MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2005, 11 novembre 2005
«Talvolta, sono organizzati eventi in cui migliaia di persone si tengono per mano e formano una catena umana, diciamo da una costa all’altra degli Stati Uniti, per sostenere qualche causa o qualche opera di bene
«Talvolta, sono organizzati eventi in cui migliaia di persone si tengono per mano e formano una catena umana, diciamo da una costa all’altra degli Stati Uniti, per sostenere qualche causa o qualche opera di bene. Supponiamo di comporne una lungo l’Equatore, entro la nostra patria continentale africana. Si tratta di un tipo speciale di catena, comprendente genitori e figli, e dovremo fare giochi di prestigio con il tempo per immaginarla. Ti trovi sulla riva dell’Oceano Indiano, nella Somalia meridonale, guardando verso nord, e tieni nella tua mano sinistra la mano destra di tua madre. In successione, ella tiene la mano di sua madre, tua nonna. Tua nonna tiene la mano di sua madre, e così via. La catena prosegue sulla spiaggia, per entrare negli aridi territori stepposi e procedere a ovest, verso il confine del Kenia. Quanto dobbiamo andare lontano per raggiungere il nostro antenato comune con gli scimpanzé? Si tratta di una strada sorprendentemente breve. Concedendo una iarda a persona, arriviamo all’antenato che condividiamo con gli scimpanzé in meno di 300 miglia. Abbiamo appena iniziato ad attraversare il continente: non siamo nemmeno a metà della strada per la grande Rift Valley. L’antenata se ne sta bene a est del monte Kenya e tiene nella sua mano un’intera catena di suoi diretti discendenti, culminante in te, che te ne stai sulla spiaggia della Somalia. La figlia che tiene nella sua mano destra è quella da cui siamo discesi. Ora l’arciantenata si gira verso est per guardare la costa e con la sua mano sinistra afferra la sua altra figlia, quella da cui sono discesi gli scimpanzé (o il figlio, certamente, ma teniamoci alle femmine per convenienza). Le due sorelle si trovano l’una dinanzi all’altra e ciascuna tiene la madre per mano. Ora la seconda figlia, l’antenata degli scimpanzé, tiene la mano di sua figlia e si forma un’altra catena che procede all’indietro verso la costa. La prima cugina guarda la prima cugina, la cugina di secondo grado guarda la cugina di secondo grado, e così via. Nel momento in cui la catena ripiegata all’indietro raggiunge nuovamente la costa, essa consiste di scimpanzé odierni. Ti trovi faccia a faccia con la tua cugina scimpanzé e sei collegato a essa da una catena ininterrotta di madri che si tengono per mano con le figlie. Se tu ripercorressi la fila come un ispettore generale e poi, di nuovo, giù dall’altra parte, non troveresti da nessuna parte alcuna netta discontinuità. Le figlie assomiglierebbero alle madri, esattamente tanto quanto (o poco quanto) fanno sempre. Le madri amerebbero le figlie e si sentirebbero affini a loro, come fanno sempre. E questo continuum mano-nella-mano che ci collega agli scimpanzè così breve che oltrepassa a mala pena l’entroterra d’Africa, il continente d’origine» (Richard Dawkins, Il cappellaio del diavolo, Cortina 2004)