento delle pene e riduzione del tasso di criminalità appare molto convincente. Una carcerazione più dura ha dimostrato di fungere sia da deterrente (per gli aspiranti criminali), sia da profilassi (per i delinquenti già sotto chiave). Nonostante tutto ciò appaia logico, alcuni criminologi hanno scelto di andare contro la logica. Uno studio accademico del 1977, dal titolo "Per una moratoria alla costruzione di penitenziari", osservava che i tassi di criminalità sono elevati laddove elevato è il numero di detenuti, concludendone che i reati sarebbero calati se solo si fossero svuotate un po’ le carceri.’ Grazie al cielo, i secondini non si precipitarono a spalancare le porte delle celle in attesa di veder calare il numero di illeciti. Come avrebbe successivamente commentato il politologo John J. Dilulio Jr. : "Ci vuole proprio un dottorato in criminologia per dubitare che tenere i delinquenti in carcere faccia calare la criminalità".1 Le argomentazioni a sostegno della moratoria riposavano su un malinteso: la confusione tra correlazione e nesso causale. Si prenda in esame un’altra ipotesi. Il sindaco di una grande città si rende conto che i suoi concittadini si danno a grandi festeggiamenti ogniqualvolta la squadra di calcio cittadina vince il campionato. Rimane colpito da questa correlazione, ma come gli autori di quello studio confonde la causa con l’effetto. L’ anno dopo, quindi, il sindaco decreta che quei grandi festeggiamenti si tengano prima dell’inizio del campionato, operazione che, nella sua mente dalle idee confuse, dovrebbe costituire una garanzia certa di vittoria. Le ragioni per valutare negativamente l’aumento della popolazione carceraria sono certo molteplici. A nessuno fa piacere constatare che una quota così consistente di cittadini, specie di colore, viva dietro le sbarre. E inoltre chiaro che la detenzione non affronta il problema alla radice, cioè le vere cause del crimine, che sono tanto numerose quanto complesse. Da ultimo, la carcerazione non è certo una soluzione a buon mercato: ogni detenuto costa allo Stato circa 25.000 dollari all’anno. Se però l’obiettivo che ci si pone è spiegare le ragioni del ridimensionamento del crimine negli anni Novanta, 1 a detenzione è certo una delle cause principali. A essa è imputabile circa un terzo del calo dei reati.